Dennis Nilsen
Soprannome: Il mutilatore di Londra
Luogo omicidi: Londra (Inghilterra)
Periodo omicidi: 1978 – 1983
Numero vittime: 14
Modus operandi: necrofilo e mutilatore, feticista
Cattura e Provvidementi: Ergastolo
Dennis Nilsen è da molti considerato come l’equivalente britannico di Jeffrey Dahmer ed in effetti le somiglianze tra i due personaggi sono notevoli: entrambi omosessuali, entrambi solitari, entrambi necrofili, entrambi dediti ad atti riprovevoli e disgustosi oltre ogni limite.
Dennis Nilsen nacque a Fraserburgh, sulla punta orientale dell’Aberdeenshire, in Scozia il 23 novembre 1945, da Betty Whyte e Olav Nilsen, un marinaio norvegese dell’Esercito della Norvegia Libera, che combatteva contro l’occupazione tedesca della Norvegia.
Fin da subito quell’unione si dimostrò un fallimento. I due si sposarono il 2 maggio 1942, ma Olav, era quasi sempre via per adempiere al proprio dovere di soldato. Quel poco tempo passato sotto il tetto coniugale gli è però bastato per mettere al mondo 3 figli: Olav Jr., Dennis e Sylvia.
Dennis Nilsen non vide mai suo padre, l’unico che ebbe questo privilegio fu il primogenito Olav Jr., poiché Betty Whyte e Olav Nilsen divorziarono nel 1948.
Fin dalla più tenera età, Dennis diede l’impressione di essere un bambino chiuso, talmente chiuso che non riuscì a legare neanche con il fratello e la sorella. Dennis dava l’impressione di essere un emarginato fin dai primi anni della sua vita: “triste, depresso, taciturno e con un senso di inferiorità” secondo le sue stesse parole.
L’unica persona con la quale Dennis aveva veramente legato e creato un rapporto profondo era il nonno materno, Andrew Whyte, che ogni tanto lo prendeva sulle sue possenti spalle e lo portava a fare lunghe passeggiate fino al porto, attraverso la grande spiaggia, fino alla cittadina di Inverallochy. Mentre passeggiavano, il nonno gli raccontava storie del mare e dei suoi pericoli e delle proprie avventure marinaresche. Dennis lo ammirava moltissimo e si rilassava tra le sue braccia a tal punto che spesso tornava a casa addormentato sulle sue spalle.
Nonostante la sua ferma moralità e la sua rigidità, nonno Andrew, era per Dennis l’unico vero punto di riferimento: lo guardava uscire sotto il vento e la pioggia battente per andare a pescare e finché non tornava la sua vita diventava vuota.
Nell’autunno del 1951, Andrew Whyte attraversò un periodo di affaticamento.
Aveva abbandonato il coro della chiesa nel quale aveva cantato per anni, non aveva più forze, bastava il minimo sforzo per stancarlo. Eppure c’era del lavoro e lui non voleva perderlo, così salutò la famiglia e partì.
Dopo aver calato le reti per l’ultima volta nella sua vita, rifiutò una tazza di the dicendo che aveva un’indigestione. Il giorno dopo i suoi compagni di pesca lo trovarono morto nel suo letto. Era il 31 ottobre 1951.
A Dennis, che non aveva ancora compiuto 6 anni, inizialmente la notizia non fu data, gli venne riferito che il nonno era malato, eppure la gente arrivava e partiva da casa come mai era accaduto prima e sua nonna piangeva in continuazione.
Finalmente sua madre gli chiese: “Vuoi vedere tuo nonno?”, e lo condusse in una cameretta, dove il nonno giaceva immobile sul letto. Portava gli occhiali e mutandoni costosi, aveva i piedi nudi e la barba lunga. Sua madre gli disse che stava dormendo ma Dennis non lo vide mai più. Gli ci vollero mesi per rendersi conto che suo nonno, il suo unico punto di riferimento, era morto e il dolore per lui fu immenso.
Dennis non riuscì mai a superare lo shock di aver visto suo nonno addormentato per l’ultima volta e da quel momento, secondo quanto racconta lui stesso, la sua personalità fu rovinata per sempre.
I parenti gli dicevano che era andato in un posto migliore e lui pensava “Perché non mi ha portato con lui? La morte allora è una cosa bella…“, elaborando una concezione della morte alquanto bizzarra.
Interrogato sulle sue sensazioni, un giorno Nilsen disse: “Egli prese con sé il vero me stesso, e lo portò sottoterra, ora io riposo con lui, sotto la spuma salata e il vento nel cimitero di Inverallochy. La natura non ha rimedi per la morte interiore“.
A partire dal 1951, Nilsen divenne sempre più depresso, spesso si allontanava da casa per lunghe passeggiate solitarie nell’ambiente selvaggio del nord della Scozia, sognando di unirsi con il mare in tutt’uno e rischiando anche, in qualche caso, di affogare.
Intanto per la madre, Betty Whyte, allevare da sola 3 figli diventava sempre più faticoso. Senza più l’appoggio del marito e del padre, si rivolse alla chiesa. Si fece così coinvolgere nella “Missione della Fede”.
Dennis venne trascinato ad incontri e riunioni in lungo e in largo nell’Aberdeenshire e fu obbligato, nonostante il suo scarso interesse, a frequentare il catechismo e la Chiesa Congregazionista di Mid Street, frequentazione che comunque gli lasciò anche qualche buon ricordo, come alcuni picnic nei boschi di Philorth. Tuttavia Nilsen non ebbe mai la fede.
Per quanto riguarda i divertimenti, questi erano assai rari: ogni tanto Dennis e suo fratello ricevevano una manciata di scellini per comprarsi qualche caramella o chewing-gum o poco più. Poi alla Missione per i Pescatori d’Alto Mare arrivò la televisione, che ipnotizzò i due ragazzini: per la prima volta vedevano com’era fatto il mondo.
Dopo tanti anni passati in una stanza con 3 bambini, Betty convinse le autorità a darle un appartamento tutto suo e si trasferì al numero 73 di Mid Street, nel centro di Fraserburgh. L’appartamento era situato all’ultimo piano di un casermone, in un’area triste e deprimente e non rendeva certo allegri. Da lì inoltre non si poteva vedere il mare.
C’erano diversi bambini nel caseggiato, ma Nilsen, sempre più melanconico, raramente si univa a loro, preferendo andare a fare passeggiate solitarie in riva al mare.
In quel periodo, Betty Whyte si risposò con Adam Scott, un uomo tranquillo, solido ed affidabile con un lavoro nell’industria delle costruzioni, che le diede altri 4 figli nell’arco di 4 anni.
L’ulteriore peso supplementare era veramente troppo per Betty, che spesso piangeva per la stanchezza, rendendo l’ambiente ancora più cupo e spingendo Dennis sempre di più nel suo triste isolamento fatto di fantasie sul mare e sulla morte. Per lui non c’erano gesti d’affetto da parte di nessuno, era un bambino emarginato il cui unico interesse era allontanarsi da casa per raggiungere il mare. Sua madre talvolta lo minacciò di affidarlo ad un istituto se continuava ad allontanarsi da casa senza permesso. Ma Dennis da quell’orecchio non ci sentiva.
Una delle poche consolazioni che Dennis trovò in quegli anni fu l’amore per gli animali, che però non era compreso dai suoi genitori che non volevano “bestie” per casa. Nonostante il divieto di tenere degli animai, riuscì ad ottenere un “permesso speciale” per un coniglio, anche se fu costretto a tenerlo in una cuccia piccolissima con una finestrella con la grata. Durante l’inverno l’animaletto morì. I genitori incolparono lui del decesso, ferendolo profondamente.
All’epoca, la famiglia si era già trasferita in una comoda casa popolare di Strichen, a sette miglia nell’entroterra di Fraserburgh. Era il 1955 e Dennis aveva già compiuto 10 anni.
A Strichen Dennis fu iscritto alla scuola locale e passò i 5 anni successivi senza farsi notare nel bene o nel male. Eppure stava lentamente maturando dentro di sé pensieri che lo convinsero sempre di più di essere un emarginato, destinato per tutta la vita alla povertà ed alla emarginazione.
Nello stesso tempo si fece una coscienza sociale basata soprattutto su idee estremistiche, forgiata in parte dallo zio Robert Ritchie, un socialista idealista che disprezzava i privilegi ed il potere.
A scuola, com’era immaginabile, non legò molto con gli altri, tuttavia eccelleva in alcune materie come il disegno, mentre invece andava male in altre come la matematica. Nilsen, in preda al suo senso di inferiorità, si convinse che aveva difficoltà negli esercizi di calcolo a causa del fatto che era nato in una famiglia povera e quindi forse era nato più ottuso, più lento di mente.
Un giorno, un vecchio di Strichen, un tale di nome Mr. Ironside scomparve. Tutto il paese lo cercò e alla fine venne trovato cadavere in riva al fiume Ugie, dietro la scuola. La sua mente era andata in tilt ed era uscito in pigiama di notte, cadendo nel fiume ed affogando.
Molti ragazzi della scuola si affollarono sulla riva del fiume mentre il cadavere veniva riportato a riva e quell’immagine scosse molto il giovane Nilsen: gli ricordò improvvisamente suo nonno, tutte immagini di morte che sarebbero rimaste fisse nella sua mente e che presto si sarebbero pericolosamente legate ad immagini di amore…
In tutti i suoi anni di scuola Nilsen non ebbe mai nessun tipo di rapporto o contatto sessuale, neanche minimo, eppure ci fu un’esperienza emotiva che non rivelò a nessuno ma che cominciò a farlo pensare sulla sua identità sessuale. A scuola, nella classe di sua sorella Sylvia, c’era un ragazzo che Dennis adorava da lontano. Lo trovava bellissimo, enigmatico, diverso. Figlio di un sacerdote del luogo, parlava con un accento diverso da quello dei ragazzi del luogo ed aveva su di sé un’aria di astratta indifferenza. Nilsen si vergognava dell’attrazione che provava per lui e si sentiva inferiore, non osava neanche avvicinarlo e non ci parlò mai neanche una volta. Riuscì tuttavia a mettersi a chiacchierare con la madre del ragazzo e ad entrare nella sua casa, provando dopo un vago senso di colpa.
La sua infatuazione successiva fu rappresentata da una semplice illustrazione di un ragazzo sul libro di francese. Dennis scoprì che i suoi sentimenti per quel misterioso individuo dentro le pagine del libro erano le stesse che aveva provato per il compagno di scuola di Sylvia. Il fatto che fosse inanimato non ne diminuiva l’interesse, anzi, lo aumentava: una notte, mentre dormiva nello stesso letto del fratello Olav Jr., Dennis non riuscì a resistere alla tentazione e iniziò a toccarsi pensando all’illustrazione. Si interruppe quando si accorse che Olav si era svegliato ed aveva il pene eretto. Nessuno dei due fece mai allusione all’episodio.
Quando Dennis Nilsen lasciò la scuola nel 1957, all’età di 15 anni, era ancora vergine e non si era mai impegnato sentimentalmente, inoltre non aveva un “migliore amico” e non aveva nessun interesse a scoprire il sesso delle femmine come gli altri ragazzi. La sua unica fonte di eccitazione era rappresentata da immagini immobili, disegni, corpi addormentati…
La vitalità lo disturbava.
La sua media scolastica era stata decente, ma senza gloria. Si era distinto soltanto nel disegno e forse, se fosse riuscito a vincere la sua pigrizia, avrebbe potuto avere un futuro come disegnatore. I suoi genitori avrebbero voluto farlo entrare nella Consolidated Pneumatic Tool Company, un’azienda del posto che dava lavoro a molte persone, ma Nilsen non ne aveva voglia, voleva andarsene dalla opprimente Strichen e dalla vita banale dei suoi genitori.
Per darsi un’occupazione provvisoria lavorò per qualche tempo in un’industria di pesce in scatola di Fraserburgh, dove aveva compito di prendere scatolette di aringhe al pomodoro da un nastro trasportatore e sistemarle in barili di metallo. Mentre lavorava, non faceva che pensare a come avrebbe potuto sollevarsi dalla noia dell’esistenza e a come eliminare la vergogna che si sentiva appiccicata addosso per i suoi strani pensieri.
Trovò la risposta a questi interrogativi nel 1961, arruolandosi nell’esercito, che gli offriva una completa rottura con il passato e la possibilità di imparare un mestiere, quello del cuoco.
All’Ufficio Reclutamento dell’Esercito in Market Street, ad Aberdeen, Dennis superò i test d’ammissione e fu destinato alla chiamata nel settembre 1961.
Il giorno della partenza, Adam, il patrigno, lo accompagnò alla stazione. Dennis era pieno di ottimismo e lo fu ancora di più man mano che si allontanava da Strichen, fino a quando il mattino dopo giunse a Londra. Da lì prese un treno per Aldershot e poi un taxi fino alla caserma di St. Omer (Ala degli Apprendisti Cuochi), Corpo di Vettovagliamento dell’Esercito, Compagnia A, Reggimento “Junior Leaders”.
Per i tre anni successivi, dal 1961 al 1964, Nilsen fu una recluta ad Aldershot. I ragazzi furono immediatamente caricati di un pesante equipaggiamento, fatti barcollare fino ai loro alloggiamenti e divisi in 2 squadre, la V e la W.
A Nilsen toccò la V. Sin dal primo giorno furono addestrati alla dura disciplina dell’esercito sotto il comando di un istruttore severo e pronto. La giornata cominciava presto ed era piena di lavori da svolgere, alcuni dei quali molto faticosi: esami, addestramento, esercizi fisici. Nilsen non eccelleva in questi ultimi ad ogni modo arrivava ogni sera a letto stanco morto e si addormentava subito. “Essere come tutti gli altri” era per lui un’esperienza nuova che gli dava gioia, tant’è che in seguito Nilsen ricordò quel periodo, pur faticoso, come il migliore della sua vita.
Dopo 3 anni e dopo aver partecipato a qualche parata che gli permisero di vedere personaggi importanti quali la Regina Elisabetta e Lord Montgomery, Nilsen superò il suo test avanzato in 5 materie, superando inoltre l’esame di cucina “B II” che confermava la direzione della sua carriera. Partecipò alla parata dei diplomati nell’estate del 1964 e a quel punto, a 19 anni neanche compiuti, sembrava che Nilsen si fosse finalmente costruito un futuro e una carriera. Anche il suo senso di isolamento era stato dissolto parzialmente dal cameratismo della vita militare.
Dopo la parata, Nilsen tornò a Strichen per una breve licenza quindi ricevette il suo primo incarico come effettivo al 1° Battaglione dei Fucilieri della Regina a Osnabruck in Germania. Fu lì che Nilsen cominciò a bere pesantemente. Successivamente fu nuovamente trasferito brevemente ad Aldershot, per completare l’esame di cucina “B I”, poi venne mandato in Norvegia con la sua brigata.
In quegli anni di relativa felicità c’era però un problema sempre più pressante per Nilsen. Ormai aveva capito di essere attratto dai ragazzi di sesso maschile, ma doveva far finta di nulla dato che tutti i camerati se parlavano di omosessuali era per deriderli. Fu costretto a tenere tutto questo dentro di sé, cercando di non fare trapelare assolutamente nulla delle sue preferenze per paura di essere considerato anormale. Eppure più passava il tempo e più la tentazione diventava forte.
Nel 1967, all’età di 21 anni, Nilsen venne trasferito ad Aden, nello Yemen, a raggiungere i reparti di polizia militare che sorvegliavano i terroristi rinchiusi nel carcere di Al Mansoura. Gli inglesi stavano conducendo una disperata guerra di difesa contro i terroristi arabi, spinti dall’odio e incuranti della propria vita.
Quella sotto il sole cocente dello Yemen fu un’esperienza difficile per Nilsen, che continuava ad ubriacarsi costantemente esponendosi talvolta a rischi molto grossi. Rischi che culminarono in un’occasione in cui, per difendere la propria vita, Nilsen fu costretto ad uccidere un arabo che l’aveva rapito tramite un taxi camuffato. Ripresa conoscenza nel bagagliaio dell’automobile, Dennis aveva aggredito il suo rapitore dopo essersi finto morto: impugnato il cric di metallo che era rimasto provvidenzialmente dentro il bagagliaio, lo sbatté con forza sulla testa dell’arabo che crollò a terra come un bue sgozzato. Successivamente gli rifilò altri colpi altrettanto forti sulla testa per accertarsi della sua morte, quindi lo nascose nel bagagliaio, pulendo le macchie per terra. Quando arrivò a piedi alla prigione, con due ore di ritardo, fu punito ma non parlò mai dell’accaduto sebbene si fosse trattato di un omicidio per legittima difesa. Per un bel pezzo rimase terrorizzato da quello che sarebbe potuto capitare ed ebbe frequenti incubi in cui era torturato, violentato, ucciso e mutilato in varie combinazioni.
Ad ogni modo, durante il ritiro inglese da Aden nel 1967, Nilsen fu assegnato alla mensa dei Trucial Oman Scouts a Sharjah, nel Golfo Persico, e, nonostante alcuni episodi strazianti (un pilota che era precipitato fu portato nella mensa a pezzi ed un amico di bevute che cadde da una jeep rompendosi l’osso del collo), fu per lui un periodo relativamente rilassante. Nilsen pensò al suo amico di bevute che era morto e arrivò alla conclusione che tutto sommato era stato fortunato a morire così giovane, rimanendo fermo nel tempo in un momento di felicità, mentre lui prima o poi sarebbe caduto in una spirale di decadenza.
A Sharjah, Nilsen era un sottufficiale, ruolo che gli consentiva il vantaggio di avere una stanza tutta per sé. Lì fece le sue prime esperienze sessuali con giovani ragazzi arabi del posto, che erano disposti ad andare a letto con lui così come con altri graduati. Uno di loro gli promise amore eterno se lo avesse portato con sé in Gran Bretagna, ma Dennis sapeva che era una cosa impossibile.
Oltre ai rapporti sessuali con i giovani ragazzi arabi, Nilsen scoprì di eccitarsi a vedere la sua figura immobile in uno specchio, l’importante era che non si vedesse la faccia e che sembrasse morto. Masturbandosi in quei momenti raggiungeva quasi più piacere che durante i rapporti sessuali con i suoi schiavetti. Cominciò così una forma di narcisismo distorto, in cui l’oggetto del desiderio era all’apparenza morto.
Gli anni passati a nascondere la sua vera identità stavano producendo effetti sempre più distorti nella mente di Nilsen, che cominciò a vivere una esistenza parallela di sola immaginazione, in cui era eccitato dalla sua immagine di cadavere. Vedere corpi fermi, immobili, addormentati lo eccitava, segno di una montante e radicata necrofilia che anni dopo sarebbe esplosa in maniera sempre più mostruosa.
Nel gennaio 1968, Nilsen tornò in Inghilterra per essere assegnato al I Battaglione degli Highlanders di Argyll e Sutherland. Con loro fece parte di una squadra d’assalto che andò a Cipro nel 1969, per poi trasferirsi alla mensa degli ufficiali nella caserma Montgomery di Berlino, a cinquanta metri dal confine con i comunisti.
In quel periodo ebbe anche qualche esperienza con prostitute femmine, ma furono esperienze piuttosto deludenti per lui.
All’inizio del 1970, Nilsen fu scelto per la mensa della scuola militare di sci a Bodenmais in Baviera. In quel periodo imparò molto bene a tagliare a pezzi gli animali, esperienza che poi gli servì drammaticamente in futuro quando si trovò a dover fare a pezzi non solo animali.
Nell’agosto dello stesso anno fu scelto come responsabile della cucina dei sottufficiali della Guardia Reale a Ballater, durante il periodo della vacanza annuale della Regina a Balmoral, quindi nel gennaio 1971, quando furono annunciate le nuove assegnazioni, gli fu ordinato di raggiungere il 242.mo Comunicazione nelle selvagge Isole Shetland, per quella che sarebbe stata l’ultima tappa della sua carriera militare e un punto di svolta nella sua distorta vita sentimentale.
Durante la sua permanenza nelle isole Shetland, con la benedizione dell’Esercito, fece un corso di cinematografia che poi utilizzò per fare film con un ingenuo soldato diciottenne, immortalandolo in pose immobili, facendogli fare il morto, poi rivedendo le scene mentre si masturbava. Il giovane con cui faceva questi film non era omosessuale, ma era abbastanza giovane e sprovveduto da accogliere con gioia l’amicizia con un caporale, anche se questi gli faceva fare delle cose strane e apparentemente senza senso.
La sera prima di ripartire per la Scozia e chiudere la sua carriera militare, Nilsen incenerì tutti i film che aveva fatto, più di 5.000 metri di pellicola, sorprendendo tutti. Il proiettore lo diede al suo amico diciottenne come regalo d’addio.
Nilsen tornò ad Aberdeen e da lì a casa sua, a Strichen. Per lui si chiudeva un’era tutto sommato positiva ma che non l’aveva distolto dalle sue fantasie di morte e di amore.
Era profondamente innamorato di quel ragazzo che aveva dovuto abbandonare per sempre, ancora una volta sentiva dentro di sé che amore e morte erano due cose assolutamente imprescindibili e anche quest’esperienza nelle isole Shetland gliene aveva dato una prova.
Quando Nilsen terminò la carriera nell’Esercito aveva quasi 27 anni e non si arruolò più per motivi prettamente etici poiché, in seguito ai fatti irlandesi di quel periodo, non gli piaceva stare dalla parte dell’oppressore. Questo è perlomeno ciò che provava dentro di lui, agli altri raccontò di sentirsi pronto per tentare una carriera diversa.
Dennis rimase a Strichen tra l’ottobre e il dicembre 1972, domandandosi cosa avrebbe fatto in futuro. Era assalito da terribili dubbi sul futuro, anche se sua madre era più preoccupata dal suo assoluto disinteresse nell’ipotesi di un matrimonio.
Cominciò ad essere sempre più spesso assalito da incubi, basati sulle sue esperienze in Arabia. Gli incubi erano generalmente indotti da una combinazione di alcool e musica classica a tutto volume nelle orecchie. Sua madre ricorda che stava sveglio fino a tardi ad ascoltare musica e scrivere poesie macabre. Era come avere un estraneo scontroso e taciturno a casa.
Dennis non poteva rimanere a lungo a Strichen, non era il posto adatto a lui. Alla fine, sempre più in preda all’ansia, decise che il passaggio più naturale sarebbe stato quello di passare da un uniforme all’altra diventando poliziotto o guardia carceraria. Decise per la prima possibilità e, nel dicembre 1972, si iscrisse alla scuola di polizia di Hendon, nel nord di Londra.
Nell’aprile del 1973, dopo 4 mesi di corso, fu assegnato alla divisione Q, presso la stazione di polizia di Willesden Green con la matricola di Agente Q287. Sarebbe rimasto in polizia per un anno esatto, durante il quale si rese conto che quell’attività non era adatta a lui: a causa delle sue tendenze di sinistra, era sempre più insoddisfatto di come le autorità gestissero il potere e cominciò a detestare il suo stesso lavoro. Inoltre rimase deluso dallo scarso senso di cameratismo che regnava all’interno della polizia.
Durante l’anno passato in polizia ci fu solo un episodio che ricordò con piacere e fu proprio all’inizio della sua carriera, nell’aprile del 1973, quando Peter Wallstead, il poliziotto che aveva il compito di iniziarlo al lavoro effettivo, assegnò lui ed un altro compagno di corso a dare un’occhiata all’obitorio dietro il municipio di Brent Town. Questo il resoconto di quella esperienza da parte di Nilsen: “Entrammo in una stanzetta sporca che aveva tutto il disordine del retro di una macelleria militare. C’erano diversi carrelli di metallo in giro, con sopra dei corpi aperti a metà. La maggior parte erano vecchi, con un pezzo di legno che gli reggeva la testa, e una varietà di espressioni grottesche sul viso. Erano tutti tagliati dalla gola all’ombelico, con lo sterno e le costole segate per poter accedere al cuore e ai polmoni. Il retro della testa era aperto per poter arrivare al cervello. (…) Su uno dei carrelli, in contrasto con il corpo ancora integro di un vecchio, c’era il cadavere di una ragazzina, con un’etichetta appesa al polso sinistro.”
Mentre il suo collega uscì sbiancato in volto, per Nilsen fu un’esperienza affascinante, forse l’unica di tutta la sua carriera in polizia.
Durante quell’anno ricominciò a soffrire pesantemente di solitudine e cominciò a frequentare pub per omosessuali. Le sue prime esperienze in tal senso furono tuttavia insoddisfacenti e frustranti: gli incontri clandestini di solo sesso non facevano per lui. I continui episodi di quel tipo che si verificarono (anche se raramente arrivavano al rapporto anale) convinsero Nilsen che non poteva rimanere nella polizia mantenendo una minima facciata di decenza e si dimise nel dicembre 1973, tra lo stupore dei colleghi e con l’ennesimo senso di fallimento addosso.
Nei primi mesi del 1974, Nilsen era sperduto e senza più mezzi, si trovava persino senza casa, condizione inedita per lui fino a quel momento. Alla fine se la cavò prendendo una stanza in affitto al numero 9 di Manston Road, nei quartieri nord-occidentali di Londra. Per pagare l’affitto vendette per 8 sterline la sua medaglia di servizio.
In quei mesi di limbo, lavorò come guardia in varie proprietà statali ma anche la vita da guardia notturna non gli piaceva, si annoiava e la noia portava con sé brutti pensieri…
Nel maggio 1974, si licenziò dalla PSA Security e dopo una settimana ebbe il coraggio di fare domanda per il sussidio di disoccupazione. Per lui fu un momento umiliante e imbarazzante, si sentiva disceso rapidamente ed inesorabilmente nell’inutilità.
Tuttavia Nilsen fu intervistato da un funzionario che lo propose per un impiego nel servizio pubblico e il 20 maggio si presentò davanti ad una commissione per ottenere un posto di consulente nello stesso Dipartimento per l’Occupazione. La sua domanda fu accolta e da quel momento lavorò al “Jobcentre” di Denmark Street. I “Jobcentre” sono in pratica l’equivalente delle nostre agenzie interinali, che si occupano di pubblicizzare gli impieghi disponibili nell’area metropolitana, per la maggior parte umili e mal retribuiti. Dennis Nilsen lavorò come consulente in quel posto fino al momento del suo arresto, il 9 febbraio 1983.
Non era un lavoro particolarmente stimolante per Nilsen, relegato per la maggior parte del tempo al telefono e alle prese con un mare di burocrazia, tuttavia gli permetteva di vivere e di mantenere i suoi vizi, anch’essi ben poco utili alla sua felicità.
La sua scarsa vita sociale si limitava ad incontri inconcludenti con una serie di “amichetti” incontrati in pub per omosessuali. Nessuno di loro aveva un nome e nessuno veniva incontrato per una seconda volta: il senso di solitudine e di inutilità lo attanagliava ogni giorno di più.
Quando la padrona di Manston Road si lamentò di tutte quelle misteriose visite notturne e chiese a Nilsen di andarsene, lui si trasferì in una stanza un poco più grande in Teignmouth Road.
Il 1974 e il 1975 furono anni estremamente promiscui ma al tempo stesso estremamente deprimenti. Un giorno accadde però qualcosa che fu una specie di prologo a quella che poi diventò la sua carriera di assassino.
Un giovane 17enne, David Painter, si presentò al Jobcentre in cerca di un lavoro temporaneo. Non c’era nessun lavoro adatto alle sue esigenze così se ne andò. Un’ora più tardi i due si incontrarono nuovamente per strada e Nilsen invitò il giovane nella sua stanza a Teignmouth Road. Bevvero un po’, si guardarono un film western dal proiettore di Nilsen e poi, dopo aver rifiutato delle avances, David si addormentò sul letto.
Quando riaprì gli occhi, il ragazzo si ritrovò la cinepresa di Nilsen puntata addosso ed ebbe un attacco di panico, strillando come un pazzo e sbattendo un braccio contro una vetrata. Nilsen rinunciò a controllarlo e chiamò la polizia e un’ambulanza. Alla stazione di polizia di Willesden Green, dove lui stesso aveva lavorato, venne interrogato a fondo e infine rilasciato quando arrivò la conferma che il ragazzo non era stato molestato sessualmente. I genitori di Painter, per paura del processo, non sporsero denuncia e così il caso fu archiviato. Nilsen disse che quel ragazzo era andato fuori di testa ma evidentemente qualcosa nel suo atteggiamento doveva averlo spaventato…
Effettivamente Dennis, tra un incontro effimero e l’altro, stava continuando a sprofondare sempre di più nella sua fissazione verso le “cose morte” e immobili, per questo aveva ripreso Painter mentre dormiva.
Tra tante cose negative ne arrivò finalmente una positiva: un’eredità di 1.000 sterline dal padre genetico che era morto in Norvegia. Nilsen si rivolse ad un’agenzia immobiliare ed utilizzò quei soldi per affittarsi un appartamento al piano terra, con giardino, in Melrose Avenue 195, con un mese di affitto anticipato.
In quel periodo conobbe anche un ragazzo con cui iniziò una convivenza, un certo David Gallichan, un giovane omosessuale conosciuto in un pub.
Quella con David fu l’unica relazione veramente seria di Nilsen, sia come durata che come qualità. I due, al culmine della relazione, non uscivano più per pub, si erano comprati un cagnolino, un gatto e un pappagallo ed anche i video ripresi con la cinepresa da Nilsen in quel periodo, intorno alla fine del 1975, testimoniano una situazione tranquilla all’interno di una casa ordinata e serena.
Ma la fortuna girò nuovamente le spalle a Nilsen. La relazione con David peggiorò di giorno in giorno, i due litigavano per un nonnulla. Nell’aprile del 1976, Nilsen cominciò per giunta a soffrire di terribili mal di testa e diventò ancora più irritabile. Una visita rivelò un problema alla vescica, ma avrebbe dovuto aspettare due mesi per l’operazione, mesi in cui litigò molte volte con David per questioni di poca importanza.
Il 16 giugno 1976, Nilsen venne finalmente operato per la rimozione di un calcolo, ma nel frattempo la relazione con David si era irreparabilmente rovinata, ognuno dei due portava a casa altre persone e le tensioni casalinghe raggiunsero un punto tale che Nilsen, in un eccesso di rabbia, gli ordinò di andarsene e non tornare mai più. Era l’estate del 1977, Nilsen si convinse che non sarebbe mai più riuscito ad avere una relazione sentimentale soddisfacente e che il suo destino era rimanere solo.
Incanalò così tutto il suo affetto su “Bleep”, la bastardina voluta da David, che era rimasta a lui, mentre incanalò tutto il suo desiderio in anonimi incontri notturni che non gli davano nessuna soddisfazione. Ricominciò anche a bere.
Il lavoro divenne invece un sostituto ossessivo alla sua vita vuota, tanto che si impegnò a fondo in attività sindacali dove poteva esprimere tutta la sua vena polemica.
Internamente Nilsen sprofondava sempre di più nelle sue fantasie segrete e nel suo feticismo dello specchio. In alcune occasioni si cospargeva di borotalco, si metteva addosso del sangue finto e si masturbava guardandosi allo specchio ed immaginando di essere morto, fucilato dalle SS. Altre volte, sempre cospargendosi di borotalco, immaginava di essere trascinato in una capanna da un vecchio eremita. Dopo averlo lavato, l’eremita della sua immaginazione gli legava il pene e gli infilava del cotone nell’ano. Quindi lo riprendeva in spalla e lo portava nel bosco per seppellirlo, ma poi ci ripensava, lo riportava nella capanna e lo masturbava, facendo eiaculare il suo pene che in tal modo resuscitava.
Nilsen era ormai conscio di essere innamorato del suo immaginario cadavere, ma, nel 1978, la sua degradazione interiore era arrivata ad un punto tale da desiderare anche i cadaveri altrui. Fu quello l’anno del suo primo omicidio.
La disperazione di Nilsen giunse al punto di rottura verso la fine del 1978. Le possibilità di fare carriera erano rovinate dal suo attivismo sindacale, l’apatia dei colleghi che lo avevano eletto come rappresentante ma che poi non lo aiutavano, l’incapacità di tenersi un compagno per più di un giorno, la solitudine che lo attanagliava e la sua depressione furono tutti elementi negativi della sua esistenza di quel periodo, aggravati come spesso succede dall’avvicinarsi dei giorni di festa del dicembre 1978.
Nilsen cominciò a pensare che se si fosse ammazzato nessuno avrebbe notato il suo corpo per almeno una settimana. Non aveva nessuno a cui rivolgersi per un vero aiuto. Era in contatto quotidiano con tante persone, ma era sempre irreparabilmente solo.
La disperazione peggiorò quando passò il Natale da solo con il suo cane, confortandosi con la musica e la bottiglia. Quando si avvicinò l’ultimo dell’anno era in uno stato di ubriachezza triste.
Il 30 dicembre decise che a tutti i costi doveva uscire di casa a cercare compagnia. Invece di andare in uno dei soliti posti, si diresse al Cricklewood Arms, un rozzo pub irlandese dove bevve un boccale dietro l’altro di Guinness alla spina. Si dette a conversazioni casuali con vari gruppi di persone, fino a quando si ritrovò a chiacchierare con un giovane irlandese, solo come lui. Lo convinse ad andare a dormire a casa sua, dato che erano entrambi ubriachi, e l’altro accettò.
Dal giorno dopo, ultimo dell’anno del 1978, Nilsen sarebbe diventato un assassino.
I due si recarono fino a Melrose Avenue 195, dove restarono svegli fino a tardi bevendo fino all’incoscienza. Alla fine entrambi si spogliarono e si trascinarono nel letto, ma non ci furono contatti sessuali.
Nilsen si svegliò un paio d’ore dopo, alle prime luci dell’alba, e guardò l’altro disteso accanto a lui. Non voleva svegliarlo, per paura che andasse via, così gli si distese a fianco. Passò la mano sul corpo dell’uomo addormentato, esplorandolo. Si eccitò moltissimo sentendo il battito del suo cuore e cominciò a sudare. Era convinto che entro qualche ora il suo compagno occasionale si sarebbe svegliato e sarebbe andato via, lasciandolo solo per il capodanno, ma lui non lo voleva, non voleva più restare solo, così prese una cravatta dai vestiti a bordo del letto e gliela passò sotto il collo.
Questa la descrizione dell’omicidio fatta dallo stesso Nilsen durante la sua confessione: “D’un colpo mi misi a cavalcioni su di lui e tirai con tutta la mia forza. Il suo corpo si risvegliò immediatamente. Lottando cademmo sul pavimento. «Ma che….» disse, ma io tirai ancora più forte la cravatta. Con lui che spingeva con i piedi ed io sopra di lui percorremmo il pavimento(…) Avevamo fatto circa 3 metri e avevamo rovesciato il tavolino, i posacenere e i bicchieri. Ora aveva la testa contro il muro. Dopo circa un minuto lo sentii afflosciarsi lentamente. Le sue braccia ricaddero sul pavimento. Mi alzai in piedi tremante per la tensione e la fatica. Poi notai che aveva ricominciato a respirare con dei sospiri rauchi ma era ancora privo di conoscenza. Non sapevo cosa fare. Corsi in cucina e riempii d’acqua un secchio di plastica. Tornai in camera e lo appoggiai per terra. «Sarà meglio che lo anneghi» pensai. Lo presi da sotto le ascelle e lo sollevai, poi lo distesi a testa in giù su una sedia. Ci misi vicino il secchio e afferrandolo per i capelli gli sollevai la testa e la misi nel secchio con l’acqua. Dell’acqua traboccò e finì nella moquette. Gli tenevo la testa dentro e lui non faceva resistenza. Dopo qualche tempo le bolle smisero di uscire. Lo tirai su e lo misi a sedere sulla poltrona; l’acqua gocciolava dai suoi corti capelli scuri e riccioluti.(…)“.
Dopo aver smesso di tremare, facendosi un caffè, Nilsen rimase per un certo periodo in stato di shock per quello che aveva fatto, poi passò al secondo atto del delitto. Si prese in spalla il cadavere e gli fece un bagno nella vasca, quindi se lo portò a letto osservandolo estasiato, accarezzandolo….
Quando realizzò quello che aveva fatto, fregandosene dell’ultimo dell’anno, pensò semplicemente a come sbarazzarsi del corpo.
Uscì, andò da un ferramenta, comprò una pentola di ferro e un coltello elettrico, ma tornato a casa pensò che non era una buona idea. Così, rimandando la decisione su come liberarsi di quel cadavere, se lo tenne ancora nel letto per un po’ ad accarezzarlo ed osservarlo. Tentò quindi una penetrazione anale, ma appena ci provò perse automaticamente l’erezione: il corpo del giovane stava diventando rapidamente freddo…
Alla fine decise di avvolgerlo con una vecchia tenda, di spostare momentaneamente un pezzo di moquette e di alzare una delle assi di legno del pavimento per sotterrarlo lì dentro, insieme a dei mattoni e della terra del giardino. Nel frattempo però era sopraggiunto il rigor mortis e fu costretto ad aspettare molte ore prima di poter concludere il proprio lavoro.
Quando il corpo cominciò a piegarsi meglio, Nilsen si eccitò di nuovo, lo spogliò nudo, gli fece un altro bagno e se lo portò nel letto dove si mise a cavalcioni su di lui e si masturbò sul suo ventre nudo. Il giorno dopo aveva intenzione di tagliarlo a pezzi, ma poi ci ripensò e lo seppellì così com’era sotto un’asse di legno del suo appartamento che poi richiuse.
Il corpo rimase indisturbato lì sotto per sette mesi e mezzo. Poi, l’11 agosto 1979, Dennis tirò fuori il corpo e lo bruciò su un fuoco che aveva costruito il giorno prima in giardino. Non lo smembrò, ma lo avvolse semplicemente in dei sacchi di plastica legati con dello spago. Nilsen aggiunse della gomma al fuoco per togliere l’odore della carne arrostita, quindi pestò le ceneri fino a polverizzarle e con un rastrello le sparse per il terreno.
Il ragazzo irlandese senza nome sparì così senza lasciare traccia.
Nonostante quell’atroce segreto, Nilsen si sentiva al sicuro, certo che non avrebbe più ucciso nessuno.
Ma si sbagliava. Già nell’ottobre del 1979 un particolare episodio gli ricordò di cosa era capace.
In quel periodo, Nilsen conobbe un giovane studente cinese, Andrew Ho, che lo ospitò nella propria casa.
Il giovane iniziò a parlare di bondage, confessando di voler legare Nilsen, o almeno di voler farsi legare da lui. Nilsen gli offrì una certa somma, ma non voleva concedergli intimità. I due finirono per litigare e Nilsen, senza scomporsi, per accontentare il giovane cinese, gli legò i piedi, poi gli legò una cravatta intorno al collo, cominciando a stringere, soffocandolo e dicendogli che quella era la cosa che poteva capitargli. Andrew venne preso dal panico e Nilsen lasciò improvvisamente la presa lasciandolo andare via. Poco dopo arrivò la polizia, ma non ci furono accuse perché Ho decise di non sporgere denuncia e Nilsen negò di aver tentato di strangolarlo.
Prima di traslocare da Melrose Avenue, nel settembre 1981, Dennis Nilsen uccise ben 12 uomini di cui solo 4 identificati: Kenneth Ockendon, Martyn Duffey, Billy Sutherland e Malcolm Barlow e solo la scomparsa di uno di questi, Kenneth Ockedon, finì sui giornali. Gli altri 8 rimasero senza nome. Quando poi cambiò casa uccise altri 3 uomini, fino al gennaio 1983, per un totale di 15 uomini a cui vanno sommati, in base alla sua confessione, 7 tentati omicidi, in cui o la vittima aveva opposto un’eccessiva resistenza o lui si era risvegliato dalla trance assassina in tempo.
Il motivo per cui tanti omicidi passarono praticamente inosservati, tanto che uno solo venne notato dai giornali, è dovuto al fatto che nel sottobosco di Londra è pieno di giovani scappati di casa, senza più contatti con la famiglia: drogati, punk, sbandati, alcuni di essi anche omosessuali, molti senza casa e senza lavoro, in sostanza un mondo di giovani solitari, disoccupati e invisibili. In queste condizioni è molto facile scomparire, ed anche essere ammazzati, senza che nessuno lo venga mai a sapere.
Tuttavia, come anticipato sopra, una delle vittime non era uno sbandato. Kenneth Ockendon era un giovane canadese che si trovava in Inghilterra per fare visita a dei parenti, aveva dunque una famiglia che lo aspettava a casa.
Il 3 dicembre 1979, Kenneth fece amicizia con Dennis Nilsen mentre si trovava in giro a fare delle foto. I due passarono la giornata insieme, diventando amici, e Nilsen invitò l’altro a casa sua. Era stata una bella giornata, ma Dennis non riusciva a pensare che il giorno dopo Ken sarebbe ripartito per il Canada. Così, mentre il giovane ospite era assorto ad ascoltare della musica, Nilsen, piuttosto alticcio, prese il cavo delle cuffie e cominciò a strangolare il giovane che, preso di sorpresa, non riuscì neanche ad abbozzare una reazione di difesa e morì dopo pochi minuti per strangolamento.
Ecco come ha descritto quegli attimi lo stesso Nilsen: “Dopo averlo ucciso con il cavo delle cuffie lo spogliai nudo scoprendo che se l’era fatta tutta addosso. Lo pulii un po’ con un lungo pezzo di carta da cucina e me lo misi in spalla (…) Gli feci il bagno e lo misi a letto. Lo tenni nel letto per il resto della notte. Niente sesso, solo carezze ecc… Quando mi svegliai la mattina dopo penzolava a metà fuori dal letto ed era molto più freddo a toccarlo. Lo tirai di nuovo vicino a me e lo raddrizzai. Mi alzai e pulii il casino. Buttai via tutta la sua roba. Lo misi nell’armadio e andai a lavorare. Quella sera gli diedi un’occhiata nell’armadio; era piegato in due e si era irrigidito in quella posizione bizzarra. Il giorno dopo comprai una macchina Polaroid economica. La sera lo tirai fuori dall’armadio e lo raddrizzai. Mentre era rannicchiato nell’armadio, un liquido marrone gli era colato dal naso sul petto e sulle braccia , così lo pulii con della carta bagnata. Lo misi a sedere su una sedia della cucina e lo vestii con le mutande, i calzini e la canottiera. Aveva il viso un po’ gonfio e leggermente arrossato. Gli misi del fondotinta per nascondere il colore della sua pelle poi sistemai il corpo in varie posizioni e feci diverse foto. Mi distesi vestito nel letto con lui che mi stava a cavalcioni mentre io guardavo la TV. A volte gli parlavo come se lui fosse ancora vivo. Mi complimentavo per il suo aspetto e per la sua anatomia. Incrociandogli le gambe misi il mio sesso tra le sue cosce, poi lo coprii bene prima di metterlo sotto le assi del pavimento.”.
A causa del clima molto rigido, la decomposizione “marciava” a rilento e Nilsen disseppellì il cadavere almeno quattro volte nelle due settimane successive: lo metteva in poltrona mentre guardava la TV e se lo teneva tutta la sera per compagnia. Nilsen pensava che il suo corpo e la sua pelle erano bellissimi e dopo un paio di bicchieri di alcool gli venivano le lacrime agli occhi a pensare a quanto era bello. Poi, terminata la serata, lo avvolgeva in un tessuto e lo rimetteva sotto le assi augurandogli addirittura la buonanotte.
Quando la decomposizione gli impedì di effettuare quelle strane serate, Dennis distrusse tutti i dischi che gli ricordavano il ragazzo canadese.
Un’altra vittima di Nilsen che venne identificata fu Martyn Duffey, dal Merseyside. Venuto fuori da un’infanzia difficile, con segni marcati di instabilità quali furti, fughe e comportamento violento, Martyn era un bisessuale e frequentava spesso i pub gay di Liverpool restando fuori la notte e diventando Valium dipendente. Si manteneva comunque in contatto epistolare con un assistente sociale di Londra, che gli raccomandava di tenersi alla larga dalla capitale.
Piano piano, Martyn stava superando i suoi problemi facendo un corso di cucina e sviluppando un profondo attaccamento per una ragazza con sui si era messo insieme. Stava superando visibilmente i suoi problemi, ma ebbe una ricaduta quando un giorno fu interrogato dalla polizia per non aver pagato il biglietto sul treno. Nel maggio del 1980, fece la valigia mettendoci dentro anche i coltelli da cucina e disse ai suoi genitori che andava a vivere a New Brighton. Non si sa come arrivò invece a Londra e lì dormì nelle stazioni per qualche giorno, finché non incontrò Dennis Nilsen che lo invitò a casa sua. Non aveva ancora compiuto 17 anni.
Nilsen ricorda che quella sera il ragazzo si bevve due lattine di birra e poi si addormentò sul letto firmando la sua condanna a morte. Questa la descrizione di Nilsen su quest’omicidio: “Mi ricordo che stavo a cavalcioni su di lui con le sue braccia intrappolate nella coperta. Lo strangolai con tutta la mia forza, nell’oscurità quasi completa, con solo una lampada accesa da sotto. Mentre stavo su di lui sentii che il mio sedere si stava bagnando. L’urina aveva attraversato le coperte e i miei jeans. Quando fu abbastanza floscio, lo tirai per le caviglie fino all’orlo della piattaforma e misi i piedi sulla scala. Lo tirai sulle mie spalle e lo portai al piano di sotto. Era privo di conoscenza ma vivo. Lo misi giù, riempii d’acqua il lavello, ce lo misi sopra e lo tenni lì fermo con la testa sott’acqua. Devo averlo tenuto immerso per 3 o 4 minuti, poi lo presi in braccia e lo portai in camera. Lo distesi a terra e gli tolsi i calzini, i jeans, la maglietta e le mutande. Lo portai nel bagno. Mi misi io nella vasca stavolta e lui era disteso nell’acqua sopra di me. Lavai il suo corpo. Eravamo tutti e due fradici ma riuscii in qualche modo a mettermi questo peso scivoloso sulle spalle e a portarmelo in camera. Lo misi a sedere sulla sedia in cucina e asciugai sia me che lui, poi lo rimisi sul letto ma senza lenzuola. Era ancora caldo. Gli parlai ancora e gli dissi che il suo corpo aveva l’aspetto più giovanile che avessi mai visto. Lo baciai dappertutto e lo tenni stretto vicino a me. Mi sedetti sulla sua pancia e mi masturbai, poi lo sistemai nell’armadio. Due giorni dopo lo trovai nell’armadio tutto gonfio e finì dritto sotto il pavimento“.
Un’altra vittima identificata fu Billy Sutherland, un mezzo ubriacone di Edinburgo che era stato in riformatorio e in prigione. Aveva 27 anni, era coperto di tatuaggi sulle braccia, sulle mani e sul petto. Sulle dita delle due mani si era fatto tatuare le parole “Love” (Amore) e “Hate” (Odio). In Scozia aveva avuto una ragazza e ci aveva fatto un figlio, ma a Londra viveva come uno zingaro, dormendo talvolta con uomini per denaro e talvolta rubando in caso di bisogno.
Ad ogni modo, ovunque andasse, si teneva in contatto con sua madre in Scozia e fu lei a denunciare la sua scomparsa alla polizia. Purtroppo nella sola Londra c’erano circa quaranta Billy Sutherland che risultavano scomparsi: come cercare un ago nel pagliaio.
Nilsen incontrò il giovane spostato nei pressi della stazione della metropolitana di Leicester Square. Billy gli disse che non aveva un posto dove andare. Un po’ riluttante Nilsen gli comprò un biglietto e lo invitò a dormire a casa sua.
Dennis non ha nessun ricordo preciso di quest’omicidio: il solito strangolamento dopo una grossa bevuta, il solito cadavere da sistemare in qualche modo.
L’ultima delle vittime uccise a Melrose Avenue e successivamente identificate fu Malcolm Barlow, un ragazzo di 24 anni che però ne dimostrava molti di meno. Malcom aveva passato più di metà della sua vita in cura e soffriva di un handicap mentale. I suoi genitori erano morti e non aveva nessun amico. Soffriva anche di epilessia e all’occorrenza sapeva fingere un attacco per attirare simpatia. Per denaro avrebbe fatto di tutto, compreso andare con uomini o ricattarli. Viveva negli ostelli o con chiunque se lo prendesse a casa. Originario di Sheffield, dove c’era un assistente sociale con il quale manteneva una saltuaria corrispondenza, girava tutto il paese senza una meta precisa, passando ogni mese a ritirare il suo sussidio al Dipartimento della Salute e dell’Assistenza.
Nel settembre del 1981, Malcom si trovava a Londra. Il 17 settembre, Nilsen si stava recando al lavoro quando si accorse che su un marciapiede stava un ragazzo sulle ginocchia con la schiena appoggiata al muretto di un giardino. Nilsen gli chiese se andava tutto bene e Barlow gli rispose che era colpa delle pillole per l’epilessia: le sue gambe avevano ceduto.
Sorreggendolo, Nilsen portò il ragazzo a casa sua e gli offrì una tazza di caffè. Poi andò in una cabina telefonica (Nilsen non aveva il telefono in casa) e fece il 999 chiedendo gli fosse mandata un’ambulanza.
Il giorno seguente, 18 settembre, Barlow fu dimesso e tornò a Melrose Avenue 195 ad aspettare il ritorno di Nilsen, che lo accolse volentieri in casa.
Dennis gli preparò la cena e poi si sedette a guardare la TV con lui. Nonostante il suo trattamento anti-epilettico Barlow chiese ed ottenne di bere degli alcolici, poi si addormentò. Dopo un’ora circa, Nilsen andò a svegliarlo, provò a schiaffeggiarlo senza riuscire a rianimarlo. Pensò di chiamare un’altra volta l’ambulanza, ma poi cambiò idea e decise di ucciderlo, stavolta non perché era interessato a lui ma semplicemente perché Malcom rappresentava un fastidio.
Questa la descrizione di Nilsen riguardo all’omicidio di Barlow: “Strinsi forte con le mani intorno alla sua gola. Mantenni quella posizione per due o tre minuti e lascia la presa. Non controllai, ma credetti che ora fosse morto (…) Finii il mio bicchiere, spensi la TV e salii a letto. La mattina dopo, non avendo voglia di smontare le assi del pavimento, lo trascinai in cucina, lo sistemai sotto l’acquaio e chiusi lo sportello. Poi andai a lavorare“.
Sotto le assi del pavimento, nel settembre 1981, c’erano ormai 7 uomini. Gli altri 5 che aveva ucciso a Melrose Avenue erano stati fatti sparire un anno prima. Avrebbe dovuto fare presto la stessa cosa con questi 7, dato che era in previsione un imminente trasloco, all’inizio dell’ottobre del 1981. C’era un vasto campionario del disagio giovanile sotto quelle assi: c’era uno skinhead con le parole “Cut Here” tatuate sul collo, un capellone, un ragazzo asiatico che si prostituiva, un giovane emaciato le cui gambe si erano dibattute con un moto circolare mentre moriva. Tutti erano stati uccisi tramite strangolamento ed i loro cadaveri usati da Nilsen per varie pratiche necrofile, talvolta persino come compagni, dato che Nilsen usava spesso parlare con i cadaveri come se fossero ancora vivi, riempiendoli di complimenti.
Di seguito riportiamo la descrizione di Nilsen su come si fosse sbarazzato dei primi 5 corpi, nel settembre del 1980. Nel settembre 1981 utilizzò lo stesso sistema per gli altri 7.
“Tirai su le assi del pavimento. Presi un corpo afferrandolo per le caviglie. Lo tirai su per l’apertura nel pavimento e lo trascinai sul pavimento fino alla cucina, mettendolo su un pezzo di plastica. Sotto il pavimento c’erano altri corpi decomposti e altri pezzi di corpo. Preparai una scodella d’acqua, un coltello, della carta da cucina e dei sacchetti per la spesa. Avevo dovuto bermi un paio di bicchieri prima di cominciare. Tolsi dal cadavere la canottiera e le mutande poi con il coltello tagliai via la testa dal corpo. C’era molto poco sangue. Misi la testa nell’acquaio, la lavai e la misi in un sacchetto. Poi tagliai le mani e poi i piedi. Li lavai nell’acquaio e li asciugai. Li avvolsi uno per uno nella carta da cucina e li misi in dei sacchetti. Poi feci un taglio dall’ombelico allo sterno e rimossi tutti gli intestini, lo stomaco, i reni e il fegato. Poi ruppi il diaframma e tolsi cuore e polmoni. Misi tutti questi organi in un sacchetto. Poi separai la parte superiore del corpo da quella inferiore. Tagliai via le braccia e le gambe sotto il ginocchio. I vari pezzi li misi in dei grossi sacchi neri per la spazzatura. Misi il petto con la gabbia toracica in un grosso sacco e cosce, natiche e genitali (in un pezzo solo) nell’altro. Riposi i pacchetti sotto il pavimento. Lasciai fuori il sacco con interiora e organi. Poi scoprii il cadavere che era stato lì più a lungo. Lo tirai su per le caviglie e lo portai in cucina. C’erano dei vermi sulla superficie del corpo, ci buttai sopra del sale e li spinsi via. Il cadavere era un po’ scolorito. Vomitai violentemente. Bevvi qualche altro bicchiere di liquore e finii il lavoro come con l’altro. Ero un po’ ubriaco quel pomeriggio. Le porte-finestre erano aperte ed ogni tanto dovevo uscire fuori. Ero nudo per evitare di sporcarmi i vestiti. Poi terminato il lavoro con tutti i cadaveri rimisi i pacchi sotto il pavimento e mi feci un bagno. Per queste dissezioni usai solo un coltello da cucina, niente seghe o strumenti elettrici. Poi mi mettevo le cuffie e mi ubriacavo del tutto e magari portavo il cane a fare un giro al Gladstone Park“.
La parte più sporca della dissezione era l’asportazione degli organi che inevitabilmente contenevano liquidi ed emanavano un odore insopportabile, ma erano al tempo stesso i più facili da eliminare. Nilsen metteva fegato, intestini e il resto nell’interstizio della doppia rete sul lato del giardino e in un paio di giorni sparivano, divorati dalle piccole creature della terra. Tutti gli altri resti venivano invece inceneriti nel giardino di casa. Riguardo alle prime cinque vittime attese un giorno molto freddo di dicembre e poi preparò un grosso rogo con una base costituita da grossi ciocchi di un vecchio pioppo che era stato abbattuto mesi prima ed era stato lasciato lì. Sopra e intorno a questi Nilsen ammucchiò pezzi di legno presi da vecchi mobili abbandonati dai vicini, lasciando nel mezzo una grossa apertura dove buttava i resti umani. Quando finì il rogo era alto quasi un metro e mezzo. Poi andò a letto e il mattino dopo continuò fino ad aver finito di incenerire tutti i resti umani. In cima sistemò un vecchio copertone per coprire eventuali odori. Ogni tanto cadeva qualche frattaglia umana o pezzi di carne invasi da mosche morte, crisalidi e larve ma lui ogni volta ributtava il tutto al centro del rogo. Alla fine della giornata aveva terminato il lavoro.
Fu un lavoro duro che dovette ripetere alla fine del settembre 1981, bruciando i rimanenti 7 cadaveri prima del trasloco che avvenne il 5 ottobre 1981. Per lui andare via da Melrose Avenue fu un grande sollievo e quando si sistemò nel nuovo appartamento pensò che non avrebbe più ucciso, ma si trattava ancora solo di una illusione, presto la sua attività criminale sarebbe ricominciata e stavolta non c’erano né assi di legno da sollevare, né un giardino privato. Nella nuova casa i sistemi per liberarsi dei cadaveri furono perciò difficili ed ancora più ripugnanti di quelli già utilizzati. Inoltre gli omicidi avvennero persino più gratuitamente, tanto che in almeno un caso non vi fu alcun atto necrofilo.
Al numero 23 di Cranley Gardens furono uccise 3 persone prima che Nilsen venisse arrestato.
La prima fu un certo John Howlett, un buono a nulla costantemente nei guai con la polizia, che era stato cacciato di casa a 13 anni e da allora non aveva combinato praticamente niente. Aveva vissuto per dei periodi in istituti per ragazzi ritardati, era andato in prigione per furto ed era un mentitore cronico.
Howlett incontrò Nilsen due volte, la prima volta ebbero una lunga conversazione nel dicembre del 1981, la seconda si incontrarono in un pub nel marzo 1982 e Nilsen lo invitò a casa sua non prima di essere passati da un negozio di liquori a fare scorta. Nilsen preparò la cena e i due si guardarono la TV bevendo in continuazione.
Verso mezzanotte, John disse che aveva voglia di riposarsi un po’ e se ne andò a letto. Nilsen non aveva intenzione di ucciderlo, sapeva che sarebbe stato un problema sbarazzarsene, ma non riuscì a smuovere John dal letto così, dopo essersi bevuto qualche altro bicchiere di rum, prese la decisione di ucciderlo, questa la sua descrizione: “Andai alla poltrona, e sotto il cuscino c’era un pezzo di nastro. Mi avvicinai al letto dove stava dormendo sotto le coperte. Gli avvolsi quest’affare intorno al collo. Credo di aver detto: “E’ il momento di andarsene”. Ero a cavalcioni su di lui e strinsi il nastro. Lui si dibatté furiosamente e riuscì quasi ad alzarsi mettendomi le mani sul collo. Credevo che mi avrebbe sconfitto ma raccogliendo tutte le mie forze lo spinsi di nuovo giù, e con la testa colpì il bordo della spalliera del letto. Lottava ancora disperatamente, cosicché ora era mezzo fuori dal letto ma in un minuto circa si era afflosciato. C’era del sangue sulle coperte. Immaginai che venisse dalla testa. Controllai: stava ancora tirando dei respiri profondi e rochi. Gli strinsi il collo per un altro minuto circa. Lo lasciai andare di nuovo e a quel punto sembrava morto. Mi alzai in piedi. Il cane stava abbaiando nell’altra stanza, andai a calmarlo, stavo tremando tutto per la fatica della lotta. Avevo davvero pensato che avrebbe avuto la meglio su di me. Tornai e fui scioccato vedendo che aveva ricominciato a respirare. Gli riavvolsi il nastro intorno al collo e tirai più forte che potevo, mantenendo la presa per altri 2-3 minuti. Quando lasciai la presa aveva smesso di respirare. Ma notai , mentre era lì supino, e poi controllai, che il suo cuore batteva ancora abbastanza forte. Non ci potevo credere. Lo trascinai in bagno. Lo tirai sul bordo della vasca in modo che la sua testa fosse penzoloni, misi il tappo, sempre reggendolo ed aprii al massimo l’acqua fredda. La testa toccava il fondo della vasca. In un minuto circa l’acqua gli raggiunse il naso, e ricominciò il respiro rauco. L’acqua saliva ancora ed io lo reggevo giù. Stava facendo resistenza mentre la vasca continuava a riempirsi. Gli salivano delle bolle dal naso e dalla bocca e smise di lottare.. Lo tenni in quella posizione per 4-5 minuti. L’acqua si era insanguinata e c’era un liquido misto a pezzetti di cibo che gli usciva dalla bocca. Mi lavai le mani e andai in camera e tirai via le lenzuola e le coperte che si erano sporcate (…) Misi una coperta pulita sopra la sotto-coperta e andai a letto. Chiamai il cane e lei venne addormentandosi ai miei piedi. Devo essermi addormentato subito per via dell’alcool. I segni sul collo mi rimasero per una settimana“.
Il giorno dopo Nilsen mise il cadavere nell’armadio mentre pensava a cosa farne. Il problema richiedeva una soluzione rapida, dato che presto sarebbe venuto da lui per qualche giorno un suo amico, un certo Alan Knox.
Decise che la via più sicura sarebbe stata tagliare il corpo in pezzetti piccoli e mandarlo giù per lo sciacquone. Portò il corpo in bagno ed eseguì la dissezione nella vasca stessa. Per prima cosa aprì la zona dello stomaco e si concentrò sugli organi, tagliandoli a pezzi lunghi 5 centimetri su di un tagliere, e buttandoli nel water una manciata per volta. A quel ritmo, rischiava di diventare un lavoro lungo e faticoso, perciò cominciò a tagliar via pezzi più grandi che poi metteva a bollire sui fornelli perché si disintegrassero. La testa fu bollita nella pentola grande, seguita da mani, piedi e dalle costole separate dal corpo una ad una. Una volta bollite fino a perdere la carne, le ossa venivano spezzate in frammenti più piccoli e buttate semplicemente nella spazzatura. Nel frattempo carne, capelli ed organi venivano buttati giù nelle fogne.
Alla fine Nilsen rimase con delle grandi ossa, con della carne ancora attaccata. Le scapole le lanciò oltre il recinto del giardino in un terreno abbandonato, mentre il teschio, le ossa delle braccia, delle gambe e del bacino furono infilate in vari sacchi, cosparsi di una buona quantità di sale, e sistemati nel bauletto in un angolo della stanza. Riempì con degli oggetti quasi tutto il baule e poi lo coprì con una tenda rossa che aveva recuperato da Melrose Avenue. Il baule rimase lì durante la visita di Alan Knox e ci rimase fino all’arresto di Nilsen, 11 mesi dopo.
La seconda vittima uccisa al numero 23 di Cranley Gardens fu un altro ragazzo mezzo vagabondo di nome Graham Allen. Si trattò di un assassinio bizzarro, tanto che durante il processo venne chiamato “l’assassinio della frittata”.
Questa la descrizione di Nilsen: “La cosa che voleva più di tutte era qualcosa da mangiare. Avevo poca roba in frigo ma un intero pacco di uova. Così feci una grossa frittata nella padella grande, la misi in un piatto e gliela diedi. Lui cominciò a mangiare la frittata. Deve averne mangiata tre quarti. Era seduto lì e improvvisamente mi sembrò addormentato o svenuto, con un grosso pezzo di frittata che gli usciva dalla bocca. Pensai che doveva essergli andata di traverso ma non l’avevo sentito tossire, era proprio del tutto incosciente. Mi sedetti e mi preparai un drink, poi mi avvicinai. Non ricordo se stava ancora respirando o no ma la frittata gli stava ancora sporgendo dalla bocca. Aveva il piatto ancora sulle ginocchia, lo tolsi, poi mi piegai in avanti e li strangolai. Ora non ricordo cosa usai (…) Mi ricordo che avanzai e mi ricordo che era morto (…). Se lo abbia ucciso la frittata non lo so, ma comunque avevo l’intenzione di ucciderlo. Una frittata non lascia dei sogni rossi sul collo. Devo essere stato io“.
Nilsen tenne il cadavere per tre giorni in una vasca con acqua fredda che cambiava periodicamente mentre intanto continuava ad andare al lavoro tutti i giorni. Il quarto giorno smembrò il cadavere, bollendone la testa, le mani e i piedi e mettendo il resto in sacchi di plastica nera. Uno dei sacchi fu nascosto in un’apertura ai piedi della vasca (poi spostato da Nilsen nell’armadio il giorno prima dell’arresto) mentre l’altro andò a raggiungere gli altri resti nello spazio che rimaneva all’interno del baule. Parte della carne e degli organi fu buttata nello sciacquone, ma sembra che Nilsen abbia portato alcuni pezzi più grandi fuori dall’appartamento e li abbia buttati nella spazzatura.
Nel dicembre 1982, un certo Fred Bearman vide un sacco di plastica nera appoggiato vicino al suo terreno a Roundwood Park. Era aperto ed era stato, pensò, saccheggiato dai cani randagi. Il contenuto che ne usciva fuori sembrava una gabbia toracica con una colonna vertebrale nel mezzo ma non aveva idea da che animale potesse venire. Il giorno dopo lo fece vedere ad un suo amico che concordò che era qualcosa di davvero ributtante, pur non capendone le origini. Nessuno dei due toccò il saccò né fece menzione alle autorità. Alcuni giorni dopo scomparve, probabilmente raccolto dai netturbini.
Un’altra scoperta simile era stata fatta nell’estate del 1981, a Gladstone Park, da un uomo che aveva rinvenuto un sacco pieno di interiora. Nilsen, durante la sua confessione, disse che era impossibile si trattasse di roba sua, ma non negò il fatto che, se ubriaco, avrebbe anche potuto disfarsi di alcuni resti in quel modo, gettandoli nei parchi.
In ogni caso, questi 2 ritrovamenti casuali avrebbero difficilmente potuto portare subito a Nilsen, che comunque dopo l’omicidio di Graham Allen aveva già segnato il suo destino: i resti umani di Allen erano troppo grossi e avevano intasato i tubi dello scarico, provocando un problema per tutto il condominio. Quando Nilsen lesse l’avviso di non tirare l’acqua dello sciacquone e che la settimana dopo sarebbe arrivata una società di spurghi, cominciò a pensare che aveva qualcosa a che fare con le sue attività, ma lui nel frattempo non poté pensarci più di tanto perché aveva già un altro cadavere da smaltire….
L’ultima vittima di Nilsen, la quindicesima, fu infatti uccisa in quei giorni. Si trattava di un certo Stephen Sinclair, un punk di 20 anni che proveniva da Perth, in Scozia. Il ragazzo era stato adottato da bambino ed aveva delle grosse turbe della personalità. Non solo si drogava di “speed” in continuazione, ma aveva anche il vizio di ferirsi le braccia, apparentemente senza alcuna ragione, così le sue braccia erano coperte da cicatrici. Poteva tentare di ferirsi in ogni momento del giorno, improvvisamente. Era conosciuto agli assistenti sociali della zona, che cercavano di aiutarlo sulla strada. Un giorno arrivò persino a minacciare di cospargersi di benzina.
Stephen Viveva negli “squat”, case occupate o in ostelli dell’Esercito della Salvezza, rubava ed era finito in prigione più di una volta. Inoltre aveva il corpo devastato dall’epatite B. Aveva molti amici sulle strade del West End e, il 26 gennaio 1983, questi lo videro allontanarsi con uno sconosciuto, ma non lo disturbarono nel caso stesse cercando di scroccare soldi.
Nilsen gli offrì da mangiare e da bere ed alla fine si recarono alla casa di Cranley Gardens, dove Stephen si drogò e crollò su una poltrona. Questa la descrizione di Nilsen su quanto è accaduto quella sera : “Non mi ricordo niente finché non mi svegliai la mattina dopo. Era ancora sulla poltrona ed era morto. Sul pavimento c’era un pezzo di spago con una cravatta attaccata. (…) Non avevo intenzione di fargli del male, ero solo preoccupato e commosso per il suo futuro e per i dolori e le difficoltà della sua vita. Lo vidi la mattina presto, in pace sulla mia poltrona, grazie alla droga. Mi ricordo che desideravo che potesse restare così in pace per sempre. Sentivo che avevo sollevato il peso della sua esistenza con le mie mani. Stava lì disteso, ero sollevato che i suoi problemi erano finiti. Notai che i suoi jeans erano intrisi di urina, volevo lavarlo. Come se fosse qualcosa di fragile e ancora vivo lo spogliai con gentilezza e lo trasportai nudo in bagno. Lo lavai tutto attentamente nella vasca e lo asciugai dopo aver messo il suo corpo floscio a sedere sul bordo. Lo distesi sul letto e lo cosparsi di borotalco perché sembrasse più pulito. Poi mi sedetti e lo guardai. Era veramente stupendo come una scultura di Michelangelo. Sembrava che per la prima volta in vita sua si sentisse meglio di come era stato in tutta la sua vita. Volevo toccarlo ed accarezzarlo ma non lo feci. Misi due specchi intorno al letto, uno ai piedi e uno su un lato. Mi distesi nudo accanto a lui ma non feci che guardare i due corpi nello specchio. Stavo lì disteso ed una grande pace discese su di me. Sentivo che questo era il significato della vita, della morte, di tutto. Niente paura, niente dolore, niente colpa. Potevo solo accarezzare e toccare l’immagine nello specchio, non lo guardai mai direttamente. Niente sesso, solo una sensazione di unità. Avevo un’erezione ma sentivo che lui era troppo perfetto e bellissimo per il patetico, banale rito del sesso. Poi lo vestii con i miei abiti, che gli rimasero addosso per molti giorni“.
In quei primi giorni di febbraio del 1983, Nilsen era ormai rassegnato all’arresto e non fece nulla per evitarlo. Martedì 8 febbraio, alle 16.15, arrivò la società di spurghi. Gli uomini che si occuparono del problema furono Michael Cattran, 30 anni e con una esperienza relativamente breve, e Jim Allcock. Dopo un rapido esame alle tubature, i due stabilirono che il problema era quasi sicuramente sottoterra e che doveva essere investigato alla luce del giorno, ma con l’aiuto di una torcia tenuta da Jim Allcock, il suo collega decise di scendere ugualmente. Cattran andò sul lato della casa, dove un tombino di cemento, spezzato in due, portava direttamente alle fogne. La buca era profonda 4 metri e si poteva scendere grazie a degli anelli di ferro infissi sulla parete del pozzetto. Cattran scese, mentre Allcock gli teneva la torcia. Entrambi notarono un odore nauseabondo e Cattran disse: “Sarà da poco che faccio questo lavoro ma questa non è merda“. Era convinto che fosse odore di carne in putrefazione. Sul pavimento della fogna c’era infatti una melma alta una ventina di centimetri, composta da 30-40 pezzi di carne di colore grigiastro e di varie misure. Appena Cattran si mosse, altri pezzi di questa roba grigia caddero dalla tubatura che proveniva dalla casa. Cattran era molto preoccupato e chiamò un suo superiore facendogli presente i suoi sospetti. Molti inquilini si trovavano fuori casa e sentirono i sospetti di Cattran. Anche Nilsen era sceso e Cattran gli disse: “Lei ha un cane, no? Non è che butta la carne del cane nello sciacquone?”. Nilsen rispose di no ma quella domanda gli diede una possibile idea per sfuggire al suo destino che ormai sembrava segnato.
Pensò di recarsi nella buca durante la notte eliminando con una pala tutta la poltiglia ed eventualmente sostituirla con qualche chilo di carne di pollo che però sul momento non aveva, così penso di limitarsi a pulire il fondo del pozzetto.
Di notte si recò al tombino. I vicini di casa, terrorizzati, sentirono dei passi sulle scale, la porta dell’ingresso che si apriva, poi il tombino spostato, dei rumori, raschi e il suono di qualcuno che camminava lungo i lato della casa fino alla siepe sul retro. Uno dei vicini prese un bastone ed andò ad investigare, scoprendo in flagrante Dennis Nilsen. L’uomo raccontò di essere semplicemente andato a orinare, ma la scusa non era molto valida e i due inquilini decisero di raccontare l’episodio alla polizia.
Nilsen aveva svuotato il tombino, ma evidentemente non abbastanza accuratamente: il giorno dopo, quando Cattran tornò con il suo direttore, trovò ugualmente un pezzo di carne dietro una grata: “Ho trovato qualcosa” disse. Lo misero a terra e si fermarono un attimo a guardarlo: puzzava di macello, era grigio-giallastro, grinzoso, lungo circa 15 centimetri. Vennero inoltre trovate alcune ossa.
Quella mattina Nilsen si recò come al solito in ufficio, con la triste consapevolezza che sarebbe stata probabilmente l’ultima volta. Mise in ordine la scrivania e lasciò un biglietto in una busta in fondo al cassetto, sul quale scrisse che, nell’eventualità di un suo arresto, l’annuncio del suo suicidio in cella sarebbe stato falso. Quindi tornò a casa, sicuro di essere arrestato già al suo ritorno. La sua unica preoccupazione era a quel punto per il cane “Bleep” e per lo shock che le sue rivelazioni avrebbero causato ai parenti dei morti. Per il resto era sereno, stanco e pronto ad affrontare il resto della sua vita in prigione. Lo smembramento di Stephen Sinclair era ancora in fase iniziale (tanto da poter essere successivamente ricomposto dai patologi) e non si preoccupò neanche di nasconderlo o di buttare il baule con i resti delle altre vittime.
Il pomeriggio successivo, David Bowen, professore di medicina legale all’Università di Londra, aveva esaminato il pezzo di carne e aveva stabilito che si trattava di tessuti umani, provenienti probabilmente dal collo, e che le ossa erano quelle della mano di un uomo.
Il pomeriggio stesso la polizia si presentò a casa di Nilsen e lui fece tranquillamente strada ai resti umani che aveva sparsi per la casa. Per i poliziotti fu un vero shock, soprattutto quando vennero a sapere che Nilsen era responsabile di ben 15 omicidi.
Tutti i resti furono portati al Dr Bowen per essere esaminati e alcuni dei sacchi rimasti nel baule avevano un contenuto talmente disgustoso che persino il patologo provò ribrezzo: in una delle buste stavano un cuore, due polmoni, milza, fegato, reni e intestini, il tutto mischiato in una indistinguibile poltiglia. Il fetore di quei sacchi, rimasti a lungo sigillati era insopportabile persino con la mascherina. Il professore, con notevole sforzo nel dipanare quella melassa di organi ributtante, identificò nel cuore una ferita da arma da taglio ma non riuscì a trarne conclusioni. Quando Nilsen lo venne a sapere fece una riflessione al riguardo molto distaccata: “Probabilmente la ferita al cuore era stata causata per sbaglio mentre avevo la mano con il coltello dentro la gabbia toracica e cercavo di buttare fuori il cuore alla cieca“.
Anche le altre sacche che il Dr. Bowen dovette esaminare non erano da meno: in una di esse stava un teschio la cui carne era stata lessata fino a staccarsi oltre ad una seconda testa che aveva ancora dei capelli sulla nuca. Si trattava della testa di Stephen Sinclair, che Nilsen aveva tentato di bollire venerdì, in uno sforzo finale di liberarsene.
Nilsen venne arrestato e confessò ogni omicidio e ogni tentato omicidio in maniera del tutto spontanea corredandola talvolta con estratti della sua vita.
La polizia esaminò e perquisì successivamente anche la sua casa di Melrose Avenue scoprendo nel giardino qualcosa come 1.000 frammenti di ossa umane, che erano state distrutte durante i due roghi che Nilsen aveva fatto per sbarazzarsi dei cadaveri.
In prigione fu messo in una cella controllata 23 ore su 24, con un’ora libera per fare movimento o ginnastica, controllato dai secondini. Come disse in seguito, con atteggiamento umile, si sentiva in colpa e, non avendo responsabilità nei confronti di nessuno (figli, mogli, altre persone), si sentiva come l’uomo più fortunato della prigione. Presto però il suo spirito polemico e battagliero da sindacalista emerse anche in prigione e Dennis protestò ufficialmente con lettere e richiami per quasi ogni cosa.
In attesa del processo, che iniziò il 24 ottobre 1983, il suo avvocato, Ralph Haeems, decise di impostare la difesa sulla responsabilità diminuita del suo assistito, sostenendo che Nilsen avesse una qualche patologia mentale.
I momenti culminanti del processo furono le testimonianze dei ragazzi che sopravvissero ai suoi attacchi e poi le testimonianze dei periti psichiatri che lo esaminarono. In tutto tre, uno per l’accusa, uno per la difesa e uno per il giudice.
I tre psichiatri concordarono tutti sul fatto che Nilsen soffrisse di disturbi della personalità di vario tipo: borderline, narcisistico, schizotipo e sottolinearono che i suoi problemi di disadattamento risalivano già all’infanzia ed erano stati ingigantiti dall’alcool e dall’isolamento sociale. Due su tre negarono tuttavia che Nilsen soffrisse di un vero e proprio vizio mentale capace di non fargli capire ciò che stava commettendo.
Prima che la giuria si riunisse per deliberare, il 3 novembre 1983, il giudice ricordò ai membri della giuria che un uomo può anche essere “malvagio” senza soffrire di nessuna malattia.
Il giorno dopo il giudice lesse il verdetto, che a maggioranza riconosceva Dennis Nilsen colpevole di tutte le accuse che gli erano state mosse.
Il giudice condannò Dennis Nilsen alla prigione a vita, con la possibilità di essere liberato su parola non prima di 25 anni. Anni dopo la segreteria di stato inserì Nilsen in un elenco di persone che non sarebbero mai dovute uscire di prigione insieme ad altri personaggi quali Ian Brady, Rosemary West, Peter Sutcliffe ed altri, entrando così a pieno titolo tra i peggiori serial killer britannici.
Aggiornamento Novembre 2005: Dennis Nilsen, come ultimo tentativo di pubblicare il suo libro “The Drowning Man” si rivolgerà ad una corte Europea per potersi avvalere del diritto di libera espressione.
Le autorità della prigione di Full Sutton, nello Yorkshire, confiscarono nel 2003 un manoscritto parzialmente completato che Nilsen ha iniziato nei primi anni ’90 e che è un lavoro serio riguardo alla sua vita e alla sua detenzione.
In Inghilterra prima la segreteria di stato, poi la Corte Suprema e poi la Camera dei Lords gli hanno negato la possibilità di pubblicare il libro in quanto timorosi di sconvolgere le famiglie delle vittime o che un assassino come Nilsen potesse trarre profitto dai suoi omicidi.
Nilsen ha spiegato alla corte europea che i dettagli dei suoi omicidi sono stati già pubblicati ovunque su libri e giornali e che l’incasso andrebbe interamente devoluto ad un ente di beneficenza.
Questa è l’ultima possibilità per Nilsen di far valere quello che lui chiama il suo “diritto di espressione”. Gli avvocati di Nilsen credono che i giudici della corte europea tratteranno il caso in maniera più comprensiva dei diritti del loro assistito.
Aggiornamento 17 Gennaio 2006: E’ stata identificata la prima vittima di Dennis Nilsen, fino ad oggi rimasta sconosciuta. Si tratta di un ragazzo di nome Stephen che all’epoca dell’omicidio aveva soltanto 14 anni. Il suo cognome non è stato reso noto. La famiglia di Stephen, che vive a Dublino, ha affermato che si credeva già che il loro congiunto fosse finito vittima di Nilsen.
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