Valentino Pesenti
Soprannome: Il killer di Bavari
Luogo omicidi: Italia
Periodo omicidi: 1976 – 1991
Numero vittime: 5
Modus operandi: soffocava e masaccrava con bastonate e pugnalate le sue vittime
Cattura e Provvidementi: ergastolo
Valentino Pesenti nasce a Genova nel 1962.
La sua infanzia fu tormentata da un pessimo rapporto con i genitori, soprattutto con il padre.
Ancora minorenne, il 25 marzo 1976, uccide Giovanna Grattarola di 89 anni la donna di compagnia della contessa Elisabetta Thellung.
Il giorno dopo la fotografia che mostra i muri della casa della contessa, nel quartiere di Carignano, pieni di macchie di sangue finisce su tutti i giornali nazionali. La donna è stata uccisa con coltelli, bastoni e con arnesi di fortuna trovati in cucina.
I sospettati, perché secondo gli inquirenti un macello simile non può essere stato compiuto da un solo uomo, sono alcuni barboni dei dintorni, che sono soliti irrompere nelle case del quartiere, che avrebbero assalito la donna per trafugare una catenina d’oro e una sveglia.
Pochi mesi dopo, il 31 agosto del 1976, la signora Vera Doro chiama i carabinieri molto preoccupata perché il marito, un cinese di 50 anni di nome Kuo Yuen Suo che vive in Liguria dagli anni ’50, non è ancora rientrato a casa.
Sono le 12.50, e solitamente il marito alle 12.35, non un minuto di più, non uno di meno, entra in casa per pranzo, dopo aver chiuso il negozio di pelletteria che gestisce in via Lomellini.
I carabinieri allora effettuano un sopralluogo al negozio di Kuo e, non trovandolo, perquisiscono il retrobottega.
Kuo è proprio lì, coperto con un telo di plastica e con due pallottole calibro 7,65 nella schiena.
Si pensa subito ad una rapina (anche se sia la cassa che il portafoglio dell’uomo sono intatti), oppure ad un eventuale regolamento di conti per il racket delle estorsioni, ma neanche questa, purtroppo, è la pista giusta, così anche questo caso va a prendere polvere su uno scaffale nell’archivio della polizia, apparentemente senza colpevole.
Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, una signora chiama il 113 e racconta di avere sentito urla e spari provenire dall’appartamento al piano di sotto, ma di essere troppo spaventata per intervenire.
Minuti interminabili scorrono tra le grida e la voce incomprensibile di un uomo; poi, un silenzio spaventoso e i passi di un uomo che attraversano il giardino.
La signora si chiama Rosa e lo ha visto: indossava una grossa sciarpa a righe, rivela sotto shock alla polizia mentre quest’ultima ispeziona il luogo del massacro.
C’è sangue ovunque e le vittime sono due donne, Maria Grazia Villa di 35 anni e la madre Anna Maria Carrozzino di 67.
La signora Anna Marina è stata sorpresa a letto, legata con un cavo elettrico e colpita con un matterello e con numerose coltellate; in salotto invece c’è la figlia, uccisa a coltellate e a colpi di trinciapollo.
Appena due ore dopo l’efferato omicidio, due carabinieri trovarono sulla strada un uomo che grida a bordo di una Fiat 500, le cui due ruote destre sono finite in un cataletto impedendogli di muoversi. Facendo il gradasso, con aria strafottente, l’uomo si rivolge ai carabinieri dicendo: “Aiutatemi! Non fa parte del vostro lavoro aiutare i cittadini in difficoltà?”.
Sicuri di avere a che fare con un ubriaco, i carabinieri decidono di perquisirlo, ma c’è poco da perquisire perché l’uomo indossa la sciarpa descritta esattamente dalla signora Rosa, i suoi pantaloni sono visibilmente imbrattati di sangue e dietro il sedile ci sono i gioielli rubati in casa Carrozzino.
Valentino Pesenti, così si chiama, ha una fedina penale lunghissima: furto, scippo, ricettazione e omicidio.
Inizialmente prova a dare una versione dei fatti, per cui aveva alloggiato sei mesi a casa della signora Carrozzino, ma quando la donna si era accorta della relazione che Valentino aveva con la figlia, lo aveva cacciato di casa.
Così lui, in una notte di follia, avrebbe rubato una Fiat 500 e sarebbe tornato alla casa con il volto coperto per vendicarsi in qualche modo. La signora l’avrebbe però riconosciuto e in lui sarebbe scattato un raptus (le sue parole sono state: “Ho visto tutto rosso“).
Ma in realtà non è così: Valentino e le due donne non si conoscevano e l’uomo, sotto pressione, confessa tutti gli omicidi.
Pesenti racconta tutto in maniera particolareggiata, dicendo di aver provato piacere nell’uccidere.
Al termine del successivo processo, la corte lo riterrà capace di intendere e di volere e il 21 maggio 1992, Valentino Pesenti viene definitivamente condannato a 30 anni di carcare.
Ancora oggi Valentino Pesenti è nel carcere di Porto Azzurro, dove collabora alla testata giornalistica “La Grande Promessa”, gestita dai detenuti. Recentemente, in un suo articolo, ha richiesto a gran voce l’introduzione di riforme che promuovano misure di rieducazione alternative alla cella.
Sara Di Marzio giugno 2007
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