Piccoli Mostri
Per molte persone i bambini che uccidono sono una cosa mostruosa, impensabile, da film horror. Eppure esistono e con il passare degli anni stanno diventando sempre meno rari. Su Occhirossi.it si può leggere la storia di Edmund Kemper, che ha ucciso i nonni a 15 anni e tutti noi abbiamo sentito parlare di ragazzini armati che fanno stragi nelle scuole americane.
Ma c’è chi ha fatto di peggio, sono i Piccoli Mostri. Con questo reportage, noi di Occhirossi.it cercheremo di illustrare e spiegare il fenomeno dei bambini che uccidono.
Jesse “The Boston Boy Fiend” Pomeroy ha 14 anni quando, nel 1874, viene arrestato per l’omicidio di un bambino di quattro anni. Non è il suo primo reato, tre anni prima ha torturato sette ragazzini ed è stato condannato al riformatorio. Uscito dal riformatorio, Jesse ha mutilato e ucciso una ragazzina di 10 anni, ma nessuno se ne accorto. Poi è venuto il turno del piccolo Horace Mullen, 4 anni. Jesse ha portato Horace in una palude fuori città, e qui lo ha pugnalato più volte al collo, quasi decapitandolo.
Quando gli investigatori gli mostrano il corpo, Jesse risponde con un laconico “Penso di essere stato io“. Nonostante la sua giovane età i giudici saranno implacabili e lo condanneranno a morte.
Mary Flora Campana è una bambina inglese di 11 anni, rabbiosa e desiderosa di fare del male. Non è colpa sua, lei è solamente il risultato di una famiglia spostata, dove l’abuso è di moda. Un giorno come gli altri Mary sta giocando con la sua amica del cuore, Nora Bell, quando vede un ragazzino che saltella su di un muretto. Le due bambine decidono di buttarlo giù, ferendolo gravemente. Per gli inquirenti si è trattato di un incidente, così come, qualche tempo dopo, sarà classificata come incidente anche la morte di un bambino di 4 anni, Martin Brown. Mary, perversa come il peggiore dei serial killer, si presenta a casa Brown per vedere il bimbo nella bara, ma nessuno ci fa caso.
Due mesi dopo tocca a Brian Howe, 3 anni. Brian è stato strangolato a morte, poi qualcuno, armato di forbici, si è accanito sulle sue gambe e sul suo stomaco, fino a tagliarli via. Agli occhi degli investigatori risalta subito che il lavoro è stato compiuto dalle mani di un bambino.
In poco tempo il cerchio si stringere intorno a “Fanny and Faggot”, ovvero Mary e Nora, fino a quando le due ragazzine non vengono arrestate.
Confessano immediatamente: Nora giura di non aver mai partecipato, ma di aver solamente assistito agli omicidi di Mary. Impassibile durante gli interrogatori e i processi, Mary è stata classificata dagli psichiatri come “mente manipolatrice e molto pericolosa”. Verrà condannata nel 1968 per duplice omicidio.
Willie Basket è famoso per aver cambiato la storia legale degli U.S.A.
È figlio di un assassino condannato a morte. In realtà non ha mai conosciuto suo padre, ma lo adora perché lo considera “virile”. All’età di 16 anni Willie ha già compiuto 2000 crimini in giro per New York: rapine, minacce, risse, furto con scasso, diverse persone accoltellate senza motivo. Basket uccide anche un coetaneo, poi inizia a tendere agguati nei sottopassaggi pedonali. Qui sparerà a due uomini, per il solo gusto di vedere cosa si prova.
Il ragazzo agisce in piena tranquillità e non ha motivo di interrompere i suoi crimini. Sa bene che, se dovessero arrestarlo, finirebbe in un riformatorio fino ai 21 anni, poi sarebbe di nuovo in libertà.
Al momento dell’arresto il governo americano corre ai ripari e, in soli sei giorni, disegna la legge anti Willie Basket. Grazie ad essa, in molti stati degli U.S.A. è necessario avere 13 anni per essere processati come adulti. Per Willie questa legge significherà l’ergastolo.
Cindy Collier, 15 anni, e Shirley Wolf, 14 anni, sono due ragazze Californiane. È il 1983 e le due ragazze hanno inventato uno strano gioco per ingannare il tempo. Si aggirano per i condomini, bussano a caso e, quando vengono accolte, rubano qualche oggetto nella casa del malcapitato. Ma il gioco degenera ben presto: le due ragazzine uccidono con 28 coltellate un’anziana che le aveva scoperte.
Prese in arresto, confessano che uccidere è davvero divertente e che avrebbero volentieri commesso un altro omicidio.
Nel 1998 Joshua Phillips, 14 anni, decide di uccidere a bastonate il vicino di 8 anni. Il corpo rimane nascosto per una settimana sotto il suo letto ad acqua, fino a quando la madre non lo scopre.
Preso dal panico, Joshua uccide anche sua madre. Prima la tramortisce a colpi di mazza da baseball, poi infierisce su di lei con 11 coltellate. Joshua verrà condannato per omicidio di primo grado.
È il 3 febbraio 2004, Michael Hernandez ha compiuto 14 anni da appena un giorno. Adesso è a scuola, in bagno, sta cercando di adescare qualcuno perché ha “qualcosa di particolare da mostrare”. A cascare nella trappola è il timido Jaime Rodrigo Gough, il migliore amico di Hernandez. L’oggetto nascosto è un pugnale e sarà l’ultima cosa che Gough vedrà in vita sua.
Le guardie di sicurezza lo trovano qualche ora dopo, accasciato sul water. Ha la gola tagliata e ci sono diverse coltellate sparse per tutto il suo corpo.
Le indagini non durano molto: c’è un testimone oculare, che ha visto Hernandez mentre si lavava le mani impregnate di sangue e che fa subito il nome del 14enne omicida.
Assunto un avvocato di fama nazionale, il freddo Hernandez sarebbe riuscito a scamparla, ma la polizia entra in possesso del suo diario personale. In esso il ragazzo ha scritto un elenco delle proprie ambizioni e in cima a queste ha messo l’assassinio seriale.
Attratto dalla violenza dopo aver letto la Bibbia (!!), Michael Hernandez ha coltivato la sua passione per molto tempo, stendendo anche accurati piani omicidi sul suo diario e annotando suggerimenti per se stesso (“Rimuovi ogni goccia di sangue” “assicurati che il bagno sia vuoto prima di agire”). Nell’elenco delle persone da uccidere figurano sua sorella, un vecchio amico e lo stesso Gough. Nel diario ci sono inoltre delle svastiche sormontate dalla scritta “White Power”, le storie di alcuni serial killer, le istruzioni per costruire una bomba, disegni macabri di persone uccise e di spade sanguinanti.
Il processo è ancora in corso, gli psichiatri hanno dichiarato che Hernandez (che adesso gira con i capelli rasati a zero) è freddo, calcolatore e quasi demoniaco. Nonostante sia emerso che Hernandez avrebbe già ucciso un amico in precedenza, il suo avvocato è sicuro che otterrà l’incapacità di intendere e volere.
Questi sono solo alcuni esempi di piccoli mostri, bambini che uccidono altri bambini, ma anche adulti.
Solitamente vengono classificati in diverse categorie, a seconda del loro carattere, delle situazioni in cui uccidono, delle motivazioni che li hanno spinti. Per esempio bisogna escludere i bambini che uccidono per caso, magari perché stavano giocando con la pistola dei genitori. I piccoli mostri uccidono in specifici contesti e hanno i loro “buoni” motivi per farlo.
Ecco le categorie principali:
1. GANG KILLERS: sono quei bambini che crescono in ambienti violenti o che hanno modelli di comportamento violenti. In questo modo imparano a ricorrere sempre alla violenza, sia per difendersi che per raggiungere ciò che vogliono. Questa classificazione include anche i bambini che fanno parte delle famigerate Baby Gang. Essere all’interno di una banda li fa sentire potenti e farebbero di tutto per ottenere il rispetto dei loro compagni.
2. FAMILY KILLERS: sono i bambini che uccidono membri della loro famiglia. Uccidono per vendicare abusi, sfogare un odio, per desiderio di guadagnare (ebbene si!), o addirittura spinti da un altro familiare. Un 14 enne americano ha arruolato il fratellino per uccidere i genitori e una donna ha incitato il figlioletto a uccidere suo padre. Terribile invece la storia di un bambino cinese, che ha perso il controllo quando sua madre lo ha mandato a letto troppo presto. Per la rabbia il bimbo ha ucciso suo padre con 37 pugnalate, sua madre con 72 e poi ha colpito 56 volte la nonna. In seguito si è lavato i capelli e si è messo a vedere una VHS.
3. CULT KILLINGS: può sembrare incredibile, ma molti bambini si abbandonano a culti demoniaci. In questo modo si sentono potenti, a molti di loro piace inoltre l’idea di avere un mistico rapporto con un altro mondo. Nascondersi dietro un fantomatico culto demoniaco, concede loro la libertà di azione: rubare, danneggiare gli altri, uccidere. Spesso dichiarano che il sacrificio umano era loro necessario per aumentare i propri poteri.
Roderick Ferrell ha 16 anni quando uccide i genitori della sua ragazza e ruba la loro auto. Gli serve per dare un passaggio ai suoi amici, con i quali gestisce la setta del Vampiro di New Orleans. Preso in arresto, Ferrell confessa che il vampiro gli ha ordinato di uccidere più persone possibili, solo così si sarebbero potute aprire per lui le porte dell’inferno.
4. PATOLOGICI: non tutti lo sanno, ma anche i bambini possono soffrire di depressione e schizofrenia paranoica, proprio come gli adulti. Se non vengono diagnosticate e curate, queste patologie possono trasformare il bambino in un soggetto pericoloso.
Quando era piccolo Sam Manzie è stato vittima di abusi da parte di un altro bambino. Adesso Sam ha 15 anni, ma comincia a dare segni di un comportamento violento. I genitori, preoccupati, lo portano da un dottore che parla con Sam per circa 10 minuti. Alla fine del colloquio, il dottore rimanda a casa Sam e sgrida i genitori per la loro reazione esagerata. Tre giorni dopo, all’uscita della scuola, Sam Manzie strangola e violenta Eddie Werner, 11 anni.
5. SCHOOL KILLERS: sono bambini che ricevono ingiustizie (prese in giro da parte dei compagni, dispetti, umiliazioni da parte dei professori) all’interno dell’ambiente scolastico. Questi soggetti inizialmente si chiudono nei confronti degli altri, accumulano le frustrazioni e cominciano a trasformarle in rabbia, fino a quando non esplodono.
Michael Carneal, del Kentucky, ha subito per anni le prese in giro degli altri studenti. Spesso gli hanno rubato anche il pranzo. Così un giorno Michael si presenta alla lezione di religione con una pistola e fa fuoco otto volte, andando sempre a segno. Tre studenti muoiono sul colpo, uno rimane paralizzato per tutta la vita, altri quattro se la cavano con qualche ferita.
6. OMICIDI COMMESSI DURANTE UN ALTRO CRIMINE: è il 1986 e Sandy Shaw, 15 anni, ha bisogno di soldi. Il suo ragazzo è finito in prigione e la cauzione è molto alta per una ragazzina disoccupata. Così Sandy adesca James Kelly, 24 anni, e lo porta nel deserto del Nevada, dove la aspettano degli amici. James viene derubato di 1400$, quindi gli sparano 6 volte. Nei giorni seguenti Sandy porta diversi amici a vedere il cadavere.
7. SEXUAL KILLINGS: James Pinkerton Kelly ha 17 anni quando uccide una vicina di casa. Dopo averla aperta in due, James ha eiaculato nel suo stomaco, quindi le ha tagliato la gola e le ha strappato via i seni. Prima di essere arrestato, James ha il tempo per fare la stessa cosa ad un’altra donna.
8. HATE CRIMES: ragazzi che odiano una certa categoria di persone e sfogano su di essa la loro rabbia repressa. Spesso si vantano con i loro amici di aver liberato il mondo da questa determinata categoria. Due ragazzi americani di 17 e 14 anni hanno ucciso diversi uomini a colpi di pistola, poi sono passati ripetutamente sopra ai cadaveri con la loro macchina. Le vittime erano tutte gay.
9. BAMBINI CHE SI UCCIDONO: bambini solitari e depressi, ma anche bambini che si fanno violenza da soli nella speranza di portare dolore nella vita di altri. Come Jeremy, 13 anni, che si è tolto la vita a scuola, davanti ai suoi 30 compagni di classe. Alcuni dei ragazzi che hanno sparato nelle scuole americane erano semplici suicidi che volevano portare con se altre persone.
10. BAMBINI CHE UCCIDONO I LORO BAMBINI: spesso capita che una ragazza o una coppia di ragazzi uccida i propri figli (non voluti) per evitare la disapprovazione dei propri genitori, o per evitare la responsabilità di crescere un bambino, essendo loro stessi poco più che bambini. A New York, una ragazzina di 14 anni ha buttato dall’11esimo piano il figlio appena partorito. I genitori nemmeno sospettavano che fosse incinta.
Queste sono le categorie principali, stese dagli esperti dopo l’analisi di molti casi. Ma ci sono anche casi di ragazzi che uccidono per provare il brivido di togliere la vita ad un altro essere umano.
1924. Nathan Leopold e Richard Loeb hanno 19 anni, sono vicini di casa e sono molto amici, praticamente si adorano. Un giorno di maggio i due ragazzi progettano il crimine perfetto: rapire un bambino, chiedere il riscatto e ucciderlo.
Arriva finalmente il grande giorno. I due si presentano all’uscita di una scuola e scelgono come vittima il piccolo Bobby Franks, un bambino che li conosce.
Bobby si fida, e sale a bordo della macchina dei due ragazzi, dove viene strangolato e bastonato.
Direttisi fuori città, Leopold e Loeb denudano il bambino e lo cospargono di acido per complicarne il riconoscimento, quindi gettano il cadavere martoriato in un canale sotterraneo.
Il giorno dopo i due 19enni preparano la lettera nella quale richiedono un lauto riscatto.
Ma il crimine perfetto non esiste. Quando la polizia trova il cadavere del povero Bobby trova anche gli occhiali di Leopold. Inoltre non ci vuole molto a risalire dalla lettera alla macchina da scrivere di Loeb.
Dichiarati in arresto, i due giovani confessano subito: il loro è un omicidio compiuto da due intellettuali annoiati. Volevano mettersi alla prova, misurare la loro capacità di progettare e mettere in atto un crimine senza essere catturati. Non interessava loro quale bambino uccidere o come ucciderlo, avevano bisogno semplicemente di un bambino incapace di difendersi. Dimostrare rimorso non servirà loro per scampare all’inevitabile condanna.
Alle 15.39 del 12 febbraio 1993, la telecamera di sicurezza di un centro commerciale a Liverpool riprende Robert Thompson e Jon Venables. I due passeggiano tenendo per mano il piccolo James Bulger di 2 anni. Di fronte a loro c’è una macelleria e in essa la madre di James Bulger sta cercando disperatamente il figlioletto allontanatosi senza preavviso.
Thompson e Venables sono due teenagers, non frequentano la scuola perché preferiscono derubare le persone e ingannare il tempo in maniere particolari. Questa volta hanno deciso di compiere un rapimento. Ci hanno già provato tempo fa, con una bambina di 4 anni, ma gli era andata male.
Ben 38 persone avvicinano i 3 bambini durante le 2 miglia che separano il centro commerciale dalla ferrovia, ma nessuno decide di fermarli. Il bimbo di 2 anni ha anche una ferita sulla testa, ma evidentemente per i passanti è cosa di poco conto. Non sanno che Thompson e Venables ogni tanto si divertono a far cadere il bambino sulla testa.
Il corpo esanime di James viene trovato in poche ore: un treno lo ha tagliato a metà. Porta ancora la sua giacchetta, mentre i pantaloni e le mutandine gli sono state levate. È stato verniciato di blu, gli hanno strappato il labbro superiore e una palpebra. Le numerose cadute gli hanno lacerato lo scalpo. Sul viso ci sono impronte che sembrano quelle degli zoccoli di un cavallo (si scoprirà in seguito che sono colpi di mattone) e gli hanno infilato delle batterie nell’ano.
Le investigazioni durano solo una settimana, al termine della quale i due colpevoli vengono arrestati mentre si accusano l’uno con l’altro.
Dal processo emerge che Thompson è la mente e Venables il braccio. I ragazzi confessano tutto in lacrime e aggiungono di aver colpito con delle sbarre il piccolo James prima di sdraiarlo sui binari.
Il tribunale inglese giudica Thompson e Venables come adulti e li ha condannati ad almeno 15 anni di carcere ma, in seguito al ricorso dei loro avvocati alla Corte Europea per i Diritti Umani, il processo viene fermato fino al loro compimento della maggiore età.
Secondo i competenti psichiatri che hanno seguito il caso, i due teenagers non sono alienati e sono consapevoli che hanno commesso qualcosa di criminale e sbagliato. Non sono nemmeno psicotici. I due vengono da famiglie agitate, Thompson ha subito anche abusi. Insieme i due ragazzi si spronano a fare cose che non farebbero mai da soli. Hanno paura di mettersi nei guai e, molto probabilmente, se qualcuno li avesse fermati al centro commerciale, loro avrebbero riconsegnato James alla madre.
Nel 1999 Nathaniel Abraham, 11 anni, è stato condannato per omicidio di primo grado dal tribunale del Michigan, uno stato senza limiti d’età processuali. Il bambino è entrato in possesso di un fucile rubato e, per potersi vantare con gli amici, ha sparato a un estraneo che passava di lì, il 18enne Ronnie Greene. La sentenza ha scioccato un intero stato: secondo l’opinione pubblica, il bambino è troppo piccolo per capire che non doveva sparare.
Il fatto che non ci fossero protocolli per stimare la capacità mentale di bambini piccoli come Abraham, ha complicato ulteriormente il caso.
Due problemi difficili da risolvere: bambini che uccidono altri bambini solo per divertimento e bambini troppo piccoli per essere analizzati. Negli ultimi anni, psicologi e psichiatri stanno portando avanti degli studi approfonditi, con i quali sperano di ampliare la conoscenza delle condotte infantili riconducibili ai giovani soggetti sociopatici.
Già oggi i lavoratori sociali sanno riconoscere i vari disturbi del comportamento che possono insorgere fra i bambini e gli adolescenti. È una cosa importante, perché alcuni di questi problemi sono segnali di un futuro comportamento violento.
Nonostante questi progressi, rimane comunque difficile diagnosticare disturbi mentali fra gli adolescenti. In questa fase della vita, il bambino sta cambiando e sviluppando la propria personalità, inoltre molti degli atteggiamenti caratteristici dell’adolescenza, come la rabbia, la sfida e l’inquietudine, sono identici ai sintomi di alcuni disturbi mentali.
In generale un disturbo del comportamento viene associato alla persistenza di certi atteggiamenti durante l’infanzia e l’adolescenza.
Partendo da questi presupposti, sono stati delineate sei categorie principali dei disturbi della condotta infantile e adolescente (Conduct Disorder; Oppositional Defiant Disorder; Disruptive Behavior Disorder; Adjustment Disorder I; Adjustment Disorder II; Child or Adolescent Antisocial Behavior). Esse raggruppano sia tutti i tipi di disturbo, tra i quali troviamo la violazione delle regole sociali, l’aggressione, il danno della proprietà, le bugie, il furto, l’intolleranza per gli adulti, sia tutte le categorie dei soggetti disturbati. Solitamente si tratta di bambini iperattivi, con problemi di attenzione, con difficoltà di comprensione e disorganizzati (per esempio perdono regolarmente le proprie cose).
Tutti i bambini che rientrano in queste categorie di disturbi del comportamento rischiano di diventare psicopatici, pericolosi e senza rimorsi per quello che fanno.
Dopo uno studio su 81 soggetti, di età variabile tra gli 8 e i 17 anni, aggressivi, iperattivi, impulsivi e con dei deficit nelle capacità di prestare attenzione, è stato abbozzato il profilo comune del “bambino psicopatico”:
– un padre assente
– abbandono o abusi da parte della madre
– una madre incapace di amare il bambino
– peso alla nascita basso o complicazioni al momento della nascita
– reazioni insolite al dolore (per esempio insulti)
– mancanza di affetto per gli adulti
– presunzione
– bassa tollerazione alle frustrazioni
– abuso sugli animali
– crudeltà nei confronti degli altri
– amicizie brevi per tutta l’infanzia o l’amicizia con un soggetto simile
– mancanza di empatia nelle amicizie.
In parole povere, i bambini cresciuti circondati dalla violenza e dall’indifferenza rischiano uno sviluppo patologico. I neonati e i bambini ai primi passi hanno bisogno di sviluppare fiducia e sicurezza per crescere sani. Se le relazioni all’interno della casa non sono buone, difficilmente saranno buone quelle instaurate all’esterno di essa.
Durante gli anni scolastici i bambini sviluppano invece le abilità sociali che gli serviranno da adulti. La violenza però glielo impedisce.
Tra i tre e i nove mesi di vita il neonato sviluppa i legami con i genitori. Alcuni bambini sono “facili” altri invece sono “difficili”. I genitori devono approfondire e aiutare la formazione di questi legami, perché la mancanza di collegamenti con gli altri è uno dei fattori principali dell’insorgere di comportamenti asociali. Fiducia in sé, elasticità, speranza, intelligenza, empatia sono essenziali al bambino per la formazione di un carattere sano e per avere il controllo sulla rabbia e sugli impulsi affettivi. Senza queste abilità, i bambini non potranno mai stabilire relazioni sane con altri membri della comunità.
Ma cosa spinge i bambini “difficili” ad arrivare ad uccidere qualcuno? È solo colpa dell’ambiente in cui sono cresciuti o c’entra anche qualcos’altro?
Per spiegare la violenza tra i minori, esistono due linee di pensiero principali.
In primis, secondo molti psicologi, gli atteggiamenti violenti sono dovuti a modelli culturali e di comportamento completamente sbagliati.
Praticamente siamo alle solite: questa linea di pensiero punta il dito contro la televisione e i videogame violenti, rei di desensibilizzare i bambini, rendendoli potenzialmente pericolosi.
Una associazione medica americana ha portato avanti degli studi per tutti gli anni ’90, comparando tra loro delle regioni in cui è molto presente la TV e regioni che invece ne sono prive. Alla fine dello studio, l’associazione medica è arrivata alla conclusione che nelle regioni dotate di televisione la violenza minorile è più alta. Addirittura in una cittadina canadese, dove la televisione è arrivata solo nel 1973, c’è stato l’incremento del 160% tra i delitti compiuti da bambini.
Tra i sostenitori di questa tesi c’è un tenente dell’esercito americano, un certo Grossman.
Secondo il tenente, la televisione e i videogiochi sono colpevoli di divertire i bambini con la violenza. I bambini si nutrono mentre guardano le violenze in tv, così finiscono per associarle ad una routine piacevole. Ridono quando avviene qualche violenza in un film e vogliono solo vedere un certo tipo di film. Per loro è come una stimolazione erotica.
I videogiochi invece li premiano con tanti punti: più sono cattivi e meglio è. Grossman ha paragonato i videogiochi ad alcuni metodi da lui utilizzati per addestrare i soldati.
A sostegno della propria tesi l’associazione medica americana e Grossman portano anche degli esempi: Barry Loukaitis, 14 anni, che uccise un insegnate e due compagni di classe nel 1996, era un appassionato del film Natural Born Killers, mentre il bambino suicida, Jeremy, aveva visto un videoclip dei Pearl Jam. Altri bambini hanno dichiarato di aver ucciso perché ipnotizzati da giochi di ruolo come “Dungeons & Dragons” o “Vampire: The Masquerade”. Due ragazzini avrebbero ucciso con 45 pugnalate la loro madre solo perché volevano ripetere le imprese dei protagonisti del film “Scream”.
Ma quella contro la violenza televisiva non è l’unica ipotesi per dare una spiegazione all’esistenza dei bambini assassini.
Torniamo a Joshua Phillips, il ragazzino che ha ucciso il suo vicino di casa e ne ha nascosto il corpo sotto il letto ad acqua. Durante il processo, i suoi avvocati provarono a dimostrare che il comportamento di Joshua era stato dettato da un EEGs (elettroencefalogramma) anormale e dal ritmo del cuore sballato. In altre parole, Joshua aveva agito sotto gli ordini del suo corpo.
Ci sono infatti diversi neuro scienziati convinti che la violenza sia il prodotto di uno squilibrio fisiologico. Alcuni di questi scienziati affermano che è completamente una questione di interazioni chimiche del cervello, mentre altri credono che la fisiologia e l’ambiente siano connessi tra loro.
Tra questi ultimi c’è Debra Niehof, una neuro scienziata che porta avanti i suoi studi da 25 anni e che ha scritto il libro “Biologia della Violenza”. In esso la scienziata spiega la violenza secondo complessi codici chimici del nostro cervello, atteggiamenti radicati, reazioni emotive e processi fisiologici.
Per evitare figuracce, essendo il sottoscritto un completo principiante nel campo neurologico, lascio direttamente la parola alla stessa Niehof: “La cosa più importante che ho imparato, dopo anni di ricerche sul cervello, è che la violenza è il risultato di un processo di sviluppo, un interazione, lunga tutta la vita, tra il nostro cervello e l’ambiente che ci circonda.”
La dottoressa è insomma convinta che l’ambiente influenzi il comportamento violento. In poche parole, se l’ambiente circostante si rivela sempre più pericoloso, alcuni soggetti predisposti potrebbero reagire violentemente, anche nei confronti delle persone sbagliate. Nello specifico dei bambini, l’ambiente verso il quale la dottoressa punta il dito è quello scolastico, così pieno di insidie e minacce.
Con la sua teoria, la Niehof spiega anche perché la maggior parte degli assassini è maschio piuttosto che femmina.
Solamente il 15% degli omicidi sono infatti commessi da donne, e la maggior parte di queste hanno raggiunto la maggior età. Le motivazioni che possono spingere una ragazzina a uccidere sono poche: vendicarsi di un abuso, liberarsi di un testimone, guadagno e poco altro. Difficilmente colpiscono un estraneo. Spesso la vittima è un parente, ancora più spesso è il proprio figlio. Solitamente hanno complici o fanno parte di una vera e propria banda.
Nessuno nasce per essere un violento, ma i maschi hanno più possibilità di diventarlo. I comportamenti antisociali tra i maschi sono tre volte più numerosi che tra le femmine e i maschi sviluppano più facilmente delle fantasie sessuali basate sulla violenza.
A differenza di quanto si possa pensare, non è tutta colpa degli ormoni. Secondo gli studi sugli umani e sulle scimmie, il testosterone ha più influenza sul desiderio di vincere e sull’irritabilità che sul desiderio di lottare o uccidere. Dove sta dunque la differenza? Secondo la neuro scienziata, i maschi sarebbero molto più sensibili all’ambiente circostante, aumentando così le loro possibilità di abbandonarsi alla violenza.
Secondo Debra Niehof insomma, per ridurre la violenza nel mondo basterebbe migliorare l’ambiente che ci circonda, rendendolo più sicuro e accogliente.
Come al solito, io preferisco non sbilanciarmi da una parte o dall’altra, lasciando al lettore la libertà di pensare da solo quale sia la linea di pensiero più interessante.
Risolvere i problemi di bambini che hanno già ucciso in fondo non risolve niente. La società deve capire che anche nei bambini possono nascere intenti omicidi. Alcuni di loro potrebbero uccidere senza la consapevolezza di quello che stanno facendo. Bisogna quindi insegnare ai bambini, fin dalla più tenera età, la differenza tra il bene e il male, senza vietargli la violenza televisiva o dei videogiochi, ma cercando invece di spiegare loro che è qualcosa di sbagliato e non un esempio da seguire. Ogni segnale di asocialità, o di mancanza di rispetto nei confronti di qualcuno, va segnalato in tempo e curato, non ignorato.
Molto probabilmente la violenza nel mondo (televisiva e non) non cesserà mai di esistere. Noi non possiamo fare altro che stare in allerta, cercando di salvaguardare i nostri bambini e intervenendo prontamente qualora dovessero sopraggiungere sintomi di violenza.
“Sarai un serial killer, un assassino di massa. Stai attento e non dimenticare mai Dio. Sii religioso e progetta rapimenti di massa per preparare un nuovo mondo. Sii un ladro competente.” (Istruzioni per se stesso, dal diario di Michael Hernandez)
DANIELE DEL FRATE 24-01-2005
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