Albert Fish, il Vampiro di Brooklyn
Soprannome:Il Vampiro di Brooklyn
Luogo omicidi: New York e altri stati d’America
Periodo omicidi: 1910 – 1934
Numero vittime: 15 +
Modus operandi: pedofilo, cannibale e sadomasochista
Cattura e Provvidementi: arrestato nel 1934 e giustiziato sulla sedia elettrica il 16 gennaio 1936
Albert Fish è da tempo nella classifica dei 20 serial killer più famosi ed efferati. Un sadomasochista con gravissimi problemi mentali, Albert Fish è conosciuto oggi come il Vampiro di Brooklyn. Che cosa faceva? Torturava e mangiava i bambini. Della sua vita si conosce davvero poco. Tutto quello che è a nostra disposizione è tratto dalle dichiarazioni che egli ha lasciato al Dottor Frederic Wertham dopo il proprio arresto. Albert Hamilton Fish nasce il 19 maggio 1870 a Washington D.C. La sua è una famiglia disagiata, si salva solamente il padre, Randall Fish, un Capitano dell’esercito. Purtroppo il 15 ottobre 1875 Randall Fish muore e il piccolo Albert viene sistemato in un orfanotrofio.
Non è per niente bella la vita nell’orfanotrofio di St. John. È questo un centro religioso, dove i bambini vengono puniti con frustate e varie punizioni corporali. Albert Fish vi rimane per ben nove anni e, quando ne esce, è un individuo fortemente provato, che comincia ad essere ossessionato dal peccato e dall’espiazione tramite il dolore.
Uscito dall’orfanotrofio l’uomo si mantiene con piccoli lavoretti, fino a quando scopre di essere un bravo decoratore di interni. In questo periodo, appena 26enne, conosce una ragazza di 19 anni e la sposa. Avranno ben sei figli, verso i quali Albert sarà sempre amorevole e protettivo come tutti i genitori normali.
Qualcosa però non va come dovrebbe andare. La moglie di Fish lo abbandona: ha conosciuto un giovane studente universitario e ha deciso di scappare con lui. Si porta via anche i mobili, lasciando al marito solamente un materasso per dormire.
Abbandonato a se stesso, Fish comincia a compiere piccoli crimini come il compilare e spedire delle lettere oscene. Viene arrestato più volte. Finisce in manicomio. Secondo alcuni avrebbe cominciato a uccidere proprio in questo periodo, nel 1910. Vittima un uomo adulto.
Nel 1925, raggiunti i 55 anni, Fish comincia il suo cammino verso la follia più pura. Diventa estremamente masochista (si infila aghi nello scroto, incendia pezzi di cotone e se li infila nell’ano, si fa frustare e sculacciare a sangue dai propri figli ecc. ecc.) e si dedica alla coprofagia. Comincia anche ad avere allucinazioni a sfondo mistico.
Angeli e Santi compaiono davanti agli occhi di Fish, Cristo in persona lo incita a purificare i peccati del mondo tramite la punizione fisica e il sacrificio umano. L’uomo comincia anche a crearsi mentalmente un’idea malata della Bibbia, fino a convincersi che in essa compaiano citazioni del tipo: “Felice è colui che rapisce i bambini e spacca loro le teste con delle pietre.”
Alla fine è Dio stesso a comparirgli in sogno e a ordinargli di torturare e castrare tutti i bambini che può.
Prima di cominciare la storia di Albert Fish serial killer, è interessante notare come la follia e i problemi mentali siano stati quasi una costante nella famiglia Fish. Lo zio paterno di Albert soffriva di una psicosi caratterizzata da allucinazioni di carattere religioso. Morì in ospedale, così come uno dei suoi tanti fratelli. Un’ altra zia paterna venne rinchiusa in manicomio e schedata come “totalmente matta”. Il fratello più grande di Fish era affetto da alcolismo cronico, mentre quello minore era frenastenico e morì di idrocefalo. Una sua sorella venne internata in ospedale psichiatrico per una “non ben definita malattia mentale” e sua madre soffriva periodicamente di allucinazioni visive e uditive.
Edward Budd è un 18enne intraprendente, forte e ansioso di lavorare. Eddie vive però in una famiglia molto povera: madre, padre e cinque figli, intrappolati in una lurida baracca di periferia. Desideroso di poter evadere dalla terribile situazione in cui vive, il 25 maggio 1928 Eddie fa pubblicare un annuncio sull’edizione domenicale del New York World : “Giovane 18enne, cerca lavoro nel paese. Edward Budd, 406 West 15th Street.”
È un annuncio scarno, privo di effetto e difficilmente richiamerà l’attenzione di qualcuno, eppure il lunedì seguente, 28 maggio 1928, Delia, la madre di Edward Budd, apre la porta ad un anziano visitatore. L’uomo si presenta come Frank Howard, un coltivatore di Farmingdale, nel Long Island. E’ venuto per fare un colloquio di lavoro ad Edward.
Mentre i due aspettano l’arrivo di Edward Budd, Delia ha l’opportunità di studiare l’uomo che si è presentato alla sua porta. La sua faccia dà un’ idea di gentilezza, i capelli sono ordinati e grigi, così come i grandi baffi. Sembra proprio l’uomo ideale al quale affidare i propri figli.
Frank Howard nel frattempo le racconta la propria vita: è stato decoratore di interni per molti anni e, arrivato alla pensione, si è comprato una fattoria. Ha sei figli, tutti cresciuti da lui, poiché la moglie lo ha abbandonato 10 anni prima.
La fattoria procede a meraviglia, grazie all’aiuto dei suoi figli, di cinque braccianti e di un cuoco svedese. Purtroppo un paio dei braccianti sono ormai anziani e Frank ha bisogno di rincalzi. Per questo, dopo aver letto l’annuncio di Edward, si è presentato a casa Budd.
Proprio in quel momento entrano in casa Eddie e un suo amico, Willie. Frank Howard rivolge qualche domanda ai due, misura la loro forza e alla fine propone a entrambi 15$ a settimana. E’ una paga grandiosa e i due giovani accettano senza pensarci sopra due volte.
Il 3 giugno 1928, alle 11 di mattina, Frank Howard si ripresenta a casa Budd, per prendere con sé i due nuovi operai. Ha portato in regalo fragole e una forma di formaggio cremoso appena fatto, così Delia per ricambiare il favore propone al gentile ospite di fermarsi a pranzo con loro.
Mentre Frank Howard e il padre di Edward parlano amichevolmente a tavola, si apre una porta e compare davanti ai loro occhi una bella bambina di 10 anni che canticchia una canzone infantile. Si chiama Gracie, ha i capelli e gli occhi castani molto scuri, contrapposti ad una pelle chiara e a delle labbra rosa pallido.
Frank Howard è colpito da questa bambina e non lo nasconde affatto. Le fa molti complimenti e le regala qualche soldo per comprare dolciumi, quindi la invita con lui alla festa di compleanno della sua nipotina. Delia Budd è abbastanza perplessa, ma l’anziano e gentile ospite riesce comunque a convincerla: la festa si tiene in un appartamento della 137esima strada, e l’uomo promette che Gracie sarà di nuovo a casa per le 21.
Da brava madre Delia aiuta Gracie a indossare il cappotto buono, la accompagna alla porta e la segue con lo sguardo mentre si allontana lungo la strada con il gentile Frank Howard. Non li vedrà mai più.
Quella sarà una notte insonne per la famiglia Budd: nessuna notizia di Howard, nessun segno della piccola Gracie. La mattina seguente Edward viene mandato alla stazione di polizia per denunciare la scomparsa.
Non ci mette molto la polizia ad accertare che tutto ciò che aveva raccontato l’uomo era falso: non esiste nessun appartamento, non esiste nessuna fattoria, non esiste nessun Frank Howard.
Il 7 giugno vengono diffusi in tutta New York ben 1000 volantini con la foto di Gracie e una descrizione sommaria dell’uomo che l’ha portata via.
Più di 20 detective vengono assegnati al caso, ma nessuna segnalazione utile arriva tra le loro mani, solo una serie infinita di falsi allarmi.
Gli unici indizi sono la grafia dell’uomo, indice di una istruzione abbastanza elevata, e l’indirizzo del negozio in cui è stato comprato il formaggio, un baracchino ad East Harlem.
La polizia di New York ricorda inoltre un caso simile, risalente a un anno prima.
È l’11 febbraio 1927, un bambino di quattro anni, Billy Gaffney, e un suo amico di tre anni, stanno giocando nel cortile davanti casa. Li controlla attentamente un ragazzino di dodici anni, ma è presto costretto ad assentarsi, richiamato dal pianto di sua sorella neonata.
Al suo ritorno il ragazzo non trova più i due bambini, perciò corre ad avvertire il padre di quello più piccolo.
Dopo una disperata ricerca, il bambino viene ritrovato sul tetto, ma non c’è traccia di Billy Gaffney.
“Dove si trova Billy Gaffney? “
“Lo ha preso l’uomo nero”
Ovviamente la dichiarazione del piccolo di tre anni viene ignorata, e gli investigatori cominciano a cercare Billy in lungo e in largo per i quartieri limitrofi. Viene dragato un fiumiciattolo e delle squadre di ricerca perquisiscono alcuni cantieri edili. Billy non si trova in nessuno di questi posti, perciò finalmente qualcuno si decide a chiedere la descrizione dell’ “uomo nero”.
Il piccolo testimone parla di un vecchio molto snello, con capelli e baffi grigi. La polizia ne prende atto, ma non pensa proprio a connettere questa descrizione a un avvenimento accaduto qualche anno prima.
È una mattina del 1924, di Luglio per la precisione. Francis McDonnell, otto anni, sta giocando sul portico di fronte a casa, vicino ai boschi di Charlton, a Staten Island. La madre gli è seduta vicino, allatta una neonata, quando nota un vecchio vagabondo, sporco e malridotto, che passeggia gesticolando e borbottando con se stesso.
Quel pomeriggio lo stesso uomo avvicina Francis mentre gioca a palla con quattro amici e lo porta via.
Nessuno nota la scomparsa del bambino fino a sera, quando Francis non si presenta a cena.
Suo padre, un poliziotto, organizza immediatamente una ricerca nei boschi limitrofi e in poche ore il ragazzino viene ritrovato.
Francis è sdraiato sotto dei rami, con i vestiti strappati, strangolato con le proprie bretelle e preso a bastonate. L’aggressione è stata talmente violenta che le autorità escludono sia stato il vecchio vagabondo avvistato da più persone. Forse il vecchio aveva un complice.
Nonostante gli sforzi massicci della polizia e della comunità, nessuno riesce a rintracciare questo misterioso “uomo grigio”.
Rifacciamo un salto avanti nel tempo, è il novembre del 1934, il caso Budd è ancora aperto, ma nessuno si aspetta che venga mai risolto. Non la pensa così William F. King, l’unico investigatore a cui il caso è ancora assegnato. Il 2 novembre 1934, il detective prova una mossa estrema e fa pubblicare a un amico giornalista, Walter Winchell, un articoletto che recita: “Il mistero del rapimento di Gracie Budd, otto anni, risalente a sei anni fa, sta per essere risolto dagli investigatori.”
Passano solo dieci giorni e Delia Budd riceve una lettera inquietante. Per sua fortuna, essendo analfabeta, la donna non riuscirà mai a leggere tale lettera. La legge invece Edward Budd, che corre immediatamente alla polizia.
La lettera recita così:
“Cara signora Budd,
Nel 1894 un mio amico navigò come marinaio sullo Streamer Tacoma, del Capt. John Davis. Navigarono da San Francisco a Hong Kong. All’arrivo il mio amico scese con altri due e andarono ad ubriacarsi. Al loro ritorno la barca era partita.
Era un periodo di carestia per la Cina. Qualsiasi tipo di carne costava da 1 a 3 dollari per libbra. La sofferenza era così grande che i più poveri misero in vendita i propri figli sotto i dodici anni per non morire di fame. I ragazzi di quattordici anni non erano per niente al sicuro da soli in mezzo alla strada.
Avrebbe potuto andare in un qualsiasi negozio e richiedere una fetta di carne. Le avrebbero mostrato il corpo di un ragazzo o una ragazza nudi e le avrebbero chiesto quale parte volesse. La parte posteriore dei ragazzi, che è la parte più dolce del corpo, veniva venduta a caro prezzo come le costolette.
John, avendo passato tanto tempo da quelle parti, ha imparato ad apprezzare la carne umana. Tornato a New York rapì due ragazzini di 7 e 11 anni, li spogliò e li chiuse in un armadio. Durante il giorno li torturava e li sculacciava a lungo in modo da renderne la carne più tenera.
Per primo uccise il ragazzo di 11 anni perché aveva il sedere più grasso e carnoso. Tutto di lui fu cucinato e mangiato, eccetto testa ossa e intestini. Il ragazzo più piccolo ha fatto una fine molto simile.
In quel periodo io ero un vicino di John. Mi parlò così spesso di come fosse buona la carne umana che decisi che dovevo assolutamente assaggiarla.
Domenica 3 giugno 1928, ero a pranzo da Lei. Gracie sedette nel mio grembo e mi schioccò un bacio. In quel momento capii che dovevo assolutamente mangiarla.
Utilizzai la scusa di doverla portare a una festa e Lei acconsentì. Invece io l’ho portata in una casa vuota a Westchester, scelta in precedenza.
La lasciai a raccogliere fiori ed entrai a strapparmi via tutti i vestiti. Non avevo nessuna intenzione di macchiarli con il sangue della bambina.
Quando tutto era pronto, andai alla finestra e la chiamai. Poi mi nascosi in un armadio. Quando lei mi vide del tutto nudo cominciò a piangere e provò a scappare di corsa sulle scale. Io l’afferrai e lei mi minacciò che avrebbe detto tutto alla sua mamma.
Per prima cosa l’ho denudata, mentre lei mi calciava, mi mordeva e mi graffiava. L’ho strangolata a morte e l’ho tagliata a piccoli pezzi in modo da portarla comodamente a casa mia. L’ho cucinata e mangiata. Come era dolce e morbido il suo sederino che ho arrostito al forno!! Mi ci sono voluti nove giorni per mangiarla interamente. Non si preoccupi, non l’ho violentata. È morta vergine come volevo che avvenisse.”
Nessuno ci vuole credere, quella lettera è troppo folle, troppo spaventosa…eppure, purtroppo, le indicazioni fornite sono abbastanza complete e inoltre la scrittura è la stessa che compare sulle lettere che Frank Howard aveva mandato famiglia Budd sei anni prima.
Per fortuna il folle omicida ha compiuto un grave errore: la busta porta con sé un importante indizio, un piccolo emblema esagonale, con le lettere N.Y.P.C.B.A. Esse stanno per “New York Private Chauffeur’s Benevolent Association”. Gli investigatori decidono così di sottoporre tutti i membri di questa associazione a una prova della scrittura, ma nessuno pare essere il colpevole.
Quando le indagini stanno nuovamente per cadere nel vuoto, un giovane custode confessa di aver rubato di nascosto un paio di fogli e buste e di averli dimenticati in una vecchia casa, al 200 East della 52nd Street.
La padrona dell’edificio viene prontamente interrogata e non ha dubbi a riconoscere nella descrizione di Frank Howard un anziano signore che ha soggiornato lì negli ultimi due mesi. Si faceva chiamare Albert H. Fish ed ha lasciato l’appartamento da appena due giorni. L’uomo attendeva una lettera ma si era dovuto allontanare all’improvviso, quasi come spaventato da qualcosa. Ancora una volta il serial killer è sfuggito alla giustizia, ma è questione di tempo ormai, la cattura è davvero vicina.
Il 13 dicembre 1934 la donna chiama il Detective King perché ci sono novità importanti: Albert Fish è tornato nell’appartamento alla ricerca della famosa lettera che aspettava.
Quando la polizia fa irruzione nella casa trova Fish comodamente seduto a bere una tazza di tè. All’improvviso l’uomo estrae una lama di rasoio dalla propria tasca, sperando di domare con essa le forze dell’ordine. King, infuriato, lo afferra saldamente, gli torce la mano ed esclama trionfante: “Finalmente ti ho preso!”
EPILOGO
La confessione di Albert Fish, arrivata pochi giorni dopo, è un’odissea di perversione e depravazione indicibili. È incredibile che un anziano apparentemente debole e indifeso, sia stato capace di compiere simili oscenità.
Fish confessa che nell’estate del 1928 era stato assalito da una forte sete di sangue. Le sue intenzioni iniziali erano di adescare solo il giovane Edward, portarlo il un luogo segreto, tagliargli il pene e farlo morire dissanguato.
Aveva anche comprato una mannaia per l’occasione.
Dopo la prima visita in casa Budd, Fish aveva però capito che non c’erano speranze di sopraffare il forte Edward, tanto meno l’amico Willie, perciò aveva ripiegato sulla piccola Gracie, sin dal primo momento che l’aveva vista.
Tutto il resto corrisponde alla lettera che Fish aveva mandato a Delia. Per fortuna l’uomo aveva omesso di aver decapitato la ragazzina con un seghetto, di aver raccolto il suo sangue in un secchio e di aver buttato gli “scarti” al di là di un recinto.
Il giorno successivo la polizia e Fish si sono recati a recuperare i resti della povera Gracie, l’anziano non ha tradito nessuna emozione, così come non ha fatto una piega nel faccia a faccia con i genitori di Gracie, che ovviamente non hanno lesinato sugli insulti.
Nei giorni successivi sono proseguiti invece gli interrogatori, ma nessuna domanda è mai stata fatta a proposito del cannibalismo al quale si accennava nella lettera. Troppo folle per essere vero… e soprattutto una cosa del genere avrebbe facilitato fin troppo la difesa nel sostenere l’infermità mentale.
Mentre Albert Fish rimane in galera con l’accusa di rapimento e omicidio, un conducente di carretti si presenta alla stazione di Brooklyn e riconosce sia le foto dell’anziano omicida che le foto del piccolo Billy Gaffney, aggiungendo di averli visti insieme. Fish è così costretto a confessare anche questo omicidio. Dopo aver legato, imbavagliato e denudato il bambino lo ha lasciato in una discarica fino alle due del mattino. Nel frattempo si è recato a casa per prendere il suo amato gatto a nove code. Si tratta di un frustino artigianale, fatto da Fish stesso, molto pesante, dal manico corto, praticamente è composto solo da diverse strisce di cinture, tagliate e legate insieme.
Con questo oggetto Albert Fish ha sferzato il bambino sulle gambe fino a farlo sanguinare, quindi lo ha ucciso tagliandogli la faccia da orecchio a orecchio, passando il pugnale tra la bocca e il naso. Infine, non contento, gli ha infilato il coltello nell’addome, provocando una ferita profonda e bevendo il sangue che ne sgorgava fuori.
Naso, orecchie, addome e fondoschiena verranno mangiati Fish, stufati con cipolle e carote. Testa, braccia e gambe vengono invece messi in sacchi di patate, insieme a pesanti sassi, e buttati in un fiumiciattolo. Il pene a quanto pare è stato vomitato perché indigeribile.
Qualche giorno dopo questa confessione, una ragazza riconosce in Albert Fish l’uomo grigio che aveva avvicinato Francis MacDowell (del quale Fish ha mangiato le orecchie condite con bacon) e, grazie alla testimonianza di un altro uomo, il folle omicida viene allacciato anche alla scomparsa di una 15enne, Mary O’Connor, avvenuta nel 1932 a Far Rockway. Il corpo della ragazzina viene trovato poco lontano da una delle ultime case in cui Fish aveva lavorato come decoratore.
Con tutte queste accuse a suo carico, Albert Fish ha veramente poche possibilità di cavarsela e di scampare alla pena di morte: la sua unica via di scampo si chiama infermità mentale.
Viene così esaminato dal Dott. Fredric Wertham. Dal loro colloquio emerge una personalità psicopatica e paranoica, con una sessualità molto malata e tendenze sado-masochistiche. L’uomo è inoltre influenzato profondamente dalla religione e ossessionato dalla punizione fisica.
Con una freddezza unica Fish racconta allo psichiatra la propria vita, i propri omicidi, il proprio sado-masochismo. L’assassino racconta di aver ucciso almeno 100 bambini e di averne molestati almeno 400, preferiva gli afro-americani perché la loro scomparsa attirava meno l’attenzione dell’opinione pubblica e della polizia. Aggiunge anche di aver vissuto in 23 stati diversi e di aver ucciso o mutilato un bambino in ogni quartiere in cui ha abitato.
In un suo trattato sulle menti criminali, il Dottor Werthman scriverà che Fish raccontava le proprie azioni con la stessa freddezza e tranquillità che una massaia utilizzerebbe parlando di cucina. Solo gli occhi luccicanti e trepidanti tradivano la sua eccitazione.
Quando Fish comincia a parlare del suo sado-masochismo, e sopratutto della sua mania di conficcare ai bambini e a se stesso dei lunghi aghi nella zona pelvica e nello scroto, i dottori che lo stanno studiando cominciano a titubare che egli dica il vero. Una radiografia della zona pelvica dell’assassino li smentirà: ben 29 aghi compariranno in essa.
Werthman non è l’unico a dichiarare Fish malato di mente e alienato. Ciò nonostante nel 1935 comincia il processo a carico dell’assassino e si ha sin da subito l’impressione che Fish verrà condannato.
Il processo diventa ben presto una girandola di testimonianze e interrogatori. L’avvocato difensore cerca in tutti i modi di dimostrare che il suo cliente è malato di mente e per questo va rinchiuso in un manicomio, l’avvocato dell’accusa si arrampica sugli specchi in ogni modo per dimostrare che Fish è solamente un pervertito sessuale e un assassino, sano di mente e cosciente della differenza tra giusto e sbagliato. In sede di processo basta infatti dimostrare questa ultima cosa per dichiarare l’imputato capace di intendere e volere.
Fish assiste in maniera distaccata e fredda al proprio processo e alle deposizioni più o meno scioccanti. Apre bocca una sola volta, per chiedere al proprio avvocato di salvarlo, poiché “Dio ha ancora tanto lavoro per me”.
Il verdetto arriva dopo solo 10 giorni di dibattito: Albert Hamilton Fish è ritenuto colpevole di 15 omicidi e sospettato di altri 100, perciò è condannato alla sedia elettrica.
Il giorno dopo i giornali scriveranno che Fish alla lettura della sentenza si è alzato in piedi, con gli occhi umidi e ha ringraziato il giudice.
Il 16 gennaio 1936 Albert Fish è stato giustiziato sulla sedia elettrica. Ha aiutato gli inservienti a legargli le fibbie intorno alle braccia e ha ammesso commosso che la scossa elettrica era l’unico piacere sado-maso che mancasse al suo “repertorio”. Ci sono volute due scosse per ucciderlo: al primo tentativo, l’intero impianto è stato mandato in corto circuito dai 29 aghi metallici piantati nel pube dell’uomo.
“Ciò che io faccio è giusto, altrimenti Dio avrebbe mandato un angelo a fermare la mia mano, come fece a suo tempo con il profeta Abramo.” (Albert Hamilton Fish)
DANIELE DEL FRATE 20-01-2005
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