Vincenzo Verzeni – Il Vampiro di Bergamo
Soprannome: Il vampiro di Bergamo
Luogo omicidi: Bottanuco – Pavia (Italia)
Periodo omicidi: 1870 – 1871
Numero vittime: 2
Modus operandi: strangolava e mutilava le sue vittime, atti di cannibalismo e vampirismo
Cattura e Provvidementi: ergastolo
Vincenzo Verzeni, il primo serial killer certificato della storia italiana, comincia a colpire già a 18 anni e a soli 22 anni viene finalmente incastrato. Passato alla storia come lo strangolatore di donne o il vampiro di Bergamo, rappresenta un’interessante figura di serial killer vampiro, studiata da Cesare Lombroso (padre dell’antropologia criminale) nel suo libro “L’uomo delinquente”.
Lombroso, prende parte al processo Verzeni, durante il quale viene attratto da alcuni tratti somatici dell’imputato, come le mandibole enormi o gli zigomi alti e fonda su di lui le sue teorie del delinquente nato.
Alla fine del processo, Lombroso definirà l’imputato affetto da cretinismo, da necrofilia o pazzia per amori mostruosi o sanguinari, nonché malato di pellagra.
Nato nel 1849, a Bottanuco, nel bergamasco, Vincenzo Verzeni, è alto 1 e 66 per 68 chili di peso: robusto, di chi lavora nei campi, è un ragazzo docile e silenzioso, anche se solitario: sempre gentile, apparentemente innocuo.
Proviene però da una famiglia sudicia e spilorcia all’eccesso: per risparmiare denari con cui comprare il terreno mangerebbero terra invece di polenta.
Il padre è sempre ubriaco e violento e la madre, troppo remissiva, è affetta da crisi epilettiche.
Di lei Verzeni dice: “…a volte mia madre cade a terra come morta.”
In questo ambiente, Vincenzo non può assolutamente coltivare relazioni interpersonali con ragazze della sua età ed il rispetto, ingiunto, nei confronti di questo padre padrone, lo costringe a rinchiudersi in se stesso ed accumulare rabbia, frustrazione e risentimento repressi, che alla fine però esploderanno.
L’8 dicembre del 1870, Giovanna Motta 14 anni, scompare.
La ragazza viene ritrovata cadavere, con il corpo nudo, scempiato e lacerato, mancante delle viscere; ha inoltre molta terra in bocca ed è priva degli organi sessuali. Il collo presenta molti morsi e su un masso accanto al cadavere vengono inoltre ritrovati ben 10 spilloni disposti a raggiera.
Verzeni non si accontenta di quest’omicidio, ma colpisce di nuovo.
La seconda vittima è Elisabetta Pagnoncelli, è il 1872, e il suo cadavere viene ritrovato scannato, con morsi e graffi ovunque. Insomma, un rituale vampirico molto simile a quello usato per uccidere la Motta.
Tra i 2 omicidi portati a compimento, il Verzeni non resta con le mani in mano, ma cerca, senza riuscirci, di uccidere altre donne per dissetarsi con il loro sangue.
Nel 1867, afferra alla gola la cugina Marianna durante il sonno, ma la giovane grida e Verzeni è costretto a fuggire.
Nel 1869, Barbara Bravi viene avvicinata da un individuo che le afferra il collo stringendo. Alle sue grida, l’aggressore fugge. Pur non riuscendo a vedere l’aggressore, la signora Bravi non esclude che possa essere stato Verzeni.
Ancora nel 1869, Margherita Esposito viene aggredita da un uomo che lei identifica come Verzeni. La donna reagisce colpendo l’aggressore e, casualmente, Verzeni nello stesso giorno verrà visto con la faccia gonfia.
Sempre nel 1869, Angela Previtali viene aggredita e trascinata in una strada isolata, ma alla fine Verzeni la libera, mosso a compassione dalle lacrime della giovane.
Il 10 aprile del 1871, Maria Galli viene aggredita da un uomo che lei riconosce come Verzeni.
Il 26 agosto 1871, la signora Maria Previtali viene aggredita, gettata a terra e afferrata alla gola. Invitata ad indicare il suo aggressore, la signora Maria riconosce Verzeni come colpevole.
Verzeni scampa comunque la condanna a morte per fucilazione, grazie al voto di un giurato e viene quindi condannato ai lavori forzati.
Durante il processo l’imputato afferma: “io ho ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare quelle altre perché provavo in quell’atto un immenso piacere“.
I corpi riportavano i segni non prodotti con unghie, ma bensì con i denti, lui stesso afferma: “Io ho veramente uccise quelle donne e tentato di strangolare quelle altre, perché provava in quell’atto un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte colle unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzata la morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con che godei moltissimo“.
Vincenzo Verzeni non regge a lungo ai lavori forzati e, il 13 aprile 1974, viene trasferito in un manicomio giudiziario, ma lì, le “cure estreme” ricevute, come il totale isolamento nell’oscurità, docce gelate fatte cadere sul capo da un’altezza di 3 metri alternati a bagni di acqua bollente o scariche elettriche di varia entità, lo fanno chiudere in un mutismo impenetrabile, sino al 23 luglio 1874, quando viene ritrovato impiccato nella sua cella.
Il corpo di Verzeni viene ritrovato penzolante contro il muro, con indosso solo le ciabatte e le calze, appeso per il collo ad una fune attaccata all’inferriata della cella.
Cala così il sipario sull’esistenza di Vincenzo Verzeni, riconosciuto come un vampiro sadico che uccideva spinto da motivazioni sessuali: il tipico serial killer affetto da gravi tare psicologiche e turbe della sfera affettiva.
Sara Di Marzio Gennaio 2006
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