Milena Quaglini
Soprannome: La giustiziera
Luogo omicidi: Italia
Periodo omicidi: 1995 – 1999
Numero vittime: 4
Modus operandi: uccideva con oggetti vari, un caso di avvelenamento
Cattura e Provvidementi: si impicca in carcere il16 ottobre 2001
Sono pochi i serial killer al femminile. In Italia i casi attestati sono solamente due: Leonarda Cianciulli e Milena Quaglini. Quello di Milena Quaglini è un caso particolare: scoperta per caso, si è macchiata dell’omicidio di chi l’ha maltrattata, come una giustiziera. E il conteggio delle sue vittime non è ancora sicuro…
Milena nasce a Broni (Pavia) nel 1957. Della sua vita si sa molto poco, solamente quello che lei ha raccontato durante le frequenti deposizioni psichiatriche in sede di processo.
Suo padre è un alcolista, un uomo violento con le figlie e ossessivo con la moglie. La madre di Milena, al contrario, non ha una forte personalità e subisce passivamente il marito.
Perciò, compiuti i 19 anni e dopo aver conseguito il diploma di ragioneria, Milena scappa di casa.
La ragazza si mantiene con piccoli lavori, come la cassiera e la donna delle pulizie e cambia continuamente residenza…fino a quando conosce un uomo.
I due si innamorano e si sposano, si trasferiscono a Como e avranno presto un figlio, Dario.
La Quaglini ha descritto questo periodo come il più bello e felice della sua vita…ma evidentemente Milena era destinata a una vita di sofferenze.
L’uomo che ama muore presto di diabete fulminante, lasciandola sola al mondo: da questo momento Milena cadrà in uno stato di depressione e alcolismo dal quale ben poche volte riesce a emergere.
Nel frattempo ricomincia la vita da nomade in cerca di lavoretti fino a quando, tornata nella sua Pavia, Milena conosce Mario Fogli. L’uomo non è per niente il principe azzurro delle favole! Fogli è un camionista alcolizzato, violento, attivista della lega e dalla mentalità molto ristretta.
L’amore però, si sa, è cieco e Milena si sposa ben presto con Mario Fogli. I due si trasferiscono a Broni, la città natale di Milena e hanno due figlie.
Il secondo matrimonio sarà un vero e proprio incubo che trasformerà Milena nella serial killer che oggi conosciamo.
Mario Fogli costringe la moglie a lasciare il lavoro (“Una donna che lavora è una donna che tradisce”), picchia Dario, il primo figlio di Milena, lo costringe a cercare lavoro e lo umilia quando può.
Il suo comportamento nei confronti della Quaglini non è differente: le litigate, anche violente, sono all’ordine del giorno tanto che, per la disperazione, dal 1992 Milena passa le sue giornate in compagnia della bottiglia.
L’uomo non ha nemmeno un lavoro fisso: cerca lavoretti saltuari e si lancia in imprese pericolose, come quella volta che è costretto a dichiarare il fallimento. L’ufficiale giudiziario si presenta a casa da Milena per pignorare i beni della coppia, la donna non ne sapeva niente e ci rimane malissimo.
La Quaglini cerca anche di racimolare denaro mettendo a frutto la sua più grande passione: la pittura. Nature morte, paesaggi lombardi, soggetti politici (nel frattempo è diventata anche lei attivista della lega)… ma anche i soldi ricavati dalle vendite dei suoi quadri non bastano mai.
Non si può andare avanti così: Milena chiede la separazione, fa i bagagli e si trasferisce in Veneto con una delle due figlie.
È il 1995. Milena Quaglini fa la portinaia in una palestra e arrotonda facendo la collaboratrice domestica. Uno degli uomini per cui lavora si chiama Giusto Dalla Pozza, pensionato 83enne e usuraio, residente a Este in provincia di Padova.
L’anziano ha prestato a Milena quattro milioni di vecchie lire e una sera le rivela le sue vere intenzioni: la afferra per un braccio e le chiede indietro tutti i soldi con gli interessi. A Milena la scelta: 500 mila lire al mese o pagamento in natura, subito.
“Ma che ti credi, ti ho assunto per farmi altri servizi, non solo quelli casalinghi” parole minacciose, ma anche le ultime parole del vecchio. Milena non gli concede altro poiché, sentitasi in pericolo, afferra con rapidità una lampada e gli spacca la testa.
Subito dopo la donna esce di casa, lascia passare qualche ora e quando ritorna Dalla Pozza è ormai in un lago di sangue. Chiama così l’ambulanza e l’uomo viene ricoverato in coma profondo. Pochi giorni, perché poi muore.
Sei mesi dopo la polizia archivia il caso come “morte accidentale”: Giusto Dalla Pozza è stato infatti ritrovato a terra vicino al letto e, secondo gli inquirenti, le sue fratture sono compatibili con una caduta.
Nel 1997 Milena decide di tornare dal marito. Le due figlie, 4 e 7 anni, soffrono separate tra i due genitori e Dario, 18 anni, non sa dove stare.
Perciò la famigliola si riforma a Broni ma anche questo secondo tentativo di vita di coppia fallisce miseramente: Milena cade in depressione profonda, beve alcolici in continuazione e li associa anche ad alcuni farmaci; Mario Fogli la picchia e la umilia in continuazione.
Fino a quando, sabato 2 agosto 1998, a Milena viene voglia di vendetta.
C’è appena stato uno dei soliti litigi e la donna, pesantemente ubriaca, questa volta decide che è stufa di subire angherie. Mette le figlie a letto, aspetta che Fogli si sia addormentato, quindi strappa la corda delle tapparelle e salta addosso al marito.
Prima lo stordisce colpendolo con una lampadina, poi lo incapretta. Lui si riprende, riesce a divincolarsi e lei lo colpisce nuovamente con un portagioie. Non contenta, gli avvolge la corda attorno al collo e lo strangola: Mario Fogli muore in poco tempo.
Nessuno si è accorto di niente, le figlie dormono ancora… Milena butta le coperte insanguinate, rifà il letto e avvolge il cadavere del marito in un tappeto, poi lo deposita sul balcone dove lo veglia per tutta la notte. Il mattino dopo racconta alle figlie che papà non tornerà a casa, ha un impegno di lavoro… ma la sceneggiata non reggerà a lungo.
Alle quattro del pomeriggio il commissariato di Stradella riceve una telefonata. Dall’altro capo della cornetta c’è una donna in lacrime che, singhiozzando, confessa: “Ho ucciso mio marito.”
I carabinieri che irrompono nell’appartamento si trovano al cospetto di una scena surreale: Milena che piange in un angolo, il marito morto sul balcone, sdraiato sul tappeto e le due bambine che giocano in salotto con le Barbie…
Il 26 aprile 1999, il tribunale di Voghera condanna Milena Quaglini a 14 anni di reclusione per uxoricidio e affida le sue figlie alla sorella. A difendere Milena c’è l’avvocato Licia Sardo. L’avvocato ha preso a cuore la storia di Milena, la difende strenuamente e in appello riesce a ottenere la seminfermità di mente: la condanna è quindi commutata in 6 anni e 8 mesi, scontabili agli arresti domiciliari.
Milena sta male, ha alle spalle due tentati suicidi e l’alcolismo, perciò il tribunale la manda a curarsi in una Comunità Religiosa. Passano solo 3 mesi, Milena viene cacciata perché non si cura, anzi, beve sempre di più.
Si trasferisce in un’altra clinica, dove conosce Salvatore, ex carabiniere, che le offre ospitalità nella sua casa di Bressana.
La convivenza tra i due dura appena due giorni, secondo Milena anche Salvatore vuole abusare di lei, i due litigano spesso e alla fine lei se ne va.
Alla ricerca di una nuova abitazione dove scontare i suoi arresti domiciliari, Milena incappa in un annuncio: “53enne divorziato dinamico longilineo, casa propria cerca compagnia piacevole max 40 anni per amicizia-convivenza”
Il 53enne divorziato si chiama Angelo Porello, residente a Bascapè, appena scarcerato dopo 6 anni di galera. Era stato condannato perché aveva il “vizietto” di violentare le sue tre figlie.
Milena lo frequenta, vengono visti insieme da più persone, Porello confessa alla figlia maggiore di essersi messo insieme a una 40enne.
La notte del 5 ottobre 1999 Milena viene fermata dalla polizia a bordo di una Regata Bianca (è l’auto di Porello). Ha contraffatto la patente perché lei non potrebbe stare in giro. Scatta la denuncia per evasione.
Il 6 ottobre 1999 Angelo Porello viene dichiarato scomparso.
Il 7 ottobre 1999 Milena Quaglini torna in galera perché viene ritrovata nuovamente a spasso. La revoca degli arresti domiciliari è ovviamente immediata.
Dal carcere femminile di Vigevano, la donna astutamente manda delle lettere ad Angelo Porello. Una il 7 ottobre, una l’11 ottobre. Le lettere sono formali, Milena utilizza addirittura il lei e lascia intendere che i due non si vedono da parecchio.
I sopraluoghi nella casa dell’uomo sembrerebbero però dire l’opposto: vengono ritrovate nella spazzatura delle scatole di Halcion (il medicinale che usa Milena) e gli esami del DNA, su dei capelli trovati nel letto, indicano che la donna è stata in quella casa nel periodo in cui l’uomo è scomparso.
Anche l’avvocato Licia Sardo comincia a dubitare di Milena e la invita a confessare.
La deposizione fiume avviene nella notte tra il 23 e il 24 novembre, dopo 4 ore di interrogatorio.
È il 5 ottobre. Hanno appena finito di pranzare quando Angelo Porello comincia a esigere che Milena indossi degli abiti provocanti. Non contento la sbatte sul letto e la violenta due volte, prendendola anche a schiaffi.
Prima che l’uomo cominci a violentarla per una terza volta, Milena riesce a convincerlo a bere un caffè insieme e va a prepararlo.
Per Angelo Porello, Milena ha però in serbo un caffè molto speciale, corretto con 20 pastiglie di Halcion.
L’uomo manda giù e crolla ben presto, Milena, per sicurezza, riempie la vasca e ce lo immerge, poi esce a fare un giro.
Al suo ritorno trova nella vasca escrementi e vomito che la rassicurano sulla morte dell’uomo, pulisce tutto, fa sparire le prove, aspetta la notte. Appena è sicura che nessuno può vederla, prende in braccio il cadavere, attraversa il giardino, sale 10 scalini e lo getta nella concimaia. Qui lo ritroveranno solo 15 giorni dopo, nudo e sepolto dal letame, mangiato dai vermi.
Uscita di casa Milena viene fermata sulla Regata Bianca e denunciata per evasione.
Due omicidi sono già troppi per non sospettare ulteriormente sulla donna. Così qualcuno si ricorda della morte di Giusto Dalla Pozza. Emerge che la collaboratrice domestica, che chiamò l’ambulanza 4 anni prima, si chiamava proprio Milena Quaglini…e pochi giorni dopo “a vedova nera” confessa anche questo omicidio.
EPILOGO
Tra il 2000 e il 2001 si svolgono i processi a carico di Milena Quaglini. A difenderla a spada tratta c’è ancora Licia Sardo.
Mentre è in carcere Milena combatte la depressione dipingendo, nell’ottobre 2000 gira voce che abbia cominciato una corrispondenza affettuosa con un detenuto dell’Emilia Romagna.
Nel frattempo i processi vanno avanti e vengono fatte numerose perizie psichiatriche, sia di parte (richieste cioè dalla difesa) che su disposizione dalla corte.
Viene confermato il vizio parziale di mente in occasione dell’omicidio di Mario Fogli (6 anni e 8 mesi di reclusione) mentre, per l’omicidio di Giusto Dalla Pozza, le vengono inferti 20 mesi di reclusione per eccesso colposo di legittima difesa.
Le ultime due perizie psichiatriche su Milena Quaglini sono molto differenti: la prima conferma la seminfermità mentale della donna, che addirittura parla in terza persona raccontando degli omicidi, ma l’ultima perizia, quella che conta, è stesa da Maurizio Marasco, specialista in neurologia e psichiatria, professore di psicologia forense e criminologia all’Università La Sapienza (Roma). Questa perizia complica le cose per Milena, poiché, secondo il professor Marasco, “la sig.ra Quaglini presenta un disturbo del carattere di tipo isterico nel cui ambito si colgono tratti di personalità che rimandano al disturbo Borderline […] In altre parole ci troviamo al cospetto di una personalità psicopatica. […] Andando però a esaminare l’atto-reato della Quaglini si coglie nella condotta delittuosa la totale assenza di un significato psicopatologico […] la donna era perfettamente consapevole del fatto che stava uccidendo un uomo e lo ha fatto con una freddezza e una lucidità implacabili, senza alcun ripensamento o esitazione..”
In poche parole: la Quaglini è folle, ma quando ha ucciso Porello era in grado di intendere e volere.
La sentenza definitiva è attesa per la fine di ottobre, tuttavia è chiaro a tutti che la condanna sarà pesante.
Probabilmente anche Milena capisce che è senza un futuro, così il 16 ottobre 2001 decide di farla finita. Mancano solo 2 settimane alla sentenza del tribunale.
È notte, secondo i medici che la seguono ci sono stati dei risvolti positivi, perciò le guardie non controllano più la cella di Milena ogni 15 minuti, ma soltanto ogni ora.
La Quaglini attende così che l’ultima guardia passi per controllarla, finge di dormire, poi mette in atto il suo piano di suicidio: fa a pezzi un lenzuolo e forma un cappio, lo appende nell’armadio, ci infila la testa e si lascia cadere sollevando di colpo le ginocchia.
Le guardie la trovano alle 1.50, il cuore batte ancora ma debolmente. Alle 2.15 i medici dell’Ospedale Civile di Vigevano dichiarano il decesso di Milena Quaglini.
Nei mesi successivi alla morte di Milena, gli inquirenti hanno rispolverato alcune morti archiviate e senza spiegazione delle zone di Jesi, Ancona e Comacchio, dove Milena ha vissuto nei suoi lunghi pellegrinaggi. Non è stato ancora provato niente…ma permane il dubbio che le vittime della vedova nera siano più di tre.
“Non sopporto chi mi usa violenza” (Milena Quaglini)
DANIELE DEL FRATE 29-12-2004
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