Zodiac Killer

Biografie

Foto del killerIl caso dello Zodiac Killer è forse uno dei più misteriosi dai tempi di Jack Lo Squartatore. Un assassino spietato, senza identità e completamente folle. Così come il suo predecessore inglese, anche lo Zodiac Killer ha intrattenuto numerose corrispondenze con polizia e stampa. Inutile aggiungere che, ancora oggi, il caso è insoluto e aperto…

ANTEFATTO
Domenica, 30 ottobre 1966, lo Zodiac Killer fa il suo debutto. La vittima si chiama Cheri Jo Bates, una studentessa 18enne che frequenta il Riverside City College.

L’assassino la adesca proprio nel parcheggio vicino alla libreria del College. Le ha sabotato la macchina e gentilmente si è presentato alla fanciulla in difficoltà. Insieme tentano di riavviare il motore, senza successo, quindi l’assassino le propone uno strappo a casa.

Un vicolo buio e appartato, è lì che lo Zodiac Killer compie il massacro, senza motivazioni di stupro o furto: la ragazza non subisce violenza sessuale e le sue cose rimangono intatte.

Cheri Jo viene uccisa con una brutalità senza pari, tre pugnalate al torace, una alla schiena, il coltello affonda sette volte nella sua gola, troncandole la laringe, la vena giugulare e la carotide. La troveranno quasi decapitata.

Non si può certo dire che l’assassino sia stato perfetto. Nelle vicinanze del corpo viene rinvenuto un orologio da uomo, fermo sulle 12.23, con tracce di vernice sul cinturino. C’è anche una impronta di scarpe e tracce di pelle e capelli sono rimaste sotto le unghie della povera Cheri Jo Bates.

Il fatto che l’assassino e la ragazza siano rimasti appartati al buio per più di un’ora suggerisce agli investigatori la pista dell’omicidio passionale. Le indagini vengono quindi indirizzate verso gli amici e gli ex fidanzati della ragazza. È a questo punto che il killer si presenta.

Il 29 novembre 1966, la centrale di polizia di Riverside e la sede del giornale “Enterprise” ricevono la copia carbone di una lettera battuta a macchina. Spedite da una casetta di posta sperduta nella campagna, senza francobollo e senza indirizzo del mittente, le lettere sono intitolate “La Confessione”. La firma, quasi a prendersi gioco dei destinatari, è stata invece sostituita da 12 linee, come in un gioco di enigmistica.

All’interno di questa lettera lo Zodiac Killer descrive, senza risparmiare sui particolari, la dinamica dell’omicidio, dal momento dell’abbordaggio al taglio della gola. La parte più preoccupante è però il finale: “Lei era giovane e bella ma è morta. Non è la prima e non sarà nemmeno l’ultima. Passo notti insonni a pensare chi sarà la mia prossima vittima. Forse la bionda che fa la babysitter e che attraversa ogni giorno un vicolo buio verso le sette, o forse sarà la brunetta a cui ho chiesto informazioni. […] Spargerò le loro parti per la città in modo che tutti vedano. […] Guardatevi da..Io ora mi avvicino furtivamente alle vostre ragazze.”

Viste le numerose contraddizioni (il killer scrive, a torto, che la ragazza non ha opposto resistenza e che il coltello si è rotto nel torace della ragazza), inizialmente la lettera non fu presa in considerazione anche se la descrizione del sabotaggio all’automobile sono informazioni che la sola polizia. Le lettere sono state in mano alla F.B.I. fino agli anni ’90, che insiste nel classificarle come opera di uno sciacallo.

Sei mesi dopo l’omicidio Bates, la polizia di Riverside, la stampa e il padre della ragazza ricevono nuovamente una lettera in tre copie. Questa volta le buste sono affrancate e il testo è stato scritto a matita su della carta da lettere. Al posto della firma c’è un misterioso simbolo formato da una specie di Z, unita lateralmente a una sorta di 3.

“Bates doveva morire. Altre ne verranno”

Ancora oggi l’omicidio della Bates è insoluto. L’F.B.I. e le autorità locali spingono nella direzione dell’omicidio passionale, mentre gli investigatori e i giornalisti della Bay Area diSan Francisco sono praticamente sicuri che l’omicida è lo stesso che colpì negli anni successivi.

THE ZODIAC KILLER
Vallejo e Benicia sono due cittadine che si affacciano sulla Baia di San Pablo, vicino allo Stretto di Carquinez, poste all’incirca a 20 miglia nord-est di San Francisco. Negli anni ’60 i posti tra le due cittadine erano praticamente disabitate e ancora oggi l’autostrada che le unisce non è del tutto asfaltata.

Poco prima delle 21.00 del 20 dicembre 1968, in queste zone, viene avvistata una macchina metalizzata a quattro porte.

Nemmeno un’ora dopo, dei ragazzi vengono seguiti da questa auto, su un sentiero di ghiaia. Spaventati cambiano strada e fuggono.

Alle 23.10, David Arthur Faraday e Betty Lou Jensen non avranno la stessa accortezza. Usciti di casa con la scusa di andare a un concerto natalizio, i due si sono appartati in una radura, per amoreggiare sull’auto. Passa un’ora, poi qualcuno comincia a fare fuoco contro di loro con una calibro 22. Comincia da dietro, sfondando il vetro posteriore e forando il pneumatico sinistro. Poi l’assassino si avvicina, fino ad arrivare alla portiera di sinistra, e ricomincia a fare fuoco.

I due adolescenti, 16 e 17 anni, corrono fuori dalla portiera opposta e tentano la fuga, ma invano. Betty Lou Jensen verrà ritrovata a 10 metri dal paraurti posteriore. Uccisa da cinque colpi alla schiena, tra la quinta e la sesta costola. Per David Faraday è bastata una sola pallottola, ben piazzata alla testa.

Stella Borges, unica testimone, dirà di aver visto allontanarsi una Chevrolet metalizzata, a quattro porte, diretta verso Benicia, prima di ritrovare i corpi dei giovani.

Nonostante la taglia messa dalla polizia sull’omicida, non verrà mai trovato il colpevole.

Sei mesi più tardi, verso le 24:00 di sabato 5 luglio 1969, Darlene Elizabeth Ferrin, 22 anni, e Michael Renault Mageau, 19 anni, vengono presi di mira da degli spari, mentre sono seduti nella propria macchina nel parcheggio del Blue Rock Springs Golf Course.

Darlene Ferrin è andata a prendere il suo amico un’ora prima, quindi si sono fermati lì per mangiare qualcosa e chiacchierare. Qui una macchina marrone, si è accostata a loro, spegnendo i fari, per poi ripartire a tutto gas verso Vallejo.

Cinque minuti dopo la macchina ritorna.

Dopo aver parcheggiato a 3 metri dall’auto dei ragazzi, il conducente scende, spegnendo i fari per nascondere il proprio viso. Convinti che si tratti di un poliziotto, i ragazzi estraggono i loro documenti e si preparano alla classica ramanzina, ma il misterioso individuo comincia a sparare attraverso il finestrino del passeggero. L’arma è una 9mm con silenziatore.

Mageau viene colpito di striscio al viso e al braccio, quindi al ginocchio. Alimentato dal dolore e dall’adrenalina, il ragazzo riesce a saltare nella parte posteriore e a nascondersi. Darlene invece non ce la fa: i colpi la raggiungono alla testa e alla schiena, morirà alle 24.38.

Prima di svenire, Mageau riesce a vedere l’assassino di profilo. Lo descriverà come un uomo di media altezza, circa 1.75, e grasso. A occhio e croce sui 90kg. Porta degli occhiali.

Secondo i più, Darlene conosceva l’omicida, forse si trattava di uno spasimante rifiutato. La descrizione del ragazzo invece non fu tenuta molto in considerazione, poiché era sotto antidolorifici.

Alle 12:40 della stessa notte, la sede centrale della polizia di Vallejo riceve una telefonata da una cabina. La voce è matura e senza accento, parla uniformemente e costantemente, come se stesse leggendo da un copione.

Vorrei riportare alla vostra attenzione un duplice omicidio. Dirigetevi a un miglio est sul Viale di Cristoforo Colombo, verso il parco pubblico, lì troverete dei ragazzi in una macchina marrone. Gli ho sparato con una Luger da 9mm. Ho ucciso dei ragazzi anche l’anno scorso. Buona serata.”

Il 31 luglio 1969, l’Examiner di San Francisco, il Chronicle di San Francisco, e il Time-Harald di Vallejo ricevono tre lettere. Allegato a ogni lettera c’è un crittogramma che il 1 agosto viene pubblicato sulla prima pagina di ognuno dei tre giornali. Le lettere sono simili, anche se con parole diverse. L’assassino dimostra di essere veramente il colpevole fornendo particolari che solo lui e la polizia potevano sapere. Aggiunge inoltre che ha già ucciso una dozzina di persone e che se non venissero pubblicato i crittogrammi farà un massacro.

In questo crittogramma in tre parti è celata la mia identità

Ogni lettera finisce con un simbolo molto simile a una croce celtica e uno strano simbolo cifrato che è probabilmente il vero arcano da svelare per risalire all’identità del killer.

Il crittogramma viene decifrato e risolto in meno di una settimana, da un professore di liceo e da sua moglie, ma evidentemente l’assassino non ha mantenuto la promessa. Il testo che emerge infatti non è la sua identità, bensì la confessione di un collezionista di anime: “Mi piace uccidere le persone perché è molto più divertente di ogni gioco selvaggio che si possa fare in una foresta. L’uomo è l’animale più pericoloso ed elettrizzante di tutti da uccidere […] La parte migliore è che quando morirò, rinascerò in paradiso e tutte le mie vittime saranno miei schiavi. Perciò non vi darò il mio nome o tenterete di fermare la mia raccolta di schiavi per la vita ultraterrena. Ebeorietemethhpiti.”

Come per il caso Bates si ricorre alla F.B.I. e questa, come nel caso Bates, insinua che l’autore non sia il vero assassino, ma qualche sciacallo che vuole estorcere soldi facili.

Il 4 agosto l’Examiner di San Francisco riceve un’altra lettera. In essa il killer sbeffeggia gli investigatori perché non riescono a risolvere il simbolo cifrato, racconta nuovamente con accuratezza l’attentato ai due ragazzi, spiegando anche come fa a sparare con sicurezza al buio. Per la prima volta si firma “Zodiac”. Tutte le lettere verranno analizzate per anni, senza rintracciare impronte utili.

Il 27 settembre 1969, sulla spiaggia occidentale del Lago Berryessa, 60 miglia a nord est da

San Francisco, lo Zodiac Killer torna a colpire.

Sono le 15.00 mentre tre giovani donne da Angwin, stanno parcheggiando nell’area adibita vicino al lago. Una Chevrolet azzurra si accosta a loro, all’interno c’è un uomo che sembra intento a leggere qualcosa e le ragazze non ci danno conto.

L’uomo è alto circa 1.80, sui 90kg, occhialuto, indossa una maglia nera e blu su dei pantaloni neri. Le donne si allontanano e camminano lungo la riva del lago, prendendo il sole. Quando si accorgono che l’uomo le osserva silenziosamente, fumando sigarette, si preoccupano un po’. Passano 20 minuti così, quando l’uomo finalmente si allontana.

Lo stesso uomo viene avvistato da un dentista e suo figlio.

Di tutt’altra maniera l’incontro tra l’uomo misterioso e Cecilia Ann Shepard e Bryan Calvin Hartnell, due studenti universitari.

Poco prima di essere troppo vicino alla coppia, l’assassino si butta addosso una tunica nera, con dei fori per gli occhi. Sulla vita è disegnato il solito stemma molto simile a una croce celtica.

Alla cintura è appeso un pugnale, mentre nella mano destra l’uomo impugna saldamente una pistola.

Si presenta come un evaso dalla prigione di Deer Lodge, nel Montana, ed esige l’auto dei ragazzi per scappare nel Messico. La parlata è incredibilmente monotona e calma, senza cadenze o accenti.

Bryan Hartnell con freddezza, sperando di arrivare a una soluzione pacifica e senza danni, prova a rilassare il pazzo e i due finiscono per discutere a lungo, seduti sulla vettura dei ragazzi.

All’improvviso però l’assassino perde le staffe senza motivo apparente.

Lega Cecilia e comincia a colpire la coppia con il suo coltello, probabilmente estratto da una baionetta.

Sei pugnalate per Bryan Hartnell, dieci per Cecilia Shepard. Il ragazzo si riprenderà e riuscirà a depositare per la polizia, ma la ragazza morirà nel giro di 48 ore.

Prima di andarsene, lo Zodiac Killer impugna un gessetto nero, di quelli che si utilizzano nei riti magici, e scrive sulla portiera della macchina: “Vallejo 12-20-68, 7-4-69, Sept 27-69-6:30. Con un coltello.”

Anche questa volta la polizia di Vallejo riceve una telefonata, dalla stessa cabina. Non è passata nemmeno un’ora dall’aggressione.

Vorrei segnalare un assassinio, no, un duplice omicidio. I corpi sono a due miglia a nord della sede centrale del parco. Erano in una Volkswagen bianca. Sono stato io.”

11 ottobre 1969. A cadere vittima dello Zodiac Killer è un tassista 39enne di San Francisco, Paul Stine. È appena finita la corsa. Il passeggero si è fatto portare dall’angolo tra la Mason e Geary Street all’angolo tra la Washington e Maple Streets, presso Presidio Heigths. E qui, invece di pagare, estrae una pistola da 9mm e spara alla testa di Stine.

Prima di lasciare la scena del delitto, strappa un pezzo di camicia insanguinata dalla schiena del tassista e poi sparisce nella notte.

La descrizione fornita dei testimoni è sempre la stessa, anche se inizialmente dei ragazzini si sbagliano: indicano alle pattuglie un uomo di colore, e così la fuga a piedi dello Zodiac Killer è fin troppo facile.

Sul luogo del delitto vengono rintracciate le solite impronte che non porteranno mai a nessuno.

Nei giorni successivi arrivano alla stampa le solite lettere nelle quali lo Zodiac Killer si assume la responsabilità dell’omicidio. L’indirizzo del mittente c’è, ma è rappresentato dall’ormai immancabile croce celtica. Per smentire le solite voci che non si tratterebbe di lettere autentiche, lo Zodiac Killer allega al messaggio un pezzo della camicia insanguinata del tassista. Un pezzo per volta.

Nel finale delle lettere l’assassino si vanta di aver spiazzato gli investigatori, avendo cambiato all’improvviso la tipologia delle vittime, insinuando che potrebbe rubare un pulmino della scuola e uccidere tutti i bambini che ci sono sopra.

Inutile aggiungere che a queste dichiarazioni seguirà il panico. Tutti i casi insoluti della costa ovest saranno imputati allo Zodiac Killer. Da Houston ad Atlanta, fino ad arrivare a St. Louis. Si rafforzano i controlli alle uscite delle scuole e gli autisti dei pulmini vengono armati.

Seguono altre lettere, una delle quali ha un contenuto seriamente minaccioso:

È Zodiac che vi parla. Dalla fine di ottobre ho ucciso 7 persone. Sono piuttosto arrabbiato con la polizia che dice un sacco di bugie sul mio conto, quindi cambierò continuamenteil metodo di raccolta degli schiavi. Non lo annuncerò più a nessuno, quando commetterò degli omicidi, questi vi sembreranno furti, uccisioni di rabbia o futili incidenti.. […] La polizia non mi prenderà mai perché sono più intelligente di loro: 1) l’identikit che gira corrisponde a me solo quando vado a caccia di anime, il resto del tempo sono completamente diverso. 2) Non possono avere le mie impronte come dicono perché io indosso delle coperture sulle dita, sono di cemento per aeroplani. 3) Tutte le mie armi sono state comprate per corrispondenza da paesi stranieri e non potete rintracciarmi. […] La sera dell’omicidio del tassista ero al parco, dei poliziotti si sono fermati per chiedermi se avessi visto qualcuno di sospetto..” La lettera termina con una delirante descrizione di una arma potentissima, in grado di far saltare in aria un autobus, che l’assassino avrebbe costruito con le sue mani e che terrebbe in cantina.

La lettera successiva raggiunge l’avvocato Melvin Belli il 27 dicembre 1969. È allegata a una cartolina di auguri natalizi. Il killer sembra inspiegabilmente lucido e invoca addirittura aiuto. Pentito della minaccia di attentato all’autobus di bambini, chiede aiuto a Belli perché teme di perdere nuovamente il controllo e di ricominciare a uccidere. “Per piacere mi aiuti, non manterrò il controllo ancora a lungo.”

Purtroppo non contatterà più Belli in seguito, facendo perdere le proprie tracce per più di tre mesi.

Domenica 22 marzo 1970. È sera, ma da poco tempo. La 23enne Kathleen Johns sta guidando sulla Highway 132, nella Contea di San Joaquin. In auto con lei c’è la figlioletta Jennifer.

Una macchina si avvicina a lei, l’autista suona il clacson, le fa gesti e le urla che ha una ruota a terra e si propone volontariamente di aiutarla a cambiarla.

L’uomo in realtà rimuove solamente i bulloni e così, quando Kathleen si rimette in marcia, la ruota si leva del tutto. Dispiaciuto per il nuovo incidente, lo sconosciuto le offre un passaggio fino alla prossima stazione di servizio.

Il viaggio dura a lungo, nella direzione di Modesto (California), tuttavia il gentile sconosciuto pare non volersi fermare a nessuna stazione di servizio.

Kathleen capisce che è in pericolo e, agguantata la figlioletta, salta giù dalla vettura. Si nascondono tra le ombre, nell’argine prosciugato di un fiumiciattolo per l’irrigazione dei campi. Il killer prova a cercarle per circa dieci minuti, aiutandosi con i fari dell’auto e una torcia, ma alla fine abbandona l’impresa e scompare nella notte.

Raggiunta la stazione di polizia di Patterson, Kathleen si siede su una sedia, pronta a raccontare allo sceriffo la propria brutta avventura e per sporgere denuncia. Alle spalle dell’uomo c’è un tabellone con gli identikit di tutti i ricercati e, proprio tra questi, la donna riconosce il colpevole. L’identikit indicato da Kathleen Johns è quello dello Zodiac Killer.

EPILOGO
Tra l’aprile 1970 e il marzo 1971, lo Zodiac Killer inviò almeno nove lettere, ma da esse la polizia non è riuscita a risalire a nessun ulteriore crimine. Né è riuscita a rintracciare l’omicida.

Il 30 gennaio 1974, un giornale di San Francisco ricevette la prima lettera autentica in quasi tre anni. Poche parole senza senso, la firma riportava le misteriose notazioni “Me-37” e “SFPD-0”mentre 1/3 della pagina era occupato da un’enorme croce celtica, vicino alla quale compariva la dicitura “=3”.

Nel 1975, Don Striepke, uno sceriffo della Contea di Sonoma stilò un rapporto con una teoria interessante. Segnando su di una mappa una serie di 40 assassini insoluti degli Stati Occidentali, si andava a formare una gigantesca Z. Questa teoria però cadrà ben presto nel dimenticatoio, poiché nella stessa zona e negli stessi anni operava anche Ted Bundy.

Il 24 aprile 1978 è stata consegnata alla stampa la 21esima lettera dello Zodiac Killer. La lettera debutta con un inquietante “sono tornato” che ha sparso il terrore tra gli abitati della Bay Area. Nessun crimine è stato rintracciato nella zona prima o dopo la lettera e ad essa sono seguite lettere senza senso, che lodavano il lavoro della polizia. Dopo accurate analisi si è scoperto che l’autore di queste lettere sarebbe proprio Dave Toschi, ufficiale di polizia e a capo delle indagini sullo Zodiac Killer.

Altra teoria bocciata severamente è quella avanzata all’inizio degli anni ’80 dallo scrittore George Oakes. L’autore disse di essere in contatto telefonico con l’assassino da anni, e di conoscere bene la sua mentalità basata sull’acqua, sugli orologi e sulle matematiche binarie. Aggiunse anche di sapere l’identità del killer. L’F.B.I. senza nessuna delicatezza ha etichettato questa teoria come “a lot of bullshit” (evitiamo la traduzione).

Molto più interessante è un libro del 1986, “Zodiac” di Robert Graysmith. In questo volume il killer viene indicato con lo pseudonimo di “Robert Hall Starr”.

Residente di Vallejo, “Starr” è descritto come un fanatico di armi e come un molestatore di bambini, indicato dalla polizia come il sospetto numero uno. Graysmith accredita allo Zodiac Killer un totale di 36 possibili vittime, uccise tra ottobre 1966 e maggio 1981. Oltre ai sei omicid noti, Graysmith incluse 15 vittime collegate ad un misterioso killer non identificato della California settentrionale, e 15 vittime di un omicida “astrologico”, che colpisce cioè in prossimità di un solstizio o un equinozio. Il 99% delle vittime sono donne, e il modus operandi è incostante. Ciò riporterebbe alle parole “cambierò continuamenteil metodo di raccolta degli schiavi” scritto dal killer nel ’69.

Effettivamente il Robert Hall Starr di Graysmith è esistito davvero. Si chiamava Arthur Leigh Allen, ed era un insegnante incriminato per molestie sessuali nei confronti di alcuni bambini. Per anni è stato sospettato di essere lo Zodiac Killer, ed è l’unico ad aver subito interrogatori e processi su questo caso. È morto nel 1992 a 58 anni, stroncato da una malattia ai reni, ma le indagini sono proseguite sempre nella sua direzione.

Nel 2002, grazie alle moderne tecnologie, è stato estratto il DNA dalla saliva rimasta sotto alcuni francobolli utilizzati da Zodiac. Il Dna ha dimostrato che Allen non era il colpevole.

È stata la prima e unica svolta da quando, nel 2000, gli ispettoriKelly Carroll e Michael Maloney, della polizia di Vallejo, hanno riaperto il caso dello Zodiaco…e non è certo una svolta positiva.

Sempre nel 2002, nello stato di Washington, un serial killer ha firmato i propri delitti con un foglietto riportante la scritta: “Sono Dio”. “Quando morirò, rinascerò in paradiso” annunciava lo Zodiac Killer, ma si tende ad escludere che si tratti di lui che colpisce ancora a distanza di 30 anni.

Riusciranno i due ispettori californiani ad svelare il mistero dello Zodiaco, o ci troviamo al cospetto di un moderno Jack Lo Squartatore?

DANIELE DEL FRATE 16-12-2004

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