Karl Denke – Il Cannibale della Slesia

Biografie

Foto del serial killer Karl Denke Soprannome: Il cannibale della Slesia
Luogo omicidi: Ziebice Polonia
Periodo omicidi: 1909 – 1924
Numero vittime: 31 +
Modus operandi: uccideva con un ascia e poi sezionava i cadaveri, cannibale.
Cattura e Provvidementi: si impicco’ in carcere il 21 dicembre 1924

Karl Denke, nacque il 12 agosto del 1870, a Oberkunzendorf, a pochi chilometri da Ziebice (Polonia).
In quel periodo di grande carestia che colpiva tutta la regione della Slesia, la famiglia di Karl viveva agiatamente, a differenza dei corregionali che tiravano avanti con il minimo indispensabile.
Suo padre era proprietario di una locanda, mentre i due fratelli maggiori avevano del terreno su cui allevavano bestiame, perciò il denaro ai Denke non mancava.
I fratelli di Karl avevano abbandonato anzitempo la scuola per dedicarsi completamente alla piccola azienda di famiglia che gestivano insieme.
Quando Karl iniziò ad andare a scuola, si capì subito che anche lui era destinato ad un veloce abbandono, sopratutto a causa del suo carattere e delle sue difficoltà comunicative. Taciturno e scontroso, spesso si esprimeva solamente a gesti.
Il maestro lo riteneva un idiota senza speranze e per questo lo puniva frequentemente, anche senza validi motivi. Spesso lo allontanava dall’aula per i suoi continui disturbi durante le ore di lezione, in una nota sul registro scrisse: “Il ragazzo è molto cocciuto e non da lodare“.
Alla fine, a soli 12 anni, il proprio brutto carattere costrinse Karl ad abbandonare gli studi.

Il padre riuscì in qualche modo a trovargli un lavoro come apprendista presso un giardiniere.
Il datore di lavoro era abbastanza soddisfatto della buona volontà del ragazzo, perciò lo tenne con lui fino all’età di venticinque anni.
Ma in quel periodo, Karl accusò un duro colpo perdendo il padre che tanto gli era stato vicino, per cui la sua protezione venne a mancare malinconicamente.
Dopo quell’avvenimento, i fratelli rilevarono la locanda, continuando così la tradizione di famiglia, mentre nei pensieri del giovane Denke c’era ben altro. Rifiutò di dividere il lavoro con i fratelli, perciò i tre si accordarono in questo modo: loro avrebbero tenuto il terreno e l’osteria mentre Karl avrebbe avuto quanto gli spettava in denaro.
Con quei soldi, Karl si spostò a Munsterberg (oggi Ziebice) ed acquistò una casa a due piani che trasformò in una pensione. L’idea ebbe un discreto successo e gli affari andarono bene inizialmente, ma l’inflazione lo costrinse a vendere la proprietà, tenendosi per sé una stanza al pianterreno più la stalla dietro l’abitazione.
Col passare degli anni, la reputazione di Denke in quel paese di ottomila abitanti crebbe a vista d’occhio. Faceva numerose offerte alla chiesa del posto, durante alcuni funerali si rendeva disponibile nell’aiutare a trasportare la bara sulle spalle e soprattutto dava vitto e alloggio a mendicanti, vagabondi e bisognosi. Per tutti questi gesti umanitari la gente incominciò a chiamarlo Papà Denke.
In realtà Denke era una specie di Dott. Jekill e Mister Hyde e gli abitanti di Munsterberg dovevano ancora conoscere l’altra faccia della sua personalità.

Una sera del 1909, una mendicante di nome Emma Sander di venticinque anni, bussò alla porta di Karl per chiedere un pezzo di pane. Lui la fece entrare ed accomodare su una sedia, poi prese un’ascia e le sferrò un colpo staccandole di netto la testa. In seguito la sezionò in diverse parti e mise i pezzi di carne dentro un grande pentolone con dell’acqua per cucinarli. Il macabro pasto fu servito agli ospiti di Denke, che partecipò al banchetto senza farsi tanti problemi.
Tutti quelli che elemosinavano rivolgendosi a Karl venivano sì ristorati, ma con la carne di altri vagabondi passati prima. Molti di essi finivano per essere a loro volta squartati e tagliati a pezzettini, pronti per essere consumati dai successivi sventurati.
Denke continuava a far sparire vagabondi e mendicanti che sostavano nella sua casa dell’orrore.
Vista la richiesta che c’era in città di carne di maiale, venduta ad un prezzo sempre più elevato, un rivenditore del mercato chiese a Denke se poteva procurargliene a basso costo. Il finto filantropo assicurò il rivenditore che non c’era nessun problema e che poteva procurargliene in grande quantità, poiché suo fratello era un allevatore di bestiame e stava proprio andando a trovarlo per rifornirsi di quella carne pregiata.
Senza perdere tempo, Karl massacrò e fece a pezzi sei mendicanti che erano passati da lui, ne separò le carni, mise le ossa in un contenitore per sgrassarle e ricavarne del sapone, mentre conciò la pelle fino ad ottenerne delle cinghie. Tutta questa roba veniva venduta al mercato del paese, a costi che chiunque si poteva permettere.
Nessuno si accorse mai che dietro quella figura così buona e generosa si nascondeva in realtà un cannibale feroce e senza rimorsi.

Nella casa degli orrori continuavano ad entrare molte persone di cui si persero poi le tracce, mentre i contenitori della cucina erano sempre pieni di carne umana pronta ad essere venduta e mangiata.
Karl poteva disporre di tutta la carne che voleva a costo zero. Solitamente, nel cuore della notte, usciva con dei grossi pacchi contenenti grandi quantità di ossa e andava a gettarli nella boscaglia lì vicino, mentre i secchi pieni di sangue finivano per essere vuotati nel cortile di casa.
Ogni tanto qualche vicino di casa si lamentò di un odore sgradevole provenire dall’appartamento di Denke, ma queste segnalazioni non furono subito prese in  considerazione dalla polizia, perché secondo loro l’attività di Karl ed il materiale che usava potevano emettere quel tipo di esalazioni, per cui non verificarono nulla.
Nel frattempo circolarono altre strane voci sul conto di Denke. Alcuni parenti delle vittime fecero denuncia di scomparsa, riferendo che l’ultima volta che avevano avuto notizie dai loro cari, questi erano alloggiati nell’abitazione di Denke. Ma anche queste denunce vennero riposte tutte nell’archivio, perché le forze dell’ordine decisero di non dare peso alle denunce per scomparsa di alcuni vagabondi senza casa e senza meta.
Così, protetto dalla sua nomea di cittadino modello e di filantropo, Karl continuò la sua carneficina, fino a quando, la domenica del 21 Dicembre del 1924, un vagabondo di nome Vincenz Olivier, andò a trovarlo per farsi dare  qualcosa da mangiare.
Appena entrato in cucina, il vagabondo fu colpito alla testa da un piccone, ma solo di striscio. A quel punto, Denke gli saltò addosso per ucciderlo, ma le grida d’aiuto del giovane fecero intervenire uno degli inquilini, un certo Gabriel, che si precipitò nell’appartamento di Karl e vi trovò il mendicante che barcollava nel corridoio con la testa sanguinante.
Prima di perdere i sensi, con un filo di voce, Vincenz riuscì a dirgli che era stato proprio Papà Denke ad aggredirlo.

Portato immediatamente da un medico, lo sventurato riprese conoscenza e confermò quanto aveva detto al suo soccorritore. Inizialmente, gli inquirenti non diedero credito a quella storia, anche perché il presunto colpevole era conosciuto come persona stimata ed onesta da tutto il paese.
Ma il referto del medico non lasciava dubbi, Olivier era stato colpito con un’arma contundente.
A questo punto la polizia non aveva scelta, doveva andare a casa di Karl per avere delle delucidazioni in merito.
Alla vista delle forze dell’ordine, Denke non fece trapelare la minima emozione. Disse che aveva colpito l’uomo perché lo aveva colto mentre tentava di rubare dalla dispensa della sua cucina.
Nonostante la sua versione dei fatti, il locandiere fu portato ugualmente al comando per un interrogatorio, dove, dopo qualche ora, confessò quanto successo e aggiunse che negli ultimi anni aveva mangiato solo carne umana. Non fornì ulteriori dettagli, ma quanto detto a lasciare esterrefatti i poliziotti, che mai si sarebbero aspettati un affermazione così orrenda.
In attesa del processo, il cannibale fu rinchiuso in una cella d’isolamento, ma vera la sorpresa doveva ancora arrivare.
Alle 11,30 del giorno dopo, il sergente Palke andò nella cella di Denke per ascoltare altri particolari sulla vicenda, ma quando aprì la porta rimase pietrificato: il cannibale si era impiccato con un grande fazzoletto.

Il 24 dicembre dello stesso anno, la polizia ottenne un mandato di perquisizione per cercare ulteriori prove a carico del suicida.
Quando entrarono nella casa di Denke, rimasero agghiacciati davanti a quello “spettacolo”: pezzi di carne furono trovati dentro ad un mastello di legno, immersi in una soluzione salina, si trattava di parti di torace, addome, dorsi e glutei; in tre grandi pentole, fu rinvenuta della carne ricoperta di cute cotta in una crema che sembrò essere salsa di panna; in un tegame c’era ancora una porzione del pasto consumato qualche giorno prima da Denke, mentre in un altro contenitore, immersi in una sostanza gelatinosa, c’erano numerosi pezzi di cute umana e parti di aorta. Sul tavolo della stanza di Karl, una scodella era piena di grasso di color ambra, mentre in due scatole di metallo con la scritta sale e pepe c’erano i denti delle vittime. Tre paia di bretelle fatte di pelle umana erano appese sul muro, lacci da scarpa sempre di pelle umana dentro un cassetto.
Molti vestiti intrisi di sangue sparsi sul letto, numerosi documenti personali appartenenti alle vittime furono rinvenuti in un cassetto, oltre che un registro contabile con le iniziali dei nomi, il peso di ciascuno e la data della morte.
Nella stalla dietro casa, c’erano dei pezzi di carne e una botte piena di ossa. Nel bosco vicino, scoprirono delle colonne vertebrali e scheletri sparsi ovunque. Infine vennero sequestrate tre asce, una sega grande, un piccone e tre coltelli da macellaio.
C’è da credere che davanti ad uno scenario così sconvolgente gli investigatori ne rimasero visibilmente impressionati, lasciando nella loro mente un ricordo indelebile.
Mettendo insieme le ossa e i recipienti di grasso, fu calcolato che le vittime dovevano essere circa quaranta.
Una donna che conobbe Denke raccontò alla polizia quanto segue: “Non mi sono mai osata entrare in casa sua. Quell’uomo mi incuteva timore, aveva uno sguardo malefico, percepivo l’orrore che era in lui, nonostante gli altri ne parlassero bene“.
Per quella piccola cittadina fu un duro e inaspettato colpo, uno shock incredibile, una ferita difficile da rimarginare: il loro benefattore, che tanto avevano apprezzato ed amato, era in realtà un orco che mangiava le persone.
Il giorno dopo, il giornale locale riempì le pagine scrivendo certi particolari di quella terribile vicenda soprannominando Karl Denke come il “Cannibale della Slesia.”
Gli investigatori avrebbero voluto sapere molto di più su questa terribile storia, ma l’imprevisto suicidio di Denke fece finire nella tomba anche i suoi segreti.

Luigi Pacicco giugno 2007

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