Unabomber

Biografie

Il parere di un criminologo non è verità assoluta.
Molte volte, anzi, riguardo ad una stessa situazione o ad uno stesso soggetto, possono esserci pareri discordanti, se non veri conflitti di opinioni. Basti pensare per esempio a quante volte in un processo si ha uno scontro di perizie tra gli esperti consultati, perizie che non raramente hanno esiti radicalmente opposti tra loro.
Il motivo è duplice: da una parte la natura della materia stessa (“in-definita”, in costante sviluppo, che si presta a più interpretazioni e letture), dall’altra la “natura” del singolo criminologo (la formazione, gli studi, la mentalità individuale di ognuno influisce in modo determinante).
Allo stesso modo, questo lavoro è opera personale, un parere che certo non vuole avere la pretesa e la presunzione di essere qualificato come puramente criminologico. Anche questo è un parere, che può non trovare tutti d’accordo poiché influenzato da tutto ciò che vi è dietro: la raccolta di informazioni e materiale, il confronto con manuali, testi e studi, e infine l’elaborazione di questo documento.

Tutto nasce quando una ragazza pone queste domande:
“Come va considerato Unabomber? Un serial killer o che altro?”
“Quale dovrebbe essere la risposta pubblica ed istituzionale una volta individuato il colpevole? Il carcere, aspetto psichiatrico, il trattamento, la cura, o il nulla?”.

I criminologi non hanno una specifica definizione per Unabomber. Questa considerazione di partenza è una perfetta conferma alla premessa introduttiva sui “conflitti di opinioni” in materia criminologia.
La conseguenza è chiara: non essendoci definizione (anzi, di più: non conoscendo chi sia in realtà il soggetto, e quindi – soprattutto – non conoscendo le sue condizioni psichiche) non si può sapere a priori quale sarà il “trattamento” da riservargli nel momento (eventuale ed auspicabile) in cui verrà scoperto. Per stabilire quali misure e quali pene applicare ad un soggetto, infatti, dovrà esserci un regolare processo che valuti le condizioni personali di tale soggetto, la sua effettiva colpevolezza, le circostanze, la gravità o tenuità dei suoi reati, insomma, un mucchio di variabili. Il concetto è questo: stabilire prima chi è il reo, per applicargli poi le pene e/o misure adeguate, perchè a seconda della qualificazione si applicano diverse possibili conseguenze.

A questo punto facciamo una seconda premessa, che riguarda invece Unabomber e il metodo che useremo.
Per provare a dare una risposta adeguata seguiremo questo procedimento: “dividiamo” Unabomber in due parti. Innanzi tutto ipotizziamo che Unabomber sia un unico soggetto agente (anche se non tutti concordano su questo). Immaginiamo ora di prendere questo soggetto e guardarlo come costituito da due componenti, che chiameremo l’Unabomber-criminale e l’Unabomber-persona.
Quello che a noi è noto è solo il primo, l’Unabomber-criminale. E’ la parte che si conosce e su cui si possono esprimere valutazioni in base a tutti i DATI REALI NOTI (gli atti, il metodo, la zona…).
Del secondo, cioè dell’Unabomber-persona, si intuisce parecchio, ma non si sa quasi nulla. Certo, le indagini e le scienze che collaborano in questo caso portano un notevole contributo, ma finora si hanno in mano solo POSSIBILI RICOSTRUZIONI: “si può immaginare” che abiti in una zona attorno a Pordenone (infatti molti degli atti a lui ricollegati sono avvenuti proprio lì, come si può vedere nelle cronologie presenti su molti siti web); “si può immaginare” che sia un soggetto con un’ottima formazione di probabile stampo ingegneristico (ma potrebbe benissimo aver fatto altri studi e aver appreso queste nozioni al di fuori dello studio, per esempio per passione personale); “si può immaginare” il suo profilo (vedi la Relazione al 29esimo “International Congress on Law and Mental Health” tenutosi a Parigi nel luglio 2005, relazione che titola “The application of innovative criminal profiling techniques to a real case: the Italian Unabomber”; la collaborazione di diversi istituti e software porterebbe persino ad intuire “la possibile tipologia di abbigliamento adottato”).
Tutte queste sono, dicevamo, ricostruzioni: un modo di guardare attraverso l’Unabomber-criminale alla ricerca dell’Unabomber-persona che c’è dietro. Persona di cui, però, purtroppo non si sa quasi nulla: non è un’affermazione di sfiducia nei confronti del lavoro svolto dagli “addetti ai lavori”, anzi, i passi da gigante della criminologia e delle scienze ad essa affiliate consentono, anno dopo anno, di trovare soluzioni altrimenti impossibili. Eppure oggi un nome ancora non c’è, e questo significa che attualmente non conosciamo l’Unabomber-persona.

A questo punto affrontiamo le due questioni, e nel farlo continueremo ad usare questo metodo: la prima questione posta (“come va considerato Unabomber?”) andrà a studiare l’Unabomber-criminale.
La seconda (“quale dovrebbe essere la risposta pubblica ed istituzionale una volta individuato il colpevole? il carcere, aspetto psichiatrico, il trattamento, la cura, o il nulla?”) verterà sulle osservazioni su Unabomber-persona.

La prima questione.
Partiamo dall’escludere ciò che Unabomber non è.
Unabomber non è un serial killer. Questa a qualcuno può sembrare un’ovvietà, ma per molti non lo è.
Se prendiamo la definizione di “serial killer” più comunemente accettata nella criminologia moderna, vediamo che il Crime Classification Manual dell’FBI (1992) definisce l’omicida seriale come colui il quale “commette tre o più omicidi” (le morti non sono frutto dello stesso atto; un soggetto che entra in un ufficio e con una scarica di mitraglietta uccide cinque persone non è un serial killer, bensì commette una strage, un “mass murder”, poiché le morti sono contestuali) “in tre o più località distinte, intervallate da un periodo di raffreddamento emozionale” (periodo che non ritroviamo invece nell’attività dello “spree killer”, che colpisce più vittime in più luoghi ma nell’ambito di “un singolo, prolungato momento distruttivo” – come definito da Lucarelli e Picozzi).
In effetti ritroviamo questi requisiti in Unabomber: almeno tre vittime (ricordando che la “vittima” non è solo il morto), località distinte (vedi la cartina segnalata in precedenza) e periodo di raffreddamento emozionale, o “cooling-off period”: tra un episodio e il successivo passa del tempo, e le morti non sono frutto dello stesso momento psicologico; proviamo ad immaginare l’attività del serial killer come un ciclico ripetersi di fasi: progressiva eccitazione – preparazione “mentale” dell’evento – realizzazione dell’evento – momento di distensione e scarico emozionale.
In effetti, il più delle volte passa molto tempo tra il ritrovamento di un ordigno (attribuito a Unabomber) e il ritrovamento di quello successivo, anche se i fattori sono molteplici: i lunghi tempi di preparazione dell’ordigno, lo studio della zona e del momento in cui piazzarlo, il voler “far calmare le acque” prima di colpire di nuovo (o magari ordigni non esplosi: potrebbe esser successo per esempio che un tubetto di maionese esplosivo non sia stato acquistato da clienti e quindi portato in discarica dopo la scadenza).
Per tutti questi motivi, e per la “serialità” con cui colpisce, viene subito in mente l’accostamento ad un serial killer. Ma a mio parere non può affatto esser definito tale: le analogie sono molte ma un killer uccide, e Unabomber non ha mai ucciso nessuno.
Questo è un dettaglio non irrilevante. Nonostante i numerosi (circa 30) episodi di oggetti riempiti di esplosivo, non c’è mai stata una vittima.
Attenzione: questo non è un caso. Se non ci sono vittime non è perché il congegno era difettoso (non sempre è esploso, ma ci sono diversi motivi) o perché la vittima si è salvata per miracolo: l’intento sembra palesemente di non uccidere. UNABOMBER FABBRICA ORDIGNI CHE PER ESPLODERE HANNO BISOGNO DI INTERVENTO UMANO (il bambino che apre l’evidenziatore o la sorpresa dell’ovetto di cioccolato, la massaia che apre il tubetto di maionese, il turista o lo spazzino che spostano il tubo dalla spiaggia…), quindi SA GIA’ A PRIORI CHE IL SUO OGGETTO FERIRA’ UNA PERSONA (quella necessaria per l’attivazione dell’ordigno). MA NON SI E’ MAI VERIFICATA UN’ESPLOSIONE LETALE. Si deduce chiaramente che l’intento non è mai stato di uccidere: se avesse avuto tale scopo, avrebbe variato la quantità di esplosivo (in modo da renderla letale), oppure non avrebbe usato oggetti così piccoli, ma più grandi, con effetti ancor più devastanti. PER AVERE LA CERTEZZA DI UCCIDERE CI SI DEVE PROCURARE I MEZZI PIU’ ADATTI E CHE DIANO PIU’ GARANZIE DI RIUSCITA. Dunque, alla luce di queste considerazioni, è difficile pensare di trovarci dinnanzi a una trentina di fallimenti, tanto più se consideriamo che la preparazione degli ordigni e il loro piazzamento (come si diceva sopra) sono operazioni lunghissime, di giorni e giorni, a volte anche di mesi; una preparazione così accurata fa pensare che ci sia sempre molta cura anche in vista dell’obiettivo prefissato (abbastanza potenti da ferire, ma non da uccidere).
Dunque da queste considerazioni ricaviamo che Unabomber piazza congegni senza intento di uccidere, ma con consapevolezza di ferire.

Potremmo definirlo come “terrorista”. Va precisato innanzitutto che del “terrorista” non esiste una definizione precisa come per i serial killer, se escludiamo quella contenuta nel Terrorism Act britannico che però rimane piuttosto generica: terrorista è colui che pone in essere “atti intenzionali che possono recare grave danno ad un paese” commessi allo scopo di “intimidire gravemente una popolazione o per destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali costituzionali economiche o sociali di un paese“.
Se vogliamo, però, questa definizione potrebbe calzare meglio sull’Unabomber “originale”, Theodore Kaczynski. A lui vengono attribuite 16, tra bombe o lettere esplosive, che ferirono 29 persone e ne uccisero 3. Il suo operato però si iscriveva in un movimento anarchico in America (la sua storia si può trovare ad esempio sulla versione anglofona di Wikipedia).
L’Unabomber nostrano, invece, non lascia messaggi, non scrive lettere, non esce allo scoperto. Non ha scopo di estorsione e non opera per ottenere qualcosa di definito, altrimenti i suoi attentati (perché di attentati si tratta) sarebbero molto più ravvicinati nel tempo e seguirebbero una progressiva incisività (facciamo un esempio: se volesse ottenere dei soldi, non farebbe passare così tanti anni tra i vari episodi; opererebbe invece in tempi più brevi per tenere sempre alta la tensione, e le sue bombe sarebbero sempre più forti e violente di volta in volta per crearsi più credibilità e dimostrare intenzioni ferme).

Non credo lo si possa definire nemmeno un sadico. Il sadico prova piacere nel causare dolore agli altri, e quindi i suoi atti sono più frequenti (chi insegue un “piacere” di qualunque tipo tende a procurarselo il più volte possibile); inoltre c’è spesso una “categoria preferenziale” di soggetti su cui si accanisce (per esempio: prostitute, donne anziane, bambini…). Unabomber invece colpisce, in un arco di tempo anche parecchio esteso, soggetti molto differenti tra loro, a lui non conosciuti, e indeterminati (sa già che l’ovetto lo aprirà un bambino ma non “quel” bambino; che il tubetto lo acquisterà una casalinga ma non “quella signora”).

Non potendo sapere quale sia lo scopo del suo operato (almeno finchè non si conoscerà l’Unabomber-persona), risulta difficile inquadrare Unabomber in una specifica tipologia di criminale. Personalmente, ritengo che si avvicini alla figura dell’attentatore, se non altro perché, a prescindere dalle finalità, col suo operato Unabomber mette in atto dei veri e propri “attentati” alla salute (e potenzialmente anche alla vita) delle persone. Per il resto, alla luce di tutto quanto abbiamo analizzato, è plausibile ipotizzare che si senta come se vivesse una sfida: una sfida con la sua abilità a fabbricare ordigni, una sfida con le sue abilità a restare sconosciuto, una sfida con le autorità a restare libero. E’ plausibile ipotizzare anche che agisca solo, che sia un’unica persona, proprio per tutte le osservazioni fatte.
Queste sono alcune generiche ipotesi che possiamo fare sull’Unabomber-criminale. Questa è la risposta che io personalmente darei alla prima questione posta.

La seconda questione riguarda essenzialmente la risposta dell’ordinamento.
La risposta non può prescindere dalla “persona”.
Il trattamento da riservare a un criminale non è conoscibile a priori.
Questo perché, sempre a priori, si conoscono gli atti del criminale (si sa che Unabomber ha confezionato determinati ordigni esplosivi, li ha piazzati in determinati posti, ne è esploso un certo numero, ci sono state determinate vittime…), ma non si conosce la persona (non si ha attualmente risposta al primo grande interrogativo, cioè il perché; non si sa se agisce con uno scopo; non si sa cosa nella sua vita lo ha condizionato; non si sa se sia pienamente capace di intendere o di volere…): si hanno solo intuizioni.
La sede in cui si conosce la realtà della PERSONA nascosta dietro l’attività di un CRIMINALE è il processo. L’esito di un processo, apparentemente unico, è in realtà triplice (secondo il punto di vista adottato in questa sede):
1 – viene ricostruita la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato;
2 – viene stabilita la “percentuale”, il “grado” di colpevolezza (questo varia da persona a persona, tenendo conto di tutti i fatti e tutte le variabili: presenza o meno di capacità di intendere e di volere; presenza di attenuanti e aggravanti…);
3 – viene stabilita una condanna che si adatti (il più precisamente possibile) a tale “percentuale”.
Quindi, se ci si chiede “quale dovrebbe essere la risposta pubblica ed istituzionale una volta individuato il colpevole”, la risposta non è perfettamente formulabile a priori. Si guardi anche alla stessa legge penale: non pone una pena fissa, bensì dei limiti (un minimo e un massimo) per renderla più flessibile ed adattabile alla persona. Per gli stessi motivi, a una pena può aggiungersi una misura di sicurezza, un provvedimento che (almeno nella teoria) vuole essere improntato “ad personam” ancor più della pena.
Alla luce di queste considerazioni, onestamente la questione posta in questi termini mi sembra irrisolvibile a priori. La vera, prima e principale “risposta (…) una volta individuato il colpevole” sarà proprio un processo, regolare e accurato, perché solo questo potrà dire cosa meriterà il colpevole.

Vista la complessità e l’elaborazione del suo operato, personalmente ritengo che probabilmente dietro a Unabomber ci sia una persona pienamente (o quasi) capace di intendere e di volere, ma non potrei mai immaginare se, quale e in quale misura gli verrà mai applicata una misura di sicurezza o un “trattamento psichiatrico”.
Per quanto si conosce di Unabomber, l’unica cosa che potremmo immaginare con ragionevole certezza è che, valutata la sua attività e le lesioni procurate alle vittime, vi sarà una pena detentiva. La durata di tale pena dipenderà anche da come sarà qualificata dai giudici proprio la sua attività, cioè da come essi, alla luce dei fatti e delle ricostruzioni, risponderanno alla prima delle questioni qui analizzate.

Luca DarKnight febbraio 2007

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