Juan Corona
Soprannome: Il killer del machete
Luogo omicidi: Yuba City (California U.S.A.)
Periodo omicidi: 1971 – 1972
Numero vittime: 25 +
Modus operandi: vittime pugnalate o colpite con un machete
Cattura e Provvidementi: ergastolo
Juan Corona nasce in Messico nel 1934.
Da ragazzo, spinto dalla povertà del suo Paese, decide di emigrare e trova lavoro come bracciante in uno dei tanti campi di coltivazione in California, precisamente a Yuba City. Pensò di fermarsi lì per una sola stagione ma, trovando quel lavoro interessante e remunerativo, non tornerà più nel suo paese natale.
Col passare degli anni, Corona mette su famiglia, mentre il fratello Natividad apre un locale chiamato “Caffè di Guadalajara”, a Marysville in California.
Nonostante le sue inclinazioni bisessuali, Corona sembra trascorrere una vita regolare. Ben presto, la voglia di progredire negli affari lo porta anche a cambiare modo di pensare, fino ad inventarsi un nuovo lavoro: reclutare personale (per lo più contadini) per conto di altri proprietari terrieri. Lui avrebbe intascato larghe fette di percentuale, senza più sudare come faceva un tempo.
Un giorno del 1970, nel bar gestito da suo fratello, Juan Corona colpisce alla testa un cliente con un machete. L’uomo si salva per miracolo, denuncia l’accaduto alla polizia, coinvolgendo anche l’innocente Natividad che, sentendosi accusato ingiustamente e allo stesso tempo per non tradire il fratello, scappa e torna in Messico.
Nel frattempo, la follia omicida di Juan cresce a dismisura. L’uomo si accanisce in modo violento contro vagabondi, ubriaconi e braccianti immigrati che, come lui, avevano cercato un po’ di fortuna fuori dai confini di nascita.
Il giapponese Kagehiro, nel maggio del 1971, sta come al solito lavorando la terra nel frutteto, quando il suo occhio si sofferma su di una buca abbastanza grande e profonda, la cui forma ricorda una tomba, nascosta tra gli alberi di frutta. Inizialmente, non da nessuna rilevanza al fatto: dopo aver dato una veloce sbirciatina, il coltivatore asiatico si allontana per continuare il suo lavoro.
Al calar della notte, dopo che tutti se ne sono andati via, Corona lascia dentro la buca un cadavere avvolto da un sacco nero, la riempie di terra e se ne torna a casa.
Il mattino successivo, durante il suo giro per il frutteto, Kagehiro nota con sorpresa che la buca è stata riempita completamente di terra. Insospettito, chiama lo Sceriffo e gli racconta dell’accaduto.
I due cominciano subito a spalare via la terra, fino a che non riportano alla luce il cadavere.
Dalle indagini risulta che la vittima è Kenneth Whitacre, un vagabondo omosessuale.
Il suo corpo aveva subito abusi sessuali e diverse pugnalate, mentre il cranio era stato aperto con vari colpi di mannaia.
Non essendoci indizi che portino al suo nome, Corona si convince che la fortuna è dalla sua parte ed infierisce con altrettanta ferocia su altri malcapitati lavoratori e sconosciuti di passaggio, facendo salire rapidamente il numero delle sue vittime.
Qualche tempo più avanti, dei coltivatori scoprono un’altra tomba, dalla quale, dopo gli scavi ordinati dallo Sceriffo, emergono i resti di Charles Fleming, anch’egli violentato e ucciso a colpi di mannaia.
A questo punto, la polizia intensifica le ispezioni in tutta la zona e verifica se degli immigrati sono spariti nel nulla.
I coltivatori cominciano ad aver paura. In giro c’è un folle che uccide scegliendo le proprie vittime in modo casuale, perciò i proprietari dei frutteti pressano gli sceriffi per fare accelerare le indagini e catturare il mostro, anche se questo tunnel della paura sembra non finire mai.
I giornali scrivono sulle prime pagine che i braccianti di Yuba City sono perseguitati e trucidati da un folle che agisce indisturbato e senza lasciare la minima traccia. Dal canto loro, nonostante gli sforzi continui, gli investigatori non sanno da che parte iniziare le ricerche. Stampa e forze dell’ordine sono però concordi nel soprannominare il ricercato come “l’assassino del machete”.
I giorni passano, ma all’orizzonte non si vede alcuna schiarita e il malcontento generale cresce.
Viene scoperta un’altra fossa, contenente un corpo in decomposizione dal cranio fratturato. Il cadavere è ridotto veramente male e non ci sono possibilità di riconoscerlo.
Nessun sospetto porta al nome di Juan Corona, che in tutta tranquillità continua a mietere vittime, per poi seppellirle in vari punti dei frutteti circostanti.
Una mattina, un vagabondo di nome Elbert Riley, entra nell’ufficio di Corona per chiedergli un posto di lavoro. Corona gli fornisce una risposta positiva e lo invita a tornare il giorno dopo.
Durante la notte, viene scavata l’ennesima buca per la nuova vittima designata e il giorno successivo Elbert si presenta puntuale all’appuntamento con il suo tragico destino.
Il suo carnefice lo accoglie con gentilezza e gli assicura il posto come bracciante. Mentre i due continuano a discutere di lavoro, accertatosi di non essere visto, Corona afferra il machete e sferra un colpo così forte da staccare quasi la testa al suo interlocutore. Non pago, continua a infierire con ferocia contro il malcapitato, sfregiandogli il viso.
Seppellito il corpo con il favore delle tenebre, Juan torna a casa dalla sua famiglia come se niente fosse.
Nessuno si accorge di quell’ultimo vagabondo sparito nel nulla, fino a quando, il 4 giugno 1971, durante una semina con dei trattori, alcuni contadini notano che le ruote dei mezzi in certi punti del campo sprofondano in modo irregolare. Allarmati di quanto sta accadendo, si fermano per controllare di persona come mai quelle zone abbiano quel difetto.
La loro scoperta è terrificante: ci sono svariate profonde buche come quelle trovate in precedenza.
Arrivati sul luogo, gli sceriffi capiscono subito che si trovano davanti ad una vera e propria ecatombe. Il loro timore si scopre essere fondato: scavando in ogni zona del campo, emergono corpi su corpi, per la disperazione dei proprietari dei frutteti.
Molti cadaveri risultano difficili da identificare, ma alcuni indossano ancora gli abiti e, all’interno delle loro tasche, risalta una particolare comune: delle ricevute di acquisto di carne firmate Juan Corona. Insospettiti, gli investigatori si dirigono immediatamente a casa sua per interrogarlo.
Di fronte agli sceriffi, la moglie di Corona rimane sbalordita, soprattutto dopo aver sentito le motivazioni di quel controllo e dei sospetti che vigono sul capo del marito.
Durante la perquisizione della casa, vengono rinvenute delle prove schiaccianti che inchiodano l’assassino: varie ricevute, come quelle trovate nelle tasche dei cadaveri, un machete macchiato di sangue, una pala sporca, delle pallottole e alcuni sacchi contenenti i vestiti delle vittime.
Nel furgone parcheggiato sul retro della casa, vengono trovati una pistola, un coltello e delle macchie di sangue sul sedile posteriore. A questo punto, gli investigatori non hanno più bisogno di ulteriori prove e si dirigono sul posto di lavoro di Juan Corona, dove lo arrestano. E’ il 26 maggio del 1972.
Durante il processo, il suo avvocato difensore cerca di farlo passare per schizofrenico, classico pretesto per non fare andare dentro il suo assistito, ma la giuria, nel gennaio del 1973, dichiara Corona colpevole di venticinque omicidi. Quattro di queste vittime non verranno mai identificate, in quanto di nessuno di loro è mai stata segnalata la scomparsa.
La condanna è di venticinque ergastoli.
Nemmeno in carcere Corona riesce a cambiare la sua indole violenta e riesce ben presto a farsi molti nemici, malmenando spesso e volentieri alcuni detenuti. Nel 1982 è rimasto coinvolto in una rissa con altri carcerati più duri di lui, che gli hanno rifilato trentadue rasoiate sul viso, con la conseguente perdita di un occhio.
Luigi Pacicco Novembre 2006
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