Lucian Staniak – Il Ragno Rosso

Biografie

Foto del serial killer Lucian Staniak Soprannome: Il ragno rosso
Luogo omicidi: Varsavia e dintorni (Polonia)
Periodo omicidi: 1964 – 1967
Numero vittime: 20
Modus operandi: squartatore di donne
Cattura e Provvidementi: ergastolo

La Polonia si apprestava a festeggiare il ventesimo anniversario della liberazione dall’occupazione nazista quando, il 4 luglio 1964, arrivò una lettera al giornale di stato, Prezeglad Polityczny, di Varsavia.
Il testo, scritto con una vernice rossa, diceva: “Non c’è felicità senza lacrime, vita senza morte. Attenti! Vi farò piangere“.
Dopo aver letto queste frasi sconcertanti, il Direttore del giornale, Marian Starzynski, denunciò il fatto alla polizia che inizialmente pensò che si trattasse di una minaccia ai danni dello stesso Starzynski. Si trattava invece del prologo ad una storia tanto agghiacciante quanto inaspettata.

In seguito alla lettera, man mano che si avvicinava il 22 luglio, giorno dell’anniversario e della grande festa, la preoccupazione delle forze dell’ordine saliva e la tensione ed il rischio di qualche incidente erano forti.
Ci fu un massiccio controllo da parte della polizia per cercare di evitare qualche spiacevole episodio, ma durante la durata dei festeggiamenti non accadde nulla, tranne che in un’altra città, esattamente ad Olsztyn, a circa 200 chilometri da Varsavia.
La giovane Danka Maciejowitz, di diciassette anni, stava tornando a casa dopo aver partecipato ad una festa della scuola, quando sul suo cammino incontrò un uomo dai modi gentili, ben vestito, che con astuzia la convinse a farsi accompagnare in un parco poco distante.
Arrivati sul posto, la ragazza tentò subito di andare via, ma, appena voltate le spalle, venne afferrata per il collo dall’uomo e trascinata nel parco. Dopo aver violentato la sua vittima, l’assassino afferrò un coltello e le squartò l’addome, asportando parte degli intestini.
Il cadavere venne ritrovato il giorno dopo dal giardiniere del parco, che nel vedere quella scena rimase scioccato per diversi giorni.

Il 24 luglio, il Killer inviò un’altra lettera alla redazione del giornale con scritto: “Ho colto un bel fiore ad Olsztyn e lo farò ancora da qualche altra parte, non ci sarà festa senza funerale“. Questa seconda lettera, scritta sempre con l’inchiostro rosso, gli valse il soprannome di “Ragno Rosso”.
Le autorità ignoravano che l’assassino, impiegato presso una famosa casa editrice, si spostava molto per lavoro, perciò poteva commettere un omicidio in una qualsiasi città della Nazione.
Inoltre, tutte le mattine, leggeva il giornale per vedere se c’erano notizie sul suo conto e per informarsi sull’opportunità di eventuali azioni macabre da compiere.
La mattina del 16 gennaio 1965, il Ragno Rosso stava leggendo il quotidiano Zycie Warsawy, quando in prima pagina notò una foto di una bella ragazza bionda di nome Aniuta Kaliniak, di sedici anni, la quale era stata selezionata per marciare alla testa di una parata di studenti per le vie di Varsavia.
La potenziale vittima era stata individuata attraverso il giornale in modo casuale, quindi per l’intera giornata il pensiero dell’assassino rimase concentrato esclusivamente su come avvicinare e uccidere quella ragazza dai lineamenti fini.
Arrivò finalmente il giorno della parata, il 17 gennaio. La ragazza, emozionata e felice per quell’avvenimento, si stava preparando a passare una giornata indimenticabile insieme ai suoi compagni, dedicando anche un pensiero ai suoi genitori, che vivevano a Praga e che non vedeva l’ora di riabbracciare.
L’assassino si limitò a seguire il corteo per tutta la sua durata, senza perdere di vista la studentessa bionda, poi, finita la parata, tenendosi a una certa distanza di sicurezza, pedinò la ragazza, che nel frattempo si era fatta dare un passaggio da un camionista diretto nella sua città natale.
Il viaggio verso casa fu insomma del tutto normale, ma il destino aveva riservato ad Aniuta una brutta sorte.
Durante il tragitto, la ragazza raccontò con grande soddisfazione e onore al camionista di come avesse passato quel pomeriggio stupendo e che non vedeva l’ora di riabbracciare i suoi genitori che la stavano aspettando a Praga, poi disse di voler fare una lunga dormita per riposarsi dalla stanchezza accumulata.
Intanto l’assassino era venuto in qualche modo era venuto a conoscenza dell’indirizzo e si trovava già nei pressi dell’abitazione della ragazza, anticipando il suo arrivo.
Il camionista lasciò Aniuta a pochi metri di casa, il Killer le si presentò davanti, la prese per un braccio e la trascinò verso una fabbrica abbandonata; la ragazza sconcertata lo supplicò di fermarsi, ma l’assassino proseguì fino all’entrata, poi l’afferrò per il collo e la strangolò. Riuscì ad aprirsi un varco per entrare nella fabbrica e portare il corpo di Aniuta in un seminterrato, lì infierì sulla vittima colpendola con un punteruolo lasciandole profonde ferite, poi sempre con lo stesso oggetto si divertì a lacerarne la vagina finendo, lasciandoglielo infine conficcato dentro.
I genitori e gli amici cominciarono presto a preoccuparsi del ritardo della ragazza e andarono ad informare la Polizia. La brutta notizia giunse il giorno dopo, quando arrivò una lettera al comando con l’indicazione del posto dove cercare Aniuta.

Dopo un periodo di pausa, il killer riprese la sua caccia alle bionde, che erano diventate la sua ossessione.
Il 1° novembre del 1965, giorno di Ognissanti, la giovane Janka Popielski, che lavorava presso un Hotel come receptionist, decise di passare la giornata insieme al suo ragazzo, perciò prese il treno da Poznam per andare in un paese vicino e raggiungere il fidanzato.
Per sua sfortuna, durante il viaggio, incontrò l’assassino che l’afferrò da dietro e la addormentò con del cloroformio, poi la trascinò in un vagone pieno di casse e, con l’aiuto di un cacciavite, prima le perforò la gola e poi le squartò il ventre aprendole completamente l’addome. Il corpo fu nascosto dentro una cassa.
Il giorno dopo, il Corriere di Poznam riceve una lettera dal killer con queste testuali parole:
 “Soltanto le lacrime di dolore possono lavare la vergogna; soltanto il dolore può estinguere le fiamme della lussuria“.

Sembrava quasi che l’assassino uccidesse prevalentemente nei giorni di festa o di qualche avvenimento importante della Nazione.
Il 1° maggio del 1966, festa del lavoro, la diciassettenne Marysia Galazka, che viveva a Zoliborz, un distretto di Varsavia, uscì da casa in un pomeriggio soleggiato per andare a trovare alcuni amici.
Al suo ritorno, prima di entrare nel giardino di casa, incontrò il suo carnefice che, con estrema rapidità, l’afferrò per il collo e la trascinò dietro casa in un capanno per gli attrezzi. Una volta al sicuro, il killer la violentò brutalmente, la strangolò, e poi le sventrò l’addome facendogli fuoriuscire gli intestini e posandoglieli accanto al corpo.
Il cadavere  mutilato della ragazza venne trovato qualche ora dopo dal padre, che rimase sconvolto nel guardare la figlia ridotta in quel modo.
Intanto la polizia, esaminando i vari delitti avvenuti nel Paese, oltre a questi quattro avvenuti nei giorni di feste nazionali, rintracciò altri quattordici omicidi, che potevano far pensare, visto il modus operandi, alla mano dello stesso serial  killer, ma in seguito ai quali nessun giornale aveva ricevuto le lettere firmate dal “Ragno Rosso“.
Notando inoltre che i delitti erano avvenuti nei dintorni delle città di Cracovia e Katowice, comprendendo Poznam, Lomza, Radom, Bydgoszcz, Lublino e Kieke, gli investigatori teorizzarono che l’assassino potesse abitare proprio in una di quelle due città finora non colpite.

Mentre la polizia era impegnata a risolvere l’ultimo caso, il Killer stava già premeditando il suo ennesimo delitto.
Qualche giorno prima del 24 dicembre 1966, egli prenotò telefonicamente per quella data due biglietti per il treno che partiva da Cracovia diretto a Varsavia. Al telefono disse che sarebbe passata sua moglie a ritirarli e infatti, quel giorno, la giovane Janina Kozielska, di diciassette anni, pagò i due ticket e salì sul treno nello scompartimento prenotato.
Qualche minuto dopo, salì anche il killer che, prima della partenza, massacrò la ragazza tagliandole la gola. Anche questa volta il ventre della vittima fu squartato e le interiora poggiate sulle gambe della ragazza. Appagata la sua sete omicida, il Ragno Rosso fuggì senza essere visto da nessuno.
Quando il treno partì, l’assassino si era già dileguato. Durante il viaggio, il corpo venne trovato da alcuni soldati, che, sconcertati da quella scena, chiamarono il capotreno che via radio avvisò la polizia. Gli inquirenti ordinarono di non fare fermare il treno per nessun motivo, in modo che nessun viaggiatore potesse scendere fino al loro arrivo.
Tutti i passeggeri vennero interrogati, ma nessuno sembrò essere coinvolto nell’accaduto, anche perché non si trovarono né armi da taglio né indumenti sporchi di sangue, ma una lettera sì, con su scritto: “L’ho fatto ancora“.
Dopo questo delitto, la polizia intensificò le ricerche e le indagini portarono a percorrere una strada che più avanti si rivelerà fondamentale: una giovane, uccisa due anni prima, risultò essere la sorella di Janina, il suo nome era Aniela Kozielska, di quattordici anni, trovata mutilata a Varsavia.
Agli investigatori non sembrò vero, forse avevano trovato la chiave per risolvere definitivamente il caso. Si recarono a casa dei genitori della ragazza per interrogarli e cercare di collegare i due delitti.
La madre delle ragazze disse che le sue due figlie avevano conosciuto un artista, che lavorava presso un club di Cracovia, dove anche altre donne si prestavano come modelle. Adesso la polizia poteva concentrarsi esclusivamente sugli iscritti di questo circolo d’arte, ma la lista dei soci era molto lunga e cercare di individuare l’eventuale sospettato era una vera impresa.
Questo club comprendeva professionisti di tutto rispetto, medici, giornalisti, alti funzionari, stimati avvocati, ma in ogni caso i detective non si persero d’animo, avendo già tracciato su una cartina gli spostamenti del killer e, considerando che a Katowice non si erano verificati delitti, diressero la  loro attenzione solo sugli iscritti residenti in questa città.
La fortuna volle che solo uno risultò esservi domiciliato: tale Lucian Staniak, di ventisei anni, nato a Katowice nel 1940, che esercitava la professione di traduttore.
Procuratosi un mandato di perquisizione, gli inquirenti si fecero aprire l’armadietto dell’artista e dentro vi trovarono dei quadri dipinti con la stessa vernice rossa con cui il killer aveva scritto le lettere. Su uno di questi c’era scritto “Il Cerchio della Vita” e la tela raffigurava una mucca che mangiava un fiore, la stessa mucca mangiata da un lupo, un cacciatore che uccideva il lupo, una vettura guidata da una donna che investiva il cacciatore ed infine la donna riversata in mezzo alla campagna con l’addome completamente aperto con sopra un fiore.
Il dipinto convinse gli investigatori a mettersi sulle tracce di Staniak.

Il 31 gennaio del 1967, la polizia andò a casa di Staniak, ma il sospettato in quel momento si trovava fuori, per compiere l’ultimo omicidio.
Una ragazza di nome Bozhena Raczkiewicz, di diciotto anni, era appena uscita da scuola e si stava dirigendo alla stazione ferroviaria quando, in un tratto di strada isolata, venne colpita in testa con una bottiglia che la stordì, poi con ferocia il Ragno Rosso le strappò i vestiti e poi la squartò, asportando alcune parti degli organi.
La polizia lo arrestò mentre stava tornando a casa e lo portò in centrale dove, interrogato per poche ore, confessò venti omicidi.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso Staniak, il Ragno Rosso avrebbe compiuto i suoi tragici delitti spinto da un’irrefrenabile voglia di vendetta. Qualche anno prima la sua famiglia era rimasta vittima di un grave incidente, nel quale erano periti sia la sorella che i genitori. Era sopravissuta invece la conducente dell’altra auto, una ragazza giovane e bionda, proprio come le sue vittime, uccise quindi per placare la sua rabbia vendicativa.

Al processo il suo avvocato riuscì a farlo passare per malato di mente, evitandogli la pena di morte e ottenendo una sentenza di ergastolo, da passare in un manicomio.
In base alle mie ultime ricerche, Lucian Staniak risulta essere ancora vivo e passa la maggior parte del suo tempo a dipingere.

Luigi Pacicco ottobre 2007

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