Anatoly Onoprienko – Terminator

Biografie

Foto del serial killer Anatoly Onoprienko Soprannome: Terminator
Luogo omicidi: bratkovichi, garmania, fastova, olevsk, malina (ucraina)
Periodo omicidi: 1989 – 1995
Numero vittime: 52+
Modus operandi: arma da fuoco
Cattura e Provvidementi: ergastolo

Anatoly Onoprienko, conosciuto anche come “Terminator”, con 52 omicidi compiuti, è stato uno degli assassini seriali più prolifici nell’area dell’ex Unione Sovietica, insieme al più noto Andrei Chikatilo.
Onoprienko nacque in Ucraina, a Laski (una cittadina nella regione Zhitomirskaya Oblast) nel 1959.
Sua madre morì quando lui aveva appena 4 anni. In seguito alla dipartita della donna, suo padre faticò molto ad accudire da solo i due figli, fino a quando, 3 anni dopo, decise di affidare Anatoly ad un orfanotrofio russo, tenendo con sé il primogenito. Questa scelta peserà molto sulla psiche di Onoprienko, che rivivrà sempre quell’abbandono come un’esperienza altamente traumatica.
Intorno all’età di 17 anni, Onoprienko divenne un marinaio ed entrò in contatto con quella che poi diventò sua moglie (con la quale si lasciò nel giro di pochi anni).
Durante i lunghi e solitari viaggi in mare, le fantasie di Onoprienko cominciarono a monopolizzare sempre di più la sua mente, fino a tramutarsi in veri e propri deliri ed allucinazioni che negli anni gli causeranno vari ricoveri in ospedali psichiatrici e trattamenti coatti.

Dopo il suo arresto, Anatoly disse di non avere ucciso per sua propria volontà, bensì per ordine di Dio, di Satana e di personaggi storici che gli parlavano dall’Aldilà. Dio lo considerava infatti un essere superiore e per questo motivo gli aveva dato un incarico: quello di uccidere persone, in particolar modo i deboli.
Durante la sua confessione, Terminator precisò di aver parlato con Dio, Satana, Messir (un personaggio di un libro di Bulgakov) e persino Hitler, che gli avrebbe ordinato di far scoppiare una nuova guerra mondiale.
Non devo altre spiegazioni alle mie vittime, alle famiglie e alla polizia” aggiunse riferendosi alle motivazioni dei suoi delitti.
Onoprienko era inoltre convinto di poter ipnotizzare le persone a lui inferiori, di poter controllare gli animali con la telepatia e di riuscire ad arrestare il proprio cuore con il solo potere della mente.
Un quadro decisamente patologico, supportato anche da una diagnosi di schizofrenia che gli fu fatta in un ospedale psichiatrico di Kiev. Ciò non fu tuttavia sufficiente a farlo dichiarare incapace di intendere e di volere durante il processo, forse per motivi più politici che di giustizia. Si trattava comunque di uno dei più spietati assassini ucraini e l’opinione pubblica probabilmente non avrebbe gradito una sua assoluzione per malattia mentale, anche se questa avrebbe ugualmente comportato la reclusione in una struttura appropriata.

Onoprienko commise il suo primo omicidio nel 1989.
In quel periodo aveva fatto amicizia con un uomo di nome Sergei Rogozin, conosciuto in una palestra. I due cominciarono a spendere molto tempo insieme, fino a quando decisero di trasformare quella loro amicizia in una vera e propria associazione criminosa, dedita ai furti di appartamento, pur di rimpinguare i loro miseri redditi.
Tutto filò liscio per qualche tempo, fino a quando, una notte, mentre stavano svaligiando una casa isolata fuori città, i due furono sorpresi dai proprietari dell’edificio. Onoprienko e Rogozin, che agivano senza maschere, capirono immediatamente che per poter mantenere la loro libertà avrebbero dovuto uccidere tutti i componenti della famiglia. Così fecero, sterminando a colpi di pistola i due adulti e gli otto bambini che vivevano in quella casa.
Alcune settimane dopo, Onoprienko interruppe ogni rapporto con il suo socio criminale e dopo alcuni mesi commise il suo primo omicidio in azione solitaria.
Una notte, si avvicinò ad un’auto con a bordo un’intera famiglia, con l’intenzione di derubarli, ma qualcosa andò storto e Anatoly sparò a tutti e cinque i componenti della famiglia, compreso un bambino di 11 anni. Dopodichè, per riposarsi, si sedette in auto insieme ai cadaveri e, quando questi cominciarono a puzzare, diede fuoco all’auto carbonizzandoli.

In seguito, Onoprienko si trasferì da un suo lontano cugino e riuscì a tenere a freno i suoi istinti omicidi per ben cinque anni prima di tornare a uccidere di nuovo il 24 dicembre 1995. Quella notte, nel piccolo villaggio di Garmarnia, in una zona rurale del centro dell’Ucraina, Onoprienko uccise senza motivo un insegnante di silvicoltura, sua moglie e i due figli. Si trattava dell’intera famiglia Zaichenko. Nel suo classico stile spietato, che gli valse il soprannome di “Terminator”, sterminò l’intera famiglia a colpi di fucile a doppia canna (rubato qualche tempo prima) e poi incendiò la casa.
Dopo quell’ennesimo massacro, la psiche di Onoprienko andò del tutto in frantumi.
Anatoly cominciò ad essere sempre più ossessionato e perseguitato da visioni di Dio che gli comandava di uccidere, così, dopo soli 9 giorni, penetrò nell’abitazione di un’altra famiglia uccidendo tutti e 4 i componenti con una pistola. Anche in questo caso, l’abitazione fu data alle fiamme. Mentre fuggiva dalla scena del crimine, l’assassino incrociò un altro uomo che passava di lì e, senza pensarci due volte, sparò anche a lui uccidendolo sul colpo.

Il 6 gennaio 1996 “Terminator” tornò all’azione, uccidendo 4 persone in 3 eventi separati.
Quel giorno Onoprienko si trovava sull’autostrada Berdyansk-Dnieprovskaya, deciso ad uccidere il maggior numero di automobilisti che poteva. Ricorrendo a vari stratagemmi, riuscì a fermare ben 3 auto ed uccidere un totale di 4 persone: un marinaio di nome Kasai, un taxista di nome Savitsky ed un cuoco di un vicino kolkhoz con sua moglie. Tutti massacrati a colpi di fucile.
In merito alle motivazioni che lo spingevano a compiere questi allucinanti massacri, Onoprienko spiegò: “Per me era come andare a caccia, caccia di esseri umani, io avrei voluto mettermi a sedere, annoiato, senza niente da fare ma poi quelle voci entravano nella mia mente e non potevo farci nulla. Avrei fatto di tutto per cancellarle dalla mia testa ma non potevo. Era più forte di me. Così uscivo, prendevo l’auto, o il treno, e andavo ad uccidere.”
Nei due mesi successivi, le zone rurali dell’Ucraina centro-occidentale conobbero una vera e propria escalation di violenza, che creò letteralmente il panico e il terrore tra la popolazione. Un terrore tale che il Governo Centrale fu costretto a mobilitare 3.000 uomini dell’esercito e 2.000 uomini della polizia per dare la caccia all’assassino che ormai tutti chiamavano “Terminator”.

Tra il 6 gennaio 1996 e il marzo dello stesso anno, Onoprienko sterminò ben 8 famiglie.
La tattica dello sterminatore era quasi sempre la stessa: penetrava poco prima dell’alba all’interno di case scelte a caso, dopodichè faceva mettere in circolo i componenti della famiglia e poi li uccideva tutti a colpi di fucile calibro 112 a doppia canna. Infine incendiava la casa. Se qualcuno gli si parava casualmente di fronte durante la fuga, veniva anch’esso ucciso senza pietà.
Ad ogni modo, i suoi omicidi diventarono via via sempre più crudeli. Se inizialmente Onoprienko si limitava a sparare alle vittime, con il passare del tempo cominciò a diventare ancora più brutale. Prima di inforcare il fucile per terminare le sue vittime, talvolta picchiava a sangue i bambini, spaccando loro la testa, oppure stuprava donne. Se poi si accorgeva che, dopo le fucilate, le sue vittime respiravano ancora, le terminava a colpi di ascia o di altri oggetti contundenti. Infine rubava quel che trovava e dava fuoco alla casa.
Nei villaggi della regione nessuno si sentiva più al sicuro e, nonostante gli sforzi e l’incredibile mobilitazione di uomini, la polizia non riusciva a risolvere il caso.

Ricordando quei mesi di furia e terrore, Onoprienko disse a proposito dei suoi omicidi: “Nessuna delle mie vittime mi ha resistito, armata o disarmata, uomo o donna, nessuno è riuscito a fare nulla. Per me l’essere umano non vale niente, io ho solo visto gente debole, per me gli umani equivalgono a dei granelli di sabbia….”.
Ecco, nel dettaglio, alcune di quelle brutali azioni.
Dopo il massacro dell’autostrada, Onoprienko fece passare solo 11 giorni prima di tornare all’attacco. Era il 17 gennaio 1996 quando penetrò nella casa della famiglia Pilat a Bratkovichi.
La famiglia Pilat era composta di 5 persone e furono tutte trucidate a colpi di fucile, compreso un bambino di 6 anni. All’uscita dalla casa in fiamme Onoprienko trovò casualmente sulla sua strada una ventisettenne operaia delle ferrovie ed un uomo di 56 anni e, senza perdere tempo, li uccise entrambi a sangue freddo.
Meno di una settimana dopo, nel villaggio di Fastova, fu la volta di una infermiera di 28 anni, dei suoi due bambini e di un amico di 32 anni che si trovava a casa della donna, tutti uccisi a colpi di fucile.
Ancora più cruento fu invece il massacro avvenuto ad Olevsk, nella regione di Zhitomir, contro la famiglia Dubchak. Onoprienko uccise a colpi di fucile il capofamiglia e suo figlio, dopodichè si accanì a martellate contro la moglie spaccandole il cranio. Compiuto il massacro, si accorse che rimaneva ancora una bambina. La ragazzina aveva osservato terrorizzata il massacro dei genitori e anche a lei non fu risparmiata una brutta morte.
Queste le parole di Onoprienko a proposito: “Pochi secondi prima di fracassarle la testa con il martello le ordinai di mostrarmi dove tenevano i soldi. Lei a quel punto mi guardò con rabbia e provocatoriamente mi disse «No, non lo farò», il suo coraggio aveva dell’incredibile ma non la risparmiai ugualmente.”
Altrettanto bestiale fu il massacro ai danni della famiglia Bodnarchuk, avvenuto a Malina, un villaggio della regione di Lviv, nell’estremo ovest dell’Ucraina, il 27 Febbraio 1996.
Marito e moglie vennero uccisi a colpi di fucile, mentre le due figlie di 7 e 8 anni furono letteralmente fatte a pezzi a colpi d’ascia. Circa un’ora dopo, un uomo d’affari vicino di casa dei Bodnarchuk si trovava a passeggiare nei dintorni e Onoprienko decise di ammazzare anche lui.
Il “Terminator” gli sparò una fucilata e poi lo finì con la stessa ascia usata per uccidere le bambine.
Questi i folli deliri di Onoprienko a proposito di questo massacro: “Oh sapete…io li ho uccisi perchè amavo così tanto quelle bambine, quegli uomini, quelle donne. Ho dovuto ucciderli, la voce mi parlava dentro la mente e dentro il cuore e mi diceva di essere molto duro.”
L’ultimo massacro di Onoprienko risale al 22 Marzo 1996, nel piccolo villaggio di Busk.
In quel caso fu sterminata la Famiglia Novosad, composta di 4 persone e la loro casa venne in seguito data alle fiamme.

Nonostante l’enorme mobilitazione di uomini e mezzi, nessun assassino era stato catturato e non c’erano neanche dei concreti sospetti. Onoprienko verrà infatti arrestato soltanto l’otto aprile, grazie ad una denuncia di suo cugino.
Il 7 aprile, Pyptr Onoprienko, cugino di Anatoly, telefonò alla polizia raccontando un episodio che l’aveva preoccupato.
Un giorno aveva trovato nascosta in un armadio una gran quantità di armi. Spaventato, intimò a suo cugino di prendersi la propria roba ed andarsene. Per tutta risposta, Anatoly si arrabbiò molto, disse che lo stava accusando ingiustamente e lo ammonì di stare attento alla sua famiglia perché avrebbe potuto fare una brutta fine. Entro pochi giorni, Anatoly si trasferì a Zhitomir insieme ad una donna e al figlio di lei, portando con sé tutta la sua roba, ma Pyotr, ancora preoccupato per quella minaccia, decise di contattare la polizia.
La polizia prese molto seriamente quella segnalazione e, il giorno dopo, un gruppo di 20 poliziotti si recò all’abitazione segnalata per controllare la situazione.
La donna e il suo bambino si trovavano in Chiesa e, quando la polizia suonò al campanello, Onoprienko si recò ad aprire senza sospettare nulla. Una volta aperta la porta, l’uomo venne immediatamente messo in condizione di non nuocere ed ammanettato.
La polizia cominciò a perquisire la casa e, quando trovò numerose armi e oggetti che erano stati rubati ad alcune delle famiglie massacrate, procedette immediatamente all’arresto di Onoprienko, portandolo alla centrale di polizia per l’interrogatorio.

Dopo l’arresto, Onoprienko si chiuse in un mutismo assoluto, rifiutando di rispondere alle domande e negando ogni responsabilità nelle uccisioni, nonostante la montagna di prove contro di lui.
Venne allora chiamato l’ispettore Bogdan Teslya, noto per la sua capacità di rilassare e mettere a proprio agio i sospetti. Proprio grazie al suo intervento, entro la notte Onoprienko iniziò una confessione fiume di alcuni giorni, nella quale espose nei minimi dettagli la sua vita, il suo pensiero e i suoi crimini.

Il processo contro Onoprienko iniziò soltanto il 12 Febbraio 1999, perché, in base alla legislazione ucraina, prima del processo, oltre a stabilire se l’imputato è capace di intendere e di volere, occorre anche procedere alla lettura di tutti i capi d’accusa all’imputato che, nel caso di Onoprienko, erano qualcosa come 99 volumi pieni di informazioni, testimonianze, foto di corpi smembrati, foto di oggetti rubati e altro ancora.
Inoltre si dovettero trovare i fondi necessari per un processo così mastodontico e oneroso, tanto che fu costretto ad intervenire il Governo stesso con una sovvenzione in denaro per far si che il processo potesse essere svolto regolarmente.
Così come era avvenuto anni prima in occasione del processo all’altro famoso serial killer ucraino, Andrei Chikatilo, anche nel processo contro Onoprienko venne costruita una gabbia di ferro per l’imputato , mentre tutt’intorno una folla urlante e inferocita gridava tutta la sua rabbia contro l’assassino: “Lui non si merita di essere fucilato! Lui merita una lunga e dolorosa agonia!” era tra le frasi meno offensive nei suoi confronti.
A differenza però di Chikatilo, Onoprienko mantenne un comportamento molto rilassato e tranquillo, quasi indifferente a ciò che accadeva intorno a lui. Se gli veniva posta qualche domanda, rispondeva con sufficienza o non rispondeva affatto.
Solo verso la fine del processo, Onoprienko cominciò ad alzare talvolta la voce per esprimere le sue contorte e deliranti idee, come quando affermò di essere un ostaggio per un esperimento cosmico o come quando affermò che quella corte non aveva nessun diritto a giudicarlo perchè lui era al di sopra di essa.
Ad ogni modo, Onoprienko non manifestò nessun tipo di rimorso e provocatoriamente affermò che se fosse tornato indietro avrebbe rifatto esattamente le stesse cose. Arrivò a sentenziare che se Dio o le voci glielo avessero ordinato, avrebbe ucciso anche proprio figlio.
Durante il processo, la precedente diagnosi di schizofrenia, effettuata nell’ospedale psichiatrico di Kiev, venne ribaltata e il dibattito sulla reale capacità di intendere e volere dell’imputato fu quasi del tutto trascurato. Alla fine, l’avvocato difensore si limitò ad una generica richiesta di clemenza da parte del giudice.

Nell’aprile del 1999, il processo terminò con una condanna a morte tramite fucilazione, poi commutata in prigione a vita per sottostare alla moratoria della pena di morte richiesta all’Ucraina dall’Unione Europea.
A questo proposito, l’ex Presidente dell’Ucraina, Leonid Kuchma, intervenne in prima persona per sostenere che il caso di Onoprienko doveva essere considerato un’eccezione, perché la pena di morte nel suo caso era giusta. Tuttavia non ci fu comunque nessuna sospensione della moratoria.
Nonostante lo stesso Onoprienko fosse favorevole alla sua condanna a morte, l’assassino non ha gradito le parole di Kuchma e in un’intervista uscita sul London Times disse: “Se io dovessi mai uscire di qui, ricomincerei ad uccidere di nuovo, ma stavolta sarebbe peggio, molto peggio…(…) e se io non sarò giustiziato e dovessi un giorno riuscire a scappare dalla prigione, la prima cosa che farò sarà quella di andare a cercare Kuchma e appenderlo ad un albero per le palle“….
Sergei Rogozin, complice di Onoprienko nel primo massacro, è stato invece condannato a 13 anni di carcere.

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