Enriqueta Marti

Biografie

Foto della serial killer Enriqueta Marti Soprannome: La strega di Barcellona
Luogo omicidi: Spagna
Periodo omicidi: 1902 – 1912
Numero vittime: 10 +
Modus operandi: mutilazioni a bambini e cannibalismo
Cattura e Provvidementi: uccisa in carcere da una detenuta

Degli strani avvenimenti si stavano verificando nella città di Barcellona in Spagna. Eravamo agli inizi del 1900 e alcuni bambini erano scomparsi misteriosamente.
I giornali non diedero subito molto peso all’accaduto, limitandosi a scrivere solamente qualche piccolo articolo sulla vicenda, ma col tempo questa successione di fatti si rivelò terribile, richiamando alla memoria degli abitanti le brutte storie sulle streghe.
Le voci che circolavano per le piazze e le vie della città non lasciavano presagire nulla di buono, i genitori per spaventare i figli e non farli allontanare da casa, raccontavano loro che in giro c’era l’Uomo col sacco nero che prendeva i bambini.
Anche il Sindaco della città intervenne sulla questione, affermando che si stava facendo tanto rumore per niente, che quelle storie erano false e inventate, ma intanto negli anni seguenti altre scomparse di bambini si aggiunsero alla lista, con grande sconcerto di tutta la popolazione.

All’epoca non esistevano in commercio medicine che potessero assicurare guarigioni da malattie infettive: a volte anche un’influenza rischiava di essere fatale. Non per alcuni personaggi della Barcellona bene, che avevano conosciuto una donna che vendeva loro a prezzi esorbitanti delle fantomatiche pozioni magiche in grado di curare tutte le malattie anche quelle più pericolose.
La donna che illudeva questa gente, nacque nel 1869 in un quartiere popolare di Barcellona, si chiamava Marti Enriqueta e la sua vita era stata legata alla prostituzione fin dall’età di sedici anni, quando frequentava locali malfamati nella zona del porto di Santa Madrona, guadagnando qualche soldo per tirare avanti.
Il padre era un alcolizzato cronico, che trascorreva le giornate nelle osterie dove spendeva nel bere tutto quello che guadagnava, la madre lavorava presso una famiglia come donna delle pulizie, perciò i suoi genitori non erano molto presenti e non erano capaci di darle un’educazione e una vita più dignitosa.
All’età di vent’anni, Marti conobbe Juan Pujalò, un pittore poco conosciuto, che vendeva per poche peseta i suoi quadri raffiguranti nature morte. Qualche mese dopo, i due si sposarono.
La loro relazione durò circa dieci anni, ma non ebbero i figli, cosa che Marti avrebbe desiderato. Ci furono solo delusioni, ma il fallimento matrimoniale si deve principalmente al comportamento della donna, così come spiegò suo marito quando venne interrogato dalla polizia nel giorno dell’arresto della consorte: “Mia moglie Enriqueta era molto attratta dagli uomini e frequentava spesso e volentieri certi ambienti che a me non piacevano, la sera usciva senza darmi nessuna spiegazione, ecco perché ci siamo separati, non potevo più tollerare quell’atteggiamento“.

Il 10 febbraio del 1912, scomparve un’altra bambina, Teresita Guitart, di cinque anni.
Quel giorno la piccola stava giocando vicino alla porta di casa, sotto lo sguardo della madre Anna, che chiamata da una vicina si allontanò per un attimo, raccomandando alla figlia di non allontanarsi, pochi istanti dopo passò una donna che disse alla bambina:
Vieni bella, vieni che ho dei dolci per te.”
Quando si accorse che sua figlia era sparita, la signora Anna si mise ad urlare in mezzo alla strada, facendo uscire dalle case tutto il vicinato. Saputa la notizia, i cittadini di Barcellona rimasero col fiato sospeso per delle settimane, ma le ricerche della polizia furono vane.
Teresita intanto si trovava in una casa a lei sconosciuta, perciò di frequente piangeva non vedendo più sua madre, mentre la donna che l’aveva rapita continuava ad intimidirla dicendole di non pensare più ai suoi genitori, perché d’ora in avanti era lei la sua mamma e il suo nome sarebbe stato Felicidad e non più Teresita.
La piccolina non era l’unica sequestrata. Nella casa si trovavano altri due bambini, anche loro terrorizzati, una si chiamava Angelita, l’altro Pepito. L’unico svago che avevano i tre era quello di giocare fra di loro, perché non potevano uscire dall’abitazione.

Era ormai passato qualche giorno dall’ultima volta che le due bambine avevano visto il loro amichetto per l’ultima volta. Probabilmente pensarono che fosse riuscito a scappare da quella casa maledetta, mentre loro erano ancora nelle mani della strega.
In realtà, in una stanza chiusa sempre a chiave, Enriqueta aveva già fatto a pezzi e cucinato dentro un grande pentolone diversi bambini del luogo, compreso Pepito.
Un giorno le due bambine decisero di aprire proprio quella stanza. Aspettarono che la donna fosse uscita da casa, cercarono e trovarono la chiave e poi aprirono la porta proibita.
Dentro quella stanza semibuia c’era un forte odore di carne bollita, guardando in giro scoprirono un sacco che conteneva un coltello sporco di sangue e i vecchi vestiti di Pepito, anch’essi macchiati.
Terrorizzate, uscirono dalla camera e si misero a piangere in un angolo della cucina, fino a quando rientrò Enriqueta, che si accorse che qualcosa era successo. Fece delle domande alle due bambine, ma loro ancora con la paura che le attanagliava non risposero, perciò la donna promise che se si fossero comportate bene, per cena ci sarebbe stata una bella “sorpresa”.
La sera la donna posò sulla tavola una pentola piena di carne. I piatti furono riempiti e serviti alle due bambine, pronti per essere consumati, ma la scena che si presentò agli occhi di Teresita e Angelita fu sconvolgente: non si trattava di semplici pezzi di carne, ma erano i poveri resti del piccolo Pepito. Le manine e i piedini del bambino galleggiavano nel brodo. Senza nessuna possibilità di rifiuto, le due bimbe furono costrette a mangiarselo tutto.

Il 26 febbraio del 1912, Claudina Elias, una vicina di casa di Enriqueta, stava bagnando i fiori, quando vide alla finestra di fronte, una bambina con i capelli rasati che stava guardando nella sua direzione, chiamò quindi il marito e gli disse: “Guarda, non ti sembra che sia Teresita, la bambina scomparsa?”
Anche al consorte parve che fosse proprio lei, perciò uscì da casa e andò immediatamente al comando di polizia per informarli di quel che aveva visto.
Il giorno seguente, due agenti si presentarono a Calle de Ponente 29, bussarono alla porta e annunciarono all’impassibile Enriqueta che avevano un mandato di perquisizione.
Una volta entrati in casa, videro due bambine sedute sul divano. Il Brigadiere Ribot si avvicinò a quella con la testa rasata e le chiese come si chiamava, lei rispose: “Mi chiamo Felicidad.
Sei sicura che non sei Teresita? “, incalzò nuovamente il Brigadiere. La bambina rimase un attimo in silenzio, poi disse all’agente: “In questa casa il mio nome è Felicidad.”
L’ispettore, convinto di aver trovato la bambina scomparsa, chiese alla donna chi fosse in realtà Felicidad. Lei disse d’averla trovata il giorno prima, che vagava nel mercato di Barcellona chiedendo un pezzo di pane, ma che l’altra bambina, Angelita, era sua figlia.
Non soddisfatti di quella sua dichiarazione, i due poliziotti la portarono al comando, dove fu identificata come Marti Enriqueta, di 43 anni. Dalle indagini risultò naturalmente che anche Angelita non era sua figlia.
Nel frattempo, le due piccole stavano raccontando all’ispettore che insieme a loro c’era anche un bambino biondo, che furono costrette a mangiarsi per non fare la sua stessa fine. Quello che stava sentendo il poliziotto sembrava avere dell’assurdo, ma i fatti avrebbero dimostrato il contrario.

La donna aveva già avuto problemi con la giustizia tre anni prima, per favoreggiamento alla prostituzione minorile. In quella circostanza il caso fu archiviato grazie all’intervento di un personaggio influente della città, il cui figlio fissava abitualmente degli appuntamenti per passare alcune ore con i ragazzini di Enriqueta.
La stampa il giorno dopo scrisse: “E’ stata arrestata la Strega di Barcellona!”.
Ispezionando la casa di Enriqueta, gli investigatori notarono che l’arredamento era al di sopra delle possibilità della donna, parecchio costoso. Nella stanza citata dalle due bambine fu trovato un sacco con un coltello insanguinato e un altro contenente clavicole, costole e teschi; in un armadio c’erano invece una ciocca di capelli biondi e due grandi ampolle piene: una di sangue coagulato, l’altra di grasso, gli ingredienti dai quali la strega ricavava le pozioni “curative” da rivendere ai suoi facoltosi clienti.
In un cassetto trovarono un libro antico con delle formule strane utilizzate dalla sedicente guaritrice, in un diario era stato utilizzato un linguaggio cifrato che solo la donna poteva conoscere.
In molti cittadini si spensero definitivamente le poche speranze di riabbracciare i propri figli: qualche giorno dopo Enriqueta confessò dieci omicidi e indicò i vari luoghi dove ritrovare i resti delle piccole vittime. In una casa di Calle de Picalquès, dietro ad una parete segreta, vennero ritrovate varie ossa e quattro manine. In un’altra casa, in Calle de Tallers, ben nascoste furono rinvenute altre ossa e ciocche di capelli biondi. In una vecchia torre di Sant Feliu de Llobregat, furono portate alla luce diverse costole e piedini, poi libri con ricette e flaconi usati. Infine nella casa della Calle de Jocs Florals de Sants, vennero scoperti tre teschi di bambini di tre anni, e una serie d’ossa d’altri bambini di sei e otto anni.
Dopo queste macabre scoperte, i giornali locali scrissero: “Queste ossa parlano di crimini barbarici, sembra di essere tornati nel Medioevo. Siamo davanti ad una delle criminali più tremende e crudeli della storia della Spagna. Per un fanatismo assurdo, ha ucciso dieci bambini in nove anni per estrargli il sangue e il grasso e fabbricare pozioni. E’ un caso inaudito, mostruoso, e di questo se ne parlerà per tanti anni con stupore“.
Nella sua lunga confessione, Enriqueta affermò che il sangue e il grasso venivano mescolati insieme al midollo che estraeva dalle ossa per fare le pozioni, mentre la carne veniva cucinata. Aggiunse che quella famosa lista che gli investigatori non riuscivano a decifrare, altro non era che l’elenco dei suoi clienti, personaggi conosciuti come politici, avvocati e commercianti.
In carcere la strega tentò una volta il suicidio, ma senza riuscirci.
Durante il processo disse: “L’ho fatto solamente per sperimentare i miei medicinali e guarire le persone da tutte le malattie.”
La sentenza fu la condanna a morte, ma prima che questa avvenisse una sua compagna di cella la uccise colpendola alla testa con un arnese di ferro nel giugno del 1912.
Tante volte pensiamo che certi personaggi esistano solo nella fantasia, invece molti non sanno che la fantasia nasce proprio dalla realtà, streghe, mostri, lupi mannari, vampiri e mangiatori di uomini sono tra noi e potrebbero essere anche i vicini della porta accanto.

Luigi Pacicco maggio 2007

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