Robert Lee Yates
Soprannome: Il serial killer di Spokane
Luogo omicidi: Washington (U.S.A.)
Periodo omicidi: 1975 – 1998
Numero vittime: 16 +
Modus operandi: sparava alla testa delle sue vittime
Cattura e Provvidementi: ergastolo
Robert Lee Yates, conosciuto anche come “Il serial killer di Spokane” e “Psycho Killer“, era all’apparenza un uomo davvero ordinario: sposato, padre di 5 figli (4 femmine ed 1 maschio).
Un uomo che dedicava la sua vita interamente alla famiglia e al servizio militare, che svolgeva in modo esemplare. Eppure, dietro questa maschera di apparente perbenismo e normalità, si nascondeva uno spietato serial killer, capace di uccidere almeno 16 persone nell’arco di 24 anni, diventando uno tra i più prolifici serial killer dello stato di Washington, Stato che curiosamente ha dato i natali o ha rappresentato un punto di passaggio per moltissimi serial killer americani.
Yates verrà anche ricordato per il suo modus operandi, uno tra i più ripetitivi e monotoni in assoluto, il che bisogna ammettere non fa certo di lui uno dei serial killer più interessanti da analizzare ma che al tempo stesso gli ha permesso metodicamente di uccidere un gran numero di persone senza essere catturato. Il suo odio principale, come vedremo, sarà rivolto alle prostitute, ma forse sceglieva quei bersagli solo per motivi opportunistici, nascondendo problematiche interiori più estese.
Robert L. Yates nacque il 27 maggio 1952, a Whidbey Island (WA).
Nei suoi primissimi anni non accadde nulla da segnalare, almeno fino ai 6 anni, quando accadde il primo vero dramma per Yates, un dramma che forse lo segnò per tutta la vita: un adolescente del vicinato abusò sessualmente di lui più volte. Non è chiaro se, in seguito, Yates usufruì di aiuto psicologico per superare quel trauma o se lo tenne dentro di sé per il resto della sua vita, fino a quando non venne a galla dopo il suo arresto.
Ad ogni modo, nonostante il trauma subito, Yates riuscì a passare senza problemi gli anni scolastici, anche se mentre si trovava ancora a studiare all’High School un altro dramma lo segnò: sua madre morì anzitempo per una malattia.
Dopo essersi diplomato all’High School, Yates si iscrisse al Walla Walla College, da dove però si ritirò dopo soli 2 anni, preferendo cominciare a lavorare.
Nel 1972, si sposò con una ragazza di nome Shirley Nylander, ma il matrimonio durò poco e, nel 1974, i due divorziarono.
Nel 1975, ottenne un lavoro come guardia penitenziaria nel carcere di Walla Walla, nello stato di Washington, dove lavorò per circa 6 mesi.
L’anno successivo, si sposò con una ragazza molto giovane di nome Linda e, poco tempo dopo, si arruolò nell’esercito, dove trovò finalmente la sua vera strada, tanto che per i successivi 19 anni lavorerà ininterrottamente per l’esercito statunitense come pilota d’elicottero.
L’elicottero che pilotò maggiormente fu l’OH-58D Kiowa, un elicottero da ricognizione molto utilizzato dall’esercito statunitense.
Per il suo lavoro, Yates stazionò in Germania durante la guerra fredda, partecipò alla Guerra del Golfo nel 1991, partecipò agli aiuti militari dopo la devastazione dell’uragano Andrew in Florida nel 1992, partecipò alla missione di peacekeeping dell’ONU in Somalia nel 1993 e partecipò alla missione “Sostenere la Democrazia” ad Haiti nel 1994.
In addizione alla licenza di volo per motivi militari, Yates aveva anche una licenza di volo per motivi commerciali e di trasporto passeggeri, ma non la utilizzò mai. Da segnalare, in rapporto al suo servizio militare, come Yates si dimostrò assolutamente uno tra i migliori elicotteristi meritandosi un gran numero di medaglie e riconoscenze.
Yates terminò la sua carriera con il massimo grado di sottufficiale possibile nell’esercito USA e, in considerazione delle oltre 5.000 ore di volo che aveva fatto nelle più disparate missioni, gli venne assegnato il titolo di “Master Army Aviator”.
Alla fine, dopo 20 anni di onorata carriera, si congedò dall’esercito, nel marzo 1996, con una ottima pensione.
Questo per quanto riguarda la sua carriera militare, ma non si può dire di meno per quella familiare. La moglie Linda gli diede ben 5 figli (4 femmine ed 1 maschio), all’interno di un rapporto familiare generalmente sereno, apparentemente ancor di più dopo il suo ritorno in vesti civili, quando, avendo più tempo e soldi, decise di trasferire tutta la famiglia in un bel ranch a due piani sulle colline a sud di Spokane, città nell’estremo est dello stato di Washington. Successivamente, nell’aprile del 1997, mancandogli il volo, chiese ed ottenne di poter far parte della Guardia Nazionale dello stato di Washington.
Ebbene fin qua abbiamo parlato di quella che potrebbe essere la biografia di una persone comune ed esemplare, come tante ce ne sono tra le persone oneste che lavorano. Eppure, anche se risulta difficile crederlo, quando Yates si ritirò dall’esercito aveva già commesso 3 omicidi (e di molti altri fu sospettato). In seguito al suo ritiro, fece altre 13 vittime, per un notevole conto totale minimo di 16 morti.
Passiamo quindi ad elencare gli omicidi di Yates, iniziando da quello che è il prologo e che non è un semplice omicidio, bensì un duplice omicidio, avvenuto nel lontano 1975, quando Yates non era ancora entrato nell’esercito e lavorava come guardia penitenziaria al carcere di Walla Walla.
Senza un movente preciso, che non sia la voglia misteriosa ed insondabile di uccidere (come per tutti o quasi gli omicidi di questo serial killer) Yates, nell’estate del 1975, avvistò una coppia di amici, che quel giorno aveva deciso di approfittare del bel tempo per fare un picnic sulle rive del Mill Creek a Walla Walla. Erano un ragazzo e una ragazza che si conoscevano praticamente fin da quando erano bambini: Patrick Oliver e Susan Savage. Yates si avvicinò a loro e sparò senza una ragione precisa 3 colpi di pistola al maschio e 2 colpi di pistola alla femmina.
L’arma era una pistola calibro 357, che Yates utilizzava per il suo lavoro di guardia penitenziaria, mentre le munizioni le aveva acquistate 10 giorni prima di effettuare il duplice omicidio.
Nei giorni seguenti, gli investigatori provarono a dare un senso a quelle due morti inspiegabili, senza trovare una risposta valida.
Passarono così i giorni, i mesi, gli anni e il caso rimase insoluto, fino a quando dopo il suo arresto Yates non confesserò anche quello. Il motivo che lo aveva scatenato era alquanto banale: Yates spesso si recava in quella zona per fare pratica di tiro e, vedendo i due ragazzi, inspiegabilmente, praticamente per sport, approfittando del fatto che era una zona di solito deserta con nessuno nei paraggi, decise di fare pratica di tiro con loro, uccidendoli entrambi. Sarebbero passati ancora molti anni prima che l’opinione pubblica conoscesse “Il serial killer di Spokane”, ma intanto, in quel lontano 1975, Yates aveva già dato ad intendere a sé stesso quanta importanza dava ad un altro essere umano.
Come detto precedentemente, Yates è stato accusato ufficialmente di 16 omicidi, ma molti in più potrebbero essere quelli che realmente ha commesso, una prova di questo è il fatto che il suo successivo omicidio, quello che in teoria dovrebbe essere il terzo, Yates lo confessò solo dopo un accordo con i procuratori che, in cambio, promisero di chiedere la pena di morte.
L’omicidio in questione, il terzo ufficiale di Yates, avvenne il 7 luglio 1988 e la vittima fu Stacy Hawn, una ragazza di 23 anni che sembra lavorasse come prostituta. La ragazza fu uccisa in stile “esecuzione”, con un colpo di pistola alla testa, e il suo corpo fu trovato ben 5 mesi dopo, da un taglialegna, in un bosco nella contea di Skagit, nei pressi del Monte Vernon.
Il cadavere era ridotto ormai a poco più di uno scheletro, tanto che venne identificata solo attraverso l’arcata dentale. L’omicidio rimase insoluto e, per un certo periodo, venne addebitato al celebre “Green River Killer” che agiva più o meno nelle stesse zone.
La sensazione che Yates avesse cominciato ad uccidere da molti anni ce l’avevano in molti tra gli inquirenti, sin da quando, a partire dall’inizio del 1990, nell’area di Spokane, si cominciarono a contare numerosi i cadaveri di giovani donne, prevalentemente prostitute, che venivano uccise tutte più o meno allo stesso modo, con dei colpi di pistola di piccolo calibro.
In quell’anno ci furono ben 4 omicidi, pressoché identici, di prostitute, quasi sempre anche tossicodipendenti, che venivano ritrovate nude, uccise con uno e due colpi di pistola calibro 22, una sola di esse aveva anche delle contusioni e lacerazioni alla testa, segno che forse aveva capito qualcosa e aveva provato a ribellarsi.
Tutti i corpi, a parte il colpo di pistola, erano pressoché intatti. Data la vicinanza in cui furono ritrovati i cadaveri e data la similitudine con cui furono eseguiti gli omicidi, era evidente che c’era un serial killer nell’area, ma le investigazioni non andarono subito a buon fine.
L’elenco era il seguente: Yolanda Sapp, 26 anni, prostituta di colore e tossicodipendente ritrovata il 22 febbraio 1990; Nickie I. Lowe, 34 anni, prostituta tossicodipendente ritrovata il 25 marzo 1990; Kathleen Brisbois, 38 anni, prostituta tossicodipendente ritrovata il 15 maggio 1990.
Passarono due anni esatti prima che il killer ricominciasse a colpire, sempre allo stesso modo, il che portò gli inquirenti a pensare che in quei due anni si era trasferito e aveva ucciso altrove.
Il 13 maggio del 1992, venne trovata Sherry Palmer, prostituta occasionale di 19 anni.
La sera del primo maggio stava andando a trovare il suo fidanzato, ma non arrivò mai a destinazione: l’assassino la uccise in qualche posto e poi trasportò il suo cadavere sulla Bill Gulch Road, a circa un quarto di miglia da Mt. Spokane Park Drive.
Tutto faceva pensare che il serial killer di Spokane fosse tornato: il fatto che fosse stata uccisa con un colpo di pistola calibro 22, che fosse una prostituta, che fosse nuda, senza ferite da nessuna parte e con i vestiti abbandonati non molto distanti dal cadavere, tutti elementi emblematici del serial killer di Spokane.
Come sempre, come in tutte le autopsie effettuate sulle altre donne uccise, vennero presi campioni di capelli, vennero prelevate tutte le fibre estranee sul corpo, vennero fatti tamponi orali, anali e vaginali. Non servì comunque a nulla, visto che non c’era nemmeno un sospetto tra le mani degli inquirenti.
Passarono altri 3 anni, prima che il killer ricominciasse a colpire. Nel frattempo, gli investigatori si tennero informati con altri stati e contee, nel tentativo di individuare omicidi simili in altre zone, cosa non facile considerando che più o meno nello stesso periodo era in azione anche il “Green River Killer” (poi conosciuto come Gary Ridgway), con possibilità quindi di fare confusione.
Inconfondibile fu invece il segno del serial killer di Spokane, il 25 agosto del 1995, quando il cadavere nudo della sessantenne Patricia L. Barnes fu ritrovato sulla Peacock Hill Road, nella contea di Kitsap, non molto distante da Spokane. La Barnes era conosciuta come una donna di strada semialcolizzata, ma non una prostituta né una tossicodipendente. Anche lei comunque venne uccisa con alcuni colpi di pistola calibro 22.
A quel punto, venne formata una task force per catturare il serial killer di Spokane.
Tutti gli omicidi elencati finora, dal 1990 al 1995, non verranno comunque addebitati poi a Yates in fase processuale, sebbene la sua responsabilità su tutti questi sia più che probabile, cosa che farebbe aumentare il conto delle vittime ad almeno 21.
Passiamo quindi ora a tutti gli omicidi che, in fase processuale, furono addebitati senza ombra di dubbio a Yates e che il serial killer stesso confessò.
Il primo di questi omicidi venne a galla il 14 giugno 1996, quando il cadavere in avanzato stato di decomposizione della prostituta trentanovenne Shannon R. Zielinski fu trovato tra Mt. Spokane Park Drive e Holcomb Road, a Spokane.
A differenza di tutte le altre vittime, il cadavere fu trovato vestito, anche se privo delle mutandine, i collant e degli stivali.
L’identificazione della Zielinski fu fatta tramite impronte digitali. A causa delle condizioni in cui fu trovato il cadavere, non furono possibili esami tossicologici sul cadavere, ma la Zielinski era comunque conosciuta per essere anch’essa tossicodipendente ed alcolizzata. L’ultima volta fu vista il 27 maggio 1996, all’una di notte, mentre attendeva qualche cliente. Dopodiché il nulla. Anche lei, come tutte le altre, era stata uccisa con un colpo di pistola alla testa.
Passò un anno e, nel luglio 1997, fu trovato un altro cadavere, quello di Heather L. Hernandez, una prostituta ventenne, vestita solamente con una camicetta e un reggipetto. I suoi resti decomposti furono trovati dietro un campo, al numero 1817 di E. Springfield Road, in Spokane.
La donna fu uccisa in un parcheggio lì vicino e poi trascinata alla destinazione finale; questo fu possibile appurarlo da una lunga striscia di sangue lasciata sul terreno. Gli altri vestiti non furono trovati. Anche la Hernandez, manco a dirlo, fu uccisa con un colpo di arma da fuoco alla testa.
Il 1997 fu un anno importante per il “serial killer di Spokane”,che iniziò a colpire ripetutamente.
Il 26 agosto 1997, fu scoperto il cadavere di una ragazza scomparsa da luglio. Una certa Jennifer Joseph, prostituta di origine asiatica di appena 16 anni. Era seminuda, con alcuni vestiti vicini a lei ed un profilattico usato vicino al corpo. Come in molti altri casi, le indagini suggerirono che era stata uccisa in un altro luogo e successivamente trasportata in una zona più isolata e riparata. Nel suo caso la causa della morte furono delle ferite multiple da arma da fuoco.
Dopo l’omicidio della Joseph, ci fu la prima testimonianza di una prostituta che lavorava nei pressi e che descrisse un uomo bianco tra i 30 e i 40 anni, con la faccia lievemente butterata, su un’auto che poteva essere una Corvette bianca. Quelle furono le prime indicazioni a dare agli investigatori, che fino a quel momento erano rimasti al palo, una qualsiasi pista da seguire.
Mentre gli inquirenti erano nel pieno dello sforzo d’indagine per catturare il serial killer di Spokane, ci fu una prima occasione per fermarlo, nella notte del 24 settembre 1997, quando un poliziotto fermò la Corvette bianca di Yates per un’infrazione stradale. Per sfacciata fortuna di Yates, il collegamento non fu subito notato, perché l’agente per errore scrisse che la macchina era una Camaro del 1977 con targa Washington KIH442. Solo tempo dopo, gli investigatori si accorsero dell’errore controllando la targa e verificando che apparteneva effettivamente ad una Corvette. Nel frattempo però gli omicidi stavano continuando in rapida successione.
Il 5 novembre 1997, venne trovato un altro cadavere in una zona isolata nei dintorni di Spokane. L’assassino, nel tentativo di celare il corpo, l’aveva seppellito in una buca poco profonda, così fu individuato da un residente della zona che avvertì immediatamente la polizia.
Il cadavere era nudo e fu identificato successivamente come quello di Darla Sue Scott, una prostituta tossicodipendente di 29 anni. La vittima era stata uccisa con una pistola calibro 22 o 25 e sulla sua testa erano posizionati tre sacchi di plastica, che da quel momento in poi diventarono la firma dell’assassino.
Difatti un mese più tardi, il 7 dicembre 1997, un altro cadavere fu trovato nella zona con tre sacchi di plastica sulla testa. La vittima era una prostituta tossicodipendente di 34 anni, di nome Melinda L. Mercer, era stata uccisa con diversi colpi di pistola calibro 25 alla testa e fu ritrovata nuda. Unica differenza rispetto agli altri casi, questa donna fu trovata nell’area di Tacoma, che comunque è un’area limitrofa, sempre nello stato di Washington. Dopo aver esaminato la sua borsa, gli inquirenti stabilirono che mancavano degli oggetti, cosa che già avevano notato dopo altri omicidi, il che li portò a desumere che “il serial killer di Spokane”, oltre a giustiziare prostitute, si divertiva a portarsi dei trofei o “souvenirs” a casa.
Intanto, prima di Natale, l’assassino, che ormai stava accelerando sempre di più il suo ritmo, uccise un’altra prostituta. Il cadavere fu ritrovato il 17 dicembre 1997, nella stessa area dove fu trovato quello di Darla Sue Scott poco più di un mese prima. Il cadavere era vestito, ma aveva tre sacchi di plastica infilati sulla testa.
La vittima era Shawn L. Johnson, una prostituta di 36 anni, che era stata vista l’ultima volta ben 2 mesi prima. Il motivo per cui fu trovata così tanto tempo dopo è che il killer l’aveva gettata da una strada in un burrone, in una zona assai poco frequentata. Anche lei, come tutte le vittime di Yates, era stata uccisa a colpi di pistola. Sulla scena del crimine stavolta furono però trovati dei capelli e delle fibre, che gli investigatori speravano potessero dare qualche indizio in più per arrivare alla cattura dell’assassino.
Passò il Natale e spuntarono fuori altri due corpi, entrambi vestiti, eccetto le scarpe e i cappotti che mancavano del tutto dalla scena del crimine, forse portati via dall’assassino come “trofei”.
Le vittime furono identificate come Laurel A. Wasson di 31 anni e Shawn A. McClenahan di 39 anni. Tutte e due avevano 3 sacchi di plastica infilati sulla testa e le autopsie stabilirono che entrambe erano state uccise a colpi di pistola di piccolo calibro. Anche in questo caso, l’assassino aveva probabilmente ucciso le vittime in un altro luogo e le aveva poi trasportate in quella che in gergo si definisce “zona di scarico”. Il killer aveva anche fatto un tentativo approssimativo di nascondere i corpi, ricoprendoli con del fogliame e delle piante, che però non appartenevano alla vegetazione circostante, segno che forse il killer si era portato le foglie e le piante da casa, il che avrebbe potuto rappresentare una prova in più nel caso fossero riusciti a mettere le mani su qualche sospetto.
Intanto passarono i mesi e, il 28 febbraio 1998, venne scoperto un altro cadavere (il dodicesimo), in un’area rurale di Spokane. Il cadavere fu identificato come quello di Sunny G. Oster, una nota prostituta tossicodipendente. Il suo corpo era completamente vestito, ad eccezione di un paio di scarpe che però fu trovato a poca distanza dal cadavere. Tanto per cambiare, la donna era stata uccisa a colpi di pistola alla testa, sulla quale erano stati infilati 3 sacchetti di plastica. L’ultima volta che fu vista viva era l’1 novembre 1997, mentre si stava prostituendo. In base a varie testimonianze, venne ricostruito che aveva con sé una borsetta beige, che però sulla scena del crimine non fu ritrovata, probabilmente sequestrata come altro “trofeo” del serial killer.
Poco più di un mese dopo venne trovata la tredicesima vittima ufficiale di Yates: la trentaquattrenne Linda M. Maybin, prostituta tossicodipendente di cocaina, che fu trovata al numero 4800 di East 14th Avenue, a poca distanza da dove furono trovati i cadaveri di Laurel A. Wasson e Shawn A. McClenahan a dicembre. Omicidi peraltro molto simili. La vittima anche in questo caso era coperta con della vegetazione che non apparteneva al luogo, era vestita e aveva 3 sacchi di plastica sulla testa. Il corpo della Maybin era stato ucciso probabilmente molto tempo prima, perché l’ultima volta che era stata vista era il 21 novembre 1997 ed il suo corpo era in una stadio di decomposizione molto avanzato, per giunta morsicato e mutilato da animali selvatici.
Poiché in quella zona erano stati trovati vari cadaveri, a distanza ravvicinata tra loro, vennero fatte ricerche estese per verificare che non ce ne fossero altri e che quindi l’assassino non usasse quella zona come discarica abituale, ma le ricerche non portarono a nessun risultato.
Il serial killer tornò a farsi vivo nel luglio del 1998, quando il 7 di quel mese, su un terreno isolato a Spokane, fu trovato il corpo di Michelyn J. Derning, prostituta di 47 anni, vista per l’ultima volta 3 giorni prima a Spokane. Il corpo era coperto con dell’erba e la causa della morte era una ferita da sparo alla testa. Gli esami tossicologici stabilirono che aveva nel corpo delle amfetamine.
Arrivò l’autunno e per gli inquirenti fu la volta di raccogliere da terra il cadavere di Connie L. Ellis, un’altra prostituta tossicodipendente, trovata nelle vicinanze del numero 1700 della 108esima strada sud a Tacoma, con 3 sacchi di plastica sulla testa. Il cadavere era malamente decomposto, ma ciò permise ugualmente al medico legale di stabilire che la vittima era stata uccisa con un colpo di pistola alla testa . Una pallottola calibro 9 fu trovata nelle vicinanze del delitto, ma la Ellis portava con sé per autodifesa una pistola calibro 9, cosa che portò gli inquirenti a pensare che la prostituta si era accorta delle intenzioni dell’assassino e aveva provato a sparargli prima di essere uccisa.
La caccia al serial killer di Spokane era ormai serrata ed erano coinvolte nell’operazione molte contee limitrofe. Per gli inquirenti con l’omicidio della Ellis gli omicidi del serial killer di Spokane erano almeno 17 (alcuni di questi non gli furono poi addebitati in sede processuale). In realtà gli inquirenti non sapevano ancora che l’assassino aveva ucciso un’altra volta a giugno. La vittima, Melody Ann Murfin, prostituta quarantatreenne e tossicodipendente, venne riportata come scomparsa il 4 giugno 1998 e fu lo stesso Yates, dopo la sua cattura, a dirigere gli investigatori verso il luogo in cui aveva abbandonato il corpo che fu quindi trovato nel 2000, in condizioni tali da non permettere nessun tipo di identificazione dal medico legale. L’identificazione avvenne solo grazie ai familiari, che la riconobbero attraverso alcuni gioielli che aveva addosso.
Nonostante gli sforzi della polizia scientifica, le indagini sul Serial Killer di Spokane non furono affatto facili. Innanzitutto, gli esami balistici non furono in grado di determinare se la stessa pistola era stata usata per tutti gli omicidi, ma solo per alcuni, in qualche caso per via delle pallottole eccessivamente rovinate nel passaggio attraverso i tessuti e le ossa del corpo. Inoltre i capelli e le fibre trovati sui cadaveri risultarono appartenere a tutto e al contrario di tutto, persone di razza bianca, di colore, animali. Insomma non era un caso semplice e intanto l’assassino aveva già ucciso un innumerevoli di volte. Di positivo c’era soltanto che, in almeno 7 casi, lo sperma ritrovato dentro i cadaveri apparteneva ad uno stesso individuo che, se catturato, sarebbe potuto essere incastrato dall’esame del DNA.
Un’altra cosa che accomunava tutti gli omicidi, e questo stranamente fu notato solo in seguito, è che le donne non avevano mai soldi nelle loro borsette (in certi casi non fu trovata neanche la borsetta), il che significava che il killer le derubava dopo averle uccise.
Ad ogni modo, la fortuna stava piano piano per voltare le spalle a Yates.
Un primo segnale si ebbe il 10 novembre 1998, quando, per la seconda volta, fu fermato, con a bordo una prostituta, dallo stesso agente di polizia che già lo aveva fermato tempo prima. Yates si inventò che gli era stato chiesto dal padre della ragazza di riportarla a casa e la prostituta assentì. La macchina, una Honda Civic argentata, targata Washington 918AJH, fu lasciata andare. Grazie a quell’incontro, senza saperlo, la prostituta ebbe salva la vita, mentre Yates finì per la seconda volta nei taccuini della polizia.
Nello stesso periodo, venne alla luce una testimonianza che poi si rivelò molto importante. Quella di una prostituta che, il primo agosto 1998, conobbe il serial killer e riuscì miracolosamente a salvarsi. Lei fu l’unica a vedere in faccia l’assassino e a riuscire a salvarsi e fu preziosa anche per descrivere meglio quale fosse la dinamica degli omicidi del killer, di come agiva prima di colpire. Fu sopratutto grazie a lei che gli inquirenti si convinsero che Yates era il loro uomo.
La ragazza, di nome Christine Smith, aveva 20 anni ed accettò di entrare in un furgone nero (un veicolo che Yates usava per lavoro), guidato da un uomo bianco sui 30-40 anni, in cambio di 40 dollari per del sesso orale. Il furgone aveva sul retro un piccolo letto con un materasso e mentre i due si accomodavano, Yates disse a lei di essere un pilota d’elicottero della Guardia Nazionale.
Ad un certo punto la Smith, forse per un sesto senso, chiese a Yates se era lui lo “Psycho Killer” che uccideva le prostitute nell’area e Yates gli rispose di no, perché lui era un uomo che aveva 5 figli a cui badare. Dopodiché, la Smith cominciò a praticare sesso orale su Yates, per diversi minuti, senza che però l’organo genitale dell’uomo desse segni di vita. Poi, dopo circa 5 minuti, sentì di essere stata colpita alla testa con qualcosa e perse conoscenza. Quando si risvegliò, Yates, ancora presente, disse che voleva indietro i suoi soldi, chiedendole se si ricordava il suo nome e cosa stavano facendo lì. La Smith fu poi lasciata andare e, perdendo sangue dalla testa, si recò al più vicino ospedale. I medici le misero 3 punti sulla testa, dopodiché chiamò la polizia per raccontare ciò che le era successo.
Sul momento la ragazza non fu in grado di fare una descrizione precisa dell’uomo con cui aveva avuto a che fare, ricordò però che aveva la faccia leggermente butterata e che le aveva detto di essere un pilota d’elicottero della Guardia Nazionale.
Gli inquirenti cominciavano a pensare che quel Yates, incrociato già due volte in quelle strade in circostanze sospette, potesse essere il loro uomo. Troppe cose cominciavano a combaciare. Yates corrispondeva alla descrizione fatta da vari testimoni, guidava una Corvette bianca ed in più era un pilota d’elicottero della Guardia Nazionale!
Particolare curioso, non inerente alle investigazioni su Yates, è che successivamente, nel marzo 1999, la Smith ebbe un incidente d’auto ed alcuni frammenti di metallo le entrarono nella testa. Il dottore che la esaminò notò però anche qualcos’altro di strano, come un foro di pallottola sul cranio. Per sua incredibile fortuna, Christine Smith era stata colpita alla testa da Yates senza neanche accorgersene e la pallottola si era fermata all’interno dell’osso mastoide, senza provocare danni letali. Indubbiamente fu molto fortunata.
Il lavoro della task force anti-serial killer si fece sempre più intenso. Gli investigatori si convinsero con un margine di certezza sempre più elevato della colpevolezza di Yates, tanto che, il 14 settembre 1999, uno dei detective della task force fece una visita a casa Yates, situata al numero 2220 della 49esima strada est di Spokane. L’uomo in quel momento non era in casa, perciò il detective lasciò un messaggio, con l’indicazione di contattare l’investigatore Marvin Hill il prima possibile.
Yates contattò l’investigatore Hill il giorno stesso e si accordò con lui per recarsi il giorno seguente in una stazione di polizia, per un colloquio con lui ed altri investigatori.
Quando, il giorno seguente, Yates si presentò all’appuntamento, gli inquirenti notarono subito i suoi capelli castani, descritti in varie testimonianze, e notarono anche che sudava visibilmente.
Giunti in una stanza per l’interrogatorio, gli inquirenti lo misero al corrente che il suo nome era emerso in connessione alle investigazioni su un caso di omicidio seriale. Gli dissero anche che, per il momento, non lo consideravano un sospetto e doveva solo rispondere ad alcune domande e che inoltre era libero di andarsene quando voleva. Yates assentì ed accettò di rispondere alle domande.
Per prima cosa, gli inquirenti tirarono fuori nuovamente la storia da lui raccontata l’ultima volta che era stato fermato su una Honda Civic con a bordo una prostituta. Yates confermò che la stava portando a casa, su richiesta del padre, ma fu molto evasivo sui dettagli, affermando spesso di non ricordarsi i nomi, ma alla fine saltò fuori che si chiamava Jennifer. Per tutta risposta, gli inquirenti furono chiari con lui e gli dissero di non credere alla sua storia.
Siccome Yates restò fermo sulle sue posizioni, un detective gli disse che se lui avesse collaborato, dicendo il nome del padre della ragazza, sarebbe stato più facile contattarlo e verificare la veridicità della storia, ma Yates si mantenne fermo sulla sua posizione difensiva, ripetendo che aveva detto la verità e che non si ricordava il nome del padre.
Successivamente, gli inquirenti cercarono di indagare sulla volta precedente in cui Yates ebbe a che fare con la polizia, quando era a bordo di una Corvette bianca fermata per un’infrazione stradale. Yates affermò di aver fatto un cambio di corsia improvviso, per evitare di tamponare un autobus, e che si trovava in viaggio per lavoro. Aggiunge inoltre di aver venduto quell’auto per comprarsi una Honda Civic del 1985. Quando gli chiesero se aveva accesso a veicoli usati per lavoro, lui rispose che accadeva raramente.
Dopodiché si parlò di prostitute e del rapporto di Yates con loro. Il sospettato negò di essere un cliente di prostitute, sebbene era stato con loro saltuariamente, quando si trovava in Germania per il servizio militare.
A conclusione del colloquio, gli inquirenti chiesero se Yates poteva offrire loro un campione di sangue, per aiutarli ad eliminarlo dalla lista dei sospetti e Yates rispose che prima ne avrebbe dovuto parlare con sua moglie. La sera stessa, dopo aver lasciato la stazione di polizia, telefonò per dire che non avrebbe offerto il campione di sangue richiesto.
Nonostante la scarsa collaborazione di Yates, le indagini su di lui andarono avanti e gli inquirenti scoprirono che, tra la primavera del 1997 e la primavera del 1998, cioè nel periodo in cui fece più vittime, non aveva potuto partecipare a missioni in elicottero per problemi di salute. Anche quella era una interessante coincidenza.
Chi invece offrì totale collaborazione con gli inquirenti fu la moglie Linda, che disse anche cose molto compromettenti nei confronti del marito, come il fatto che talvolta tornava a casa dopo essere stato fuori quasi tutta la notte o che nel retro del furgone, che lui usava per lavoro, aveva trovato delle grosse macchie di sangue. Come scusa, Yates disse di aver investito un cane per sbaglio e di averlo messo nel retro del furgone per portarlo dal veterinario.
La definitiva certezza che Yates aveva qualcosa da nascondere, si ebbe il giorno dopo dell’interrogatorio, quando Jennifer Robinson (la prostituta che fu trovata con Yates sulla Honda Civic), disse agli agenti che si era messa d’accordo per un rapporto orale a 20$ e che, quando erano arrivati i poliziotti, lei aveva detto semplicemente quello che lui le aveva chiesto di dire. La ragazza disse inoltre che suo padre non viveva a Spokane e non aveva mai conosciuto Yates.
Ormai gli inquirenti erano molto vicini alla verità, che giunse finalmente quando riuscirono a rintracciare il nuovo acquirente della vecchia Corvette bianca. Dopo avere esaminato a fondo l’auto, grazie a reagenti chimici quali il Luminol, trovarono numerose macchie di sangue che, esaminate, risultavano combaciare con il DNA di Jennifer Joseph, una delle vittime del serial killer di Spokane.
Ormai il cerchio intorno a Yates si era chiuso e le autorità avevano abbastanza indizi da poter arrestarlo almeno per l’omicidio di Jennifer Joseph.
Robert Lee Yates venne arrestato il 18 aprile 2000, con l’accusa di omicidio volontario nei confronti di Jennifer Joseph. Inoltre, grazie al mandato di perquisizione che era stato rilasciato dalle autorità, che vale anche per eventuali prelievi di sangue, gli inquirenti finalmente poterono analizzare il suo DNA, scoprendo quello che già immaginavano, ovvero che il DNA di Yates corrispondeva al DNA ricavato dallo sperma che fu trovato nel corpo di almeno 8 vittime.
Anche a casa di Yates gli indizi non mancavano, come ad esempio le piante utilizzate da Yates per coprire alcuni cadaveri.
Per tutti ormai il caso era stato risolto e il giorno successivo i giornali locali e nazionali erano pieni di foto e notizie sul caso Yates. Proprio quel giorno, la polizia ricevette la telefonata di Christina Smith, l’unica sopravvissuta a Yates che, con certezza, dopo aver visto le foto sui giornali, riconobbe in lui l’uomo che a sua insaputa le aveva sparato un colpo alla testa.
Con Yates sotto custodia, gli inquirenti continuarono a raccogliere indizi, controllando anche tutte le auto che aveva posseduto. Tra paragoni e raffronti, ormai avevano abbastanza elementi per accusarlo come minimo di 8 omicidi, mentre intanto i procuratori delle contee dove si erano svolti i fatti cominciarono a rilasciare dichiarazioni nelle quali, senza mezzi termini, facevano intendere che per questo caso avrebbero chiesto la pena di morte.
Fu a quel punto che Yates, tramite il suo avvocato, si offrì di collaborare, dichiarandosi colpevole degli omicidi che gli venivano contestati più altre accuse minori ed aiutando le autorità a recuperare i cadaveri che non erano ancora stati recuperati.
Il 16 ottobre 2000, giorno della sentenza, in un’aula gremita di parenti delle vittime, un Yates commosso chiese scusa alle sue vittime e alle famiglie delle vittime. Durante la sentenza invece non mostrò nessuna particolare emozione, anche perché, grazie all’accordo fatto con i procuratori, l’esito era già scontato. Quello che sarebbe stato un caso da pena di morte sicura, divenne, grazie alla collaborazione dell’imputato, una sentenza da carcere a vita. Per la precisione, a Yates vennero inflitti 408 anni, senza possibilità di libertà su parola.
Una pena che alcuni considerarono mite, sopratutto in considerazione del fatto che Yates potrebbe aver fatto molte più vittime delle 16 che gli sono attribuite. C’è chi parla di decine di vittime e c’è chi afferma che, anche durante la sua sosta in Germania, durante il servizio militare possa aver mietuto vittime, dato che gli inquirenti tedeschi affermarono che ci sono in quel periodo decine di casi di prostitute uccise in circostanze similari.
Sul perché un uomo come Yates si sia macchiato di un tal numero di omicidi resta ancora in parte un mistero. Odio contro prostitute? Problemi sessuali? Altri motivi? Solo lui può saperlo e ha molto tempo per rifletterci.
Eraserhead
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