Numero Diciassette
Regia di Alfred Hitchcock
Scritto da: Joseph Jefferson Farjeon, Alfred Hitchcock, Alma Reville
Musica Originale di: A. Hallis Fotografia di: Jack E. Cox, Bryan Langley
Cast: Leon M. Lion, Anne Grey, John Stuart, Donald Calthrop, Barry Jones, Ann Casson, Henry Caine, Garry Marsh
Se escludiamo i primi due film, Numero 13 (1922), incompleto, e Always Tell Your Wife (1923), non accreditato, Numero 17 (tit. originale NUMBER SEVENTEEN) è proprio il diciassettesimo film diretto da Hitchcock. Niente male in soli 7 anni di carriera. Numero 17 è anche il numero civico di una spettrale e dismessa via di Londra, in cui accadono stranissime cose.
Nelle battute iniziali vediamo un uomo (John Stuart) rincorrere il proprio cappello gettato dal vento, cappello che si ferma appunto al numero civico 17 della via. L’uomo entra nell’oscura abitazione e vi trova un cadavere, o presunto tale, ed un barbone, Ben (Leon M. Lion) entratovi per cercar dimora. Ma non sono le uniche persone che, per un motivo o per un altro affollano o affolleranno tra breve la lugubre villa. Infatti arriveranno di lì a poco una donna caduta dal soffitto (!), tre malviventi, una misteriosa donna muta e un detective.
Il motivo per cui i malviventi si trovano in quella casa è per recuperare una preziosissima collana d’oro, collana che finirà nelle mani dell’unica persona che ne aveva bisogno, il clochard Ben. Il convulso finale di questo vivace film vede una rocambolesca e spettacolare corsa su un treno lanciato senza guida a folle velocità, con il naturale happy-end. Un film in cui nulla è ciò che sembra. Le identità dei vari personaggi cambiano quasi in continuazione, tanto da disorientare lo spettatore. Il cadavere che si stufa di essere tale e scappa, il barbone che sembra l’assassino ma non lo è, il detective che sembra tale ma è un malvivente pure lui, la donna muta che in realtà parla benissimo…
Un film in cui dramma ed ironia si mescolano sapientemente, pur con una trama esigua e ridotta all’osso (ma del resto il film dura appena 58 minuti), lasciando spesso spazio a trovate divertenti ed esilaranti (almeno per l’epoca). Un film in cui le ombre, accentuate e proiettate da candele e fiammiferi, hanno notevole importanza. Le sequenze finali sul treno sono girate utilizzando modellini, e del resto si nota facilmente, specie durante l’incidente finale.
Il film è stato girato nel 1932, ed è uno dei primissimi del Maestro del brivido. Considerato uno dei minori, resta comunque un film godibile, a condizione naturalmente che non ci si aspetti troppo.
Il soggetto è tratto da una pièce di Joseph Jefferson Farjeon Due parole sull’audio, infine. Girato naturalmente in mono, il doppiaggio, nell’edizione italiana, è molto piatto. Lo potremmo definire un film semi-muto, in quanto per fortuna (visto il pessimo doppiaggio) le scene di parlato sono decisamente poche. Il supporto da me visionato è la videocassetta proposta dalla DeAgostini nella sua collana dedicata al Regista.
GABRIELE FORTINO
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