Albert Desalvo – Lo Stangolatore di Boston

Biografie

Foto del serial killer Albert DeSalvo Soprannome: Lo Strangolatore di Boston
Luogo omicidi: Boston (U.S.A.)
Periodo omicidi: 1962 – 1964
Numero vittime: 13
Modus operandi: Violenza con percosse soffocamento, pugnalate.
Cattura e Provvidementi: Arrestato Il 3 novembre 1964. Pugnalato a morte nel carcere di Walpole nel 1973

14 giugno 1962 – 4 gennaio 1964, in questo periodo tredici donne vengono ammazzate, nell’area di Boston, da quello che sembra essere un solo assassino.
Da sempre, la polizia tende ad attribuire undici di questi omicidi al cosiddetto “Strangolatore di Boston“. I presupposti ci sarebbero, le vittime sono “simili tra di loro” (sono tutte donne single, rispettabili e tranquille) e le scene del crimine hanno diversi particolari in comune (si tratta sempre della casa della vittima, non sono stati rinvenuti evidenti segni di effrazione, le vittime sono state violentate con degli oggetti e strangolate con dei vestiti).

Anche se nessuno è mai stato processato per quei delitti, è opinione comune identificare lo Strangolatore con Albert DeSalvo, reo confesso. Non sono della stessa idea coloro che hanno conosciuto personalmente DeSalvo: nessuno di loro ritiene che fosse capace di compiere quei crimini. Proprio di recente sono emersi dei dettagli che scagionerebbero DeSalvo.
Noi ci limiteremo a raccontare la storia dello Strangolatore di Boston, considerando entrambi i punti di vista e lasciando a voi la facoltà di decidere se DeSalvo fosse colpevole oppure no. Non si tratta comunque di una decisione facile, dato che in questi anni diversi psichiatri, avvocati e criminologi hanno discusso a lungo sulla presunta colpevolezza di DeSalvo, senza mai concludere nulla.

Cominciamo dalle vittime.

Delle undici ufficiali, sei delle vittime avevano tra i 55 e i 75 anni, mentre le altre cinque variavano tra i 19 e i 23 anni. Le ultime due, quelle non riconosciute dalla polizia, avevano 85 e 69 anni. Non proprio il massimo dell’omogeneità.
Non che 55 anni di età siano indice di vecchiaia, per carità. Nemmeno nel 1962, soprattutto per Anna E. Slesers, una graziosa divorziata che dimostrava almeno una decina di anni in meno. Emigrata dalla Lettonia negli anni ’50 con i figli, aveva fissato la propria dimora in un una casa di mattoni nel quartiere old style di Back Bay, una frazione di Boston.
Le case di mattoni erano state suddivise in minuscoli appartamenti, proprio per venire incontro alla gente povera, agli studenti e ai pensionati. Anna, con i suoi 60$ alla settimana da sarta, rientrava nella prima categoria.

E’ la sera del 14 giugno 1962, Anna Slesers ha appena finito di cenare. Fra poco Juris, suo figlio, la passerà a prendere per portarla alla messa lettone che si terrà nella chiesa del quartiere. C’è giusto il tempo per un bagno caldo sulle note dell’opera “Tristano e Isotta”. Anna è una persona tranquilla, tutta casa chiesa e lavoro. L’unica distrazione che si concede è la musica classica. Gli unici uomini nella sua vita sono i suoi figli.
Juris arriva poco prima delle 19. Bussa alla porta, ma la madre non gli risponde. E se avesse avuto un malore? E se avesse compiuto qualche insano gesto? Sembrava alquanto triste la sera prima al telefono! Juris non si sofferma oltre e sfonda la porta dell’appartamentino di Gainsborough Street.
Le sue paure peggiori si concretizzano quando vede la donna sdraiata sul pavimento del bagno, con la corda dell’accappatoio legata intorno al collo. La mamma si è suicidata?!.
I Detective accorsi sul posto trovano la vittima distesa sulla schiena, nuda. L’accappatoio è stato palesemente spostato in modo da lasciarle scoperti il pube ed il petto. La sua posa appare alquanto grottesca, a gambe aperte, con la testa piegata verso la porta del bagno. Una gamba è distesa, mentre l’altra forma un angolo retto. La sua vagina riporta i segni di una violenza sessuale inflitta tramite un oggetto.
L’appartamento è nel caos più totale, tuttavia questa simulazione di “scena di un furto” è riuscita malissimo: l’orologio d’oro e i gioielli di Anna sono ancora tutti in casa.
Nonostante ciò, per la polizia si tratta di un furto con scasso finito nel sangue. Probabilmente il topo d’appartamento non si aspettava di trovare Anna in casa e, vendendola, è esploso nella follia omicida.

Un paio di settimane più tardi, il 30 giugno, la 68enne Nina Nichols viene assassinata nel suo appartamento di Brighton. La donna, fisioterapista in pensione, era vedova da 20 anni e non frequentava nessun uomo a parte il cognato.
Viene ritrovata sul pavimento del salotto, con le gambe allargate e la vestaglia di seta tirata su fino alla vita. E’ stata strangolata con un paio di calze di nylon ed è stata violentata con ferocia: nella sua vagina c’è del sangue.
Anche in questo caso l’appartamento è stato messo all’aria, ma l’argenteria e i soldi non sono stati toccati.

Lo stesso giorno, nel sobborgo di Lynn, anche Helen Blake va incontro al suo appuntamento con la morte. Il killer ha prima costruito una specie di cappio con il reggiseno e le calze della 65enne divorziata, poi l’ha soffocata.
Al momento del ritrovamento, la donna giace sul pavimento vicino al letto, con la faccia rivolta verso il terreno. Vagina e ano sono stati brutalmente lacerati, ma non c’è traccia di sperma.
Questa volta l’appartamento non è stato frugato vanamente: sono scomparsi due anelli di diamanti e la cassaforte ha subito, resistendo, un ripetuto tentativo di scasso con un piede di porco.

Secondo il medico legale, Helen Blake sarebbe morta intorno alle 10 di mattina, mentre il decesso di Nina Nichols risale alle 17.00. Le due donne sono separate tra loro da circa 20km.
Questo susseguirsi di omicidi allarma il questore Edmund McNamara, che fa diramare un comunicato d’emergenza a tutte le donne di Boston. Il comunicato invita le donne della città a serrare bene porte e finestre e suggerisce loro di non aprire agli estranei.
Il questore annulla le ferie estive e richiama in servizio tutti gli agenti possibili: bisogna catturare un omicida seriale.
Tutti i violentatori e i malati mentali violenti che sono stati schedati vengono interrogati e pedinati. Data l’età delle vittime, l’FBI suggerisce di cercare un malato mentale che abbia risentimento verso la propria madre.

Il 19 agosto, anche la 75enne Ida Irga, una vedova molto timida e solitaria, cade vittima dello Strangolatore. Viene ritrovata solo due giorni più tardi, nel suo appartamento nella zona ovest della città. Come negli altri casi, non c’è nessun segno di effrazione sulle porte o sulle finestre, l’assassino a quanto pare riesce sempre a farsi aprire la porta dalla vittima di turno.
Il corpo di Ida giace con la schiena sul pavimento del soggiorno, ha la faccia tumefatta e piena di sangue insecchito. Indossa una camicia da notte marrone che è stata lacerata in modo da mettere in mostra il suo corpo. I suoi piedi sono legati a delle sedie, in modo da tenere le gambe allargate e sollevate una ventina di centimetri da terra. Per “facilitarsi” il lavoro, l’assassino le ha anche appoggiato un cuscino sotto le natiche.
Dopo averla violentata, sempre mediante l’uso di un oggetto, l’omicida l’ha strangolata. Attorno al suo collo c’è una federa di guanciale, ma il medico legale è convinto che la donna sia stata strangolata prima manualmente.

Nemmeno ventiquattro ore più tardi, viene ritrovato il cadavere di Jane Sullivan, una balia settantenne di Dorchester, lo stesso sobborgo di Ida Irga. Quando gli investigatori fanno ingresso nel suo appartamento, la donna è morta ormai da circa 10 giorni.
La polizia la trova seduta sulle ginocchia nella vasca, con i piedi che penzolano di fuori e la testa appoggiata sul rubinetto. Anche lei è stata strangolata con le sue stesse calze di nylon, ma probabilmente ciò non è avvenuto in bagno: tracce di sangue vengono scovate sul pavimento della cucina, del salotto e della camera da letto. Lo stato di decomposizione è troppo avanzato per stabilire un’eventuale assalto sessuale. Nessun segno di scasso, niente è stato rubato.

Dopo questo ennesimo e raccapricciante ritrovamento, il panico dilaga per Boston, tuttavia nei tre mesi successivi non succederà più nulla.

Il sangue ricomincia a scorrere il 5 dicembre del 1962, quando l’afroamericana Sophie Clark, un’attraente e popolare studentessa 21enne del Carnegie Institute of Medical Technology, viene ritrovata morta dai suoi compagni di stanza.
La vittima divideva con loro un appartamento in una stradina di Back Bay, ad un paio di isolati di distanza dalla casa della prima vittima dello Strangolatore di Boston.
Sophie è completamente nuda, sdraiata sul pavimento a gambe larghe. E’ stata strangolata con delle calze di nylon. Questa volta l’assassino non ha usato oggetti per abusare della vittima: sul tappeto vicino al corpo di Sophie ci sono delle tracce di sperma.
I cassetti sono stati aperti e sono spariti i dischi che Sophie collezionava. Ci sono anche evidenti tracce di lotta e sul tavolo c’è una lettera, destinata ad un amico, che è stata lasciata a metà. Forse la ragazza la stava scrivendo quando è stata interrotta dallo Strangolatore.

Non ci vuole certo una Laurea in Criminologia per accorgersi che sia il target che il modus operandi dell’assassino sono sorprendentemente cambiati: una ragazza giovane e di colore, violenza sessuale “naturale” e tracce di sperma sul pavimento.
La vicina di casa di Sophie, Marcella Lulka, riferisce agli investigatori che, verso le 14 del giorno in cui la studentessa è stata uccisa, un uomo si è presentato a casa sua. Disse che era stato mandato dal proprietario per imbiancare i soffitti, ma ben presto le aveva fatto delle avances.
Marcella lo aveva redarguito, dicendo che suo marito era in casa, in camera da letto, a schiacciare un pisolino. A quell’affermazione l’uomo se ne era andato, spiegando che aveva sbagliato casa.
Grazie alla signora Lulka si riesce così a stendere il primo identikit del presunto colpevole: un uomo tra i 25 e i 30 anni, di altezza media e dai capelli biondo scuro.
Tre settimane più tardi, il 31 dicembre 1962, il direttore di una ditta edile di Boston si sta recando al suo ufficio. Della segretaria, la 23enne Patricia Bissette, non vi è però traccia. Preoccupato, il datore di lavoro si dirige prontamente verso il quartiere dove la ragazza risiede. E’ il Back Bay, proprio quello dove nei mesi precedenti sono state trovate uccise una donna lettone e una studentessa afroamericana.
L’appartamento di Patricia è chiuso a chiave, così lo zelante datore di lavoro è costretto, con l’aiuto del custode, ad arrampicarsi fin dentro una finestra.
I due “intrusi” trovano la ragazza sdraiata sul letto, con le coperte fin sotto il mento e la faccia contro il cuscino. Non sta però saltando un giorno di lavoro, Patricia è stata uccisa. Attorno al suo collo sono annodate strettamente diverse paia di calze e una camicetta. E’ stata anche violentata e il suo retto è lacerato. L’appartamento è stato messo sottosopra.

Le cose si placano per un paio di mesi, fino a quando, ai primi di marzo del 1963, la 68enne Mary Brown viene ritrovata morta a Lawrence, a 30km dal centro di Boston.
La donna è stata stuprata, strangolata e percossa violentemente.

Mercoledì 8 maggio 1963 è il turno di Beverly Samans, una studentessa 23enne. La trova un amico, sdraiata sul sofà a gambe aperte e con le mani legate dietro la schiena. L’assassino le ha anche tappato la bocca infilandoci dentro due fazzoletti di seta.
Questa volta la ferocia è stata senza pari. Le calze annodate intorno al suo collo sono infatti solo “decorative”. La causa della morte non è lo strangolamento, bensì quattro profonde pugnalate alla gola. Ci sono altre 22 pugnalate sul corpo della vittima, 18 delle quali sono state inferte tutte sul seno sinistro a formare il disegno di un occhio di bue.
Il coltello insanguinato verrà ritrovato nel lavandino della cucina, mentre sul corpo non viene trovata nessuna traccia di violenza sessuale.

Lo Strangolatore di Boston, ammesso che sia una persona sola, ha cambiato nuovamente modus operandi, mentre l’età delle vittime continua ad oscillare senza senso.
Secondo la polizia l’accoltellamento è stato necessario perché la ragazza era una cantante d’opera e i suoi muscoli del collo, ben sviluppati, avevano reso veramente difficile lo strangolamento.
A questo punto delle indagini, gli investigatori di Boston sono talmente disperati da ricorrere all’aiuto di Paul Gordon, un pubblicitario che sostiene di essere dotato di grandiosi poteri paranormali.
Il sensitivo fornisce una dettagliata descrizione psicologica e fisica dell’assassino e lo riconosce tra le foto dei pervertiti schedati dalla polizia: Arnold Wallace, un 26enne molto violento e ricoverato da tempo nella sezione dei malati mentali dell’ospedale statale di Boston.
Fidandosi ciecamente del loro assistente ESP, i detective fanno degli accertamenti su Wallace e scoprono che sarebbe evaso 5-6 volte nell’ultimo anno, proprio in coincidenza con i delitti.
Paul Gordon si fa condurre all’ospedale, perché vuole vedere Wallace “nella carne”, e conferma la sua versione dei fatti: Arnold Wallace è lo Strangolatore di Boston.
L’interrogatorio non sarà però molto costruttivo: Arnold ha un quoziente intellettivo di 60 e fa fatica a distinguere la realtà dalla fantasia. La storia del sensitivo naufraga miseramente.

L’8 settembre del 1963, a Salem, Evelyn Corbin, un bella divorziata di cinquantotto anni, viene trovata assassinata.
E’ stata strangolata con due paia di calze di naylon. Viene ritrovata nuda a letto, con la faccia verso il basso. Ha le mutandine sulla bocca, a mo’ di bavaglio. C’è dello sperma nella sua bocca e anche sul letto. L’assassino si è preso gioco degli investigatori cerchiando con il rossetto tutte le tracce di sperma rimaste sulle lenzuola.
L’appartamento è tutto sottosopra, ma nulla è stato rubato.

Il 25 novembre, tre giorni dopo l’omicidio di John F. Kennedy, mentre gli abitanti di Boston sono incollati ai loro televisori per seguire l’evolversi degli eventi, Joann Graff viene ritrovata stuprata e uccisa a Lawrence.
La religiosa 23enne disegnatrice industriale in realtà è morta qualche ora prima del Presidente americano. Due calze di nylon sono state allacciate al suo collo in maniera molto elaborata, la vagina è lacerata e insanguinata, sui seni ci sono segni profondi di morsi.
Un inquilino del piano di sopra racconta di aver incontrato un ragazzo sui 26 anni il giorno dell’omicidio. Aveva i capelli impomatati e indossava dei vistosi pantaloni verdi. Voleva sapere dove abitasse Joann.

Il 4 gennaio 1964, due giovani studentesse trovano una sgradita sorpresa ad accoglierle al ritorno a casa: la loro nuova compagna di stanza, la 19enne Mary Sullivan, è stata assassinata.
Come le altre vittime, la giovane è stata strangolata, ma l’assassino questa volta si è “divertito” ad intrecciare le calze sul collo di Mary fino a formare una grottesca coccarda rosa e bianca. Sulla pianta dei piedi ha invece attaccato un adesivo con la scritta “Happy New Year”.
C’è di peggio: la 19enne è seduta sul letto, con la schiena appoggiata al muro. Dello sperma le cola dalla bocca cadendole sui seni e le è stato infilato il manico di una scopa per 15cm nella vagina.

Dopo questo ritrovamento, i giornali e l’opinione pubblica si scaraventano sull’inefficienza della polizia di Boston. Così, il 17 gennaio 1964, il Procuratore Generale del Massachusetts, Edward Brooke, decide di prendere in mano la situazione.
E’ un uomo coraggioso Brooke, unico Procuratore Generale afroamericano di tutti gli Stati Uniti, Repubblicano in un paese dove i Democratici sono solidamente al potere. Un fallimento potrebbe costargli molto caro, le elezioni sono alle porte.
Ovviamente il Procuratore non vuole sostituirsi alla polizia. Vuole coordinare il loro lavoro, cercando di superare i problemi che si possono creare continuando a seguire le investigazioni in cinque circoscrizioni diverse.
Il nuovo corpo investigativo viene nominato formalmente Special Division of Crime Research and Detection. A capo, oltre a Brooke, vi è anche il Vice Procuratore Generale John S. Bottomly.
La squadra speciale, oltre ai numerosissimi agenti di Boston, è composta dal Detective Phillip DiNatale, dall’agente specialeJames Mellon, dall’agente Stephen Delaney e dal Tenente Donald Kenefick che, essendo anche dottore, ha il compito di coordinare il Comitato Consultivo Medico-Psichiatrico composto da i migliori esperti in medicina forense.
La squadra è attesa da un grosso lavoro ancora prima di iniziare: i rapporti raccolti dalla polizia negli undici delitti ammontano a circa 37.000 pagine.
La prima conclusione alla quale giungono gli esperti in medicina forense è che le vittime sono troppo incompatibili tra loro perché si possa parlare di un solo assassino. Qualcuno degli omicidi è di sicuro opera di qualche emule.
Ben presto, il Dott. Kenefick stende anche il profilo del ricercato: si tratta di una persona sui 30 anni, pulito, ordinato e preciso. Lavora con le mani, oppure ha un hobby che richiede un’ottima manualità. Probabilmente è single o divorziato ed è solo, molto solo. Non dovrebbe avere nemmeno un amico.
Anche il corpo speciale farà l’errore di affidarsi ad un sensitivo. Evidentemente a Boston, negli anni ’60, questo tipo di persone “andava di moda”.
Questa volta si tratta di Peter Hurkos, di origini olandesi. I suoi “poteri” porteranno ad un ex ricoverato mentale, commesso in un negozio di scarpe, con un alibi di ferro.

Quando l’opinione pubblica comincia a sgomentarsi del lavoro a vuoto di quello che viene chiamato lo “Strangler Bureau”, qualcuno si ricorda di un episodio successo qualche anno prima nella cittadina di Cambridge.
Un 26enne andava in giro spacciandosi per l’addetto di un’agenzia di modelle. Bussava alla porta di donne sole e raccontava loro di essere stato inviato dall’agenzia per prendergli le misure. Quelle che ci cascavano venivano misurate con un piccolo metro da sarta e praticamente palpeggiate.
Dopo numerose denunce, il giovane era stato arrestato mentre cercava di intrufolarsi in una casa.
Il suo nome era Albert DeSalvo. L’uomo, padre di due figli e operaio, al momento dell’arresto aveva già sulla sua fedina penale numerosi fermi per intrusione e per furto d’appartamento. La sua pena, 18 mesi, si sarebbe conclusa nell’aprile del 1962, due mesi prima della morte di Anna Slesers, la prima vittima dello Strangolatore di Boston.

Nato a Chelsea, nel Massachusetts, il 3 settembre del 1931, Albert cresce con una madre che gli vuole molto bene e con un padre despota e violento. Ben presto comunque la madre si risposa e lo porta via con sé.
Botte del padre a parte, l’infanzia e l’adolescenza di DeSalvo non sono segnate da nessuno shock particolare né alcun tipo di abuso subito. Eppure il ragazzo alterna periodi in cui si comporta normalmente a periodi in cui è attirato in maniera irresistibile dal compiere piccoli crimini: furtarelli, risse con gli altri ragazzini, ecc.
Nel 1948, è in Germania con l’esercito. Qui conosce Irmgard Beck, una donna molto attraente e ricca, che diverrà sua moglie.
Nel 1955, nasce Judy, la sua primogenita. La piccola è affetta da un handicap fisico congenito nella zona pelvica. Da questo momento, la moglie si negherà sessualmente ad Albert, un uomo molto vorace sotto quel punto di vista, per lunghissimo tempo.
Tra il 1956 e il 1960, si susseguono gli arresti per intrusione, poi nasce Michael, la seconda figlia. Questa volta sana.
Nonostante le beghe con la legge, DeSalvo è una persona molto amata e rispettata da chiunque faccia la sua conoscenza. E’ un lavoratore esemplare, un buon padre e un marito amorevole.
Oltre all’incredibile fame di sesso, Albert ha però un altro grosso difetto: è un millantatore incallito, uno spaccone. Non riesce a stare indietro agli altri, perciò quando ne ha l’occasione spara delle grandissime balle per sentirsi importante.
Nel novembre del 1964, una donna racconta alla polizia che un uomo è penetrato nel suo appartamento, l’ha legata e imbavagliata e poi l’ha accarezzata e baciata a lungo minacciandola con un coltello.
Posta innanzi all’identikit dell’Uomo delle Misure, la donna riconosce il suo aggressore: adesso gli investigatori hanno un valido motivo per porre in stato di fermo il sospettato Albert DeSalvo.
Durante l’interrogatorio, DeSalvo ammette di aver fatto irruzione in almeno 400 appartamenti e di aver compiuto almeno due stupri. Trecento donne sarebbero state assaltate da questo maniaco sessuale in quattro stati diversi, ma è difficile stabilire quanto ci sia di veritiero in questa confessione, conoscendo la natura spaccona di Albert.
Secondo gli inquirenti è difficile supporre che DeSalvo sia anche l’Uomo dai Pantaloni Verdi, ma lo rinchiudono comunque nel piccolo carcere di Bridgewater.
Qualche mese dopo, nel marzo del 1965, l’avvocato F. Lee Bailey, difensore di Albert, chiama Irmgard DeSalvo e la situazione di suo marito sta per cambiare bruscamente.
Il giorno prima infatti, Albert DeSalvo ha confessato di essere lo Strangolatore. Non solo, alle 11 vittime “ufficiali” ne aggiunge 2, Mary Brown di Lawrence e di Mary Mullen, morta d’infarto prima che lui potesse strangolarla.
La moglie non crederà mai alla versione dei fatti di quel pazzo di suo marito. Fin da subito si convincerà che lui lo abbia fatto per ottenere un sacco di soldi dai giornali così da assicurarle un futuro roseo.
Il 6 marzo 1965, DeSalvo e l’avvocato F. Lee Bailey cominciano a registrare su nastro l’intera confessione. DeSalvo, freddo e distaccato, racconta nel minimo dettaglio ogni omicidio, soffermandosi sulla descrizione delle sue vittime, dei loro appartamenti, ricordando persino il colore degli arredamenti e la forma della mobilia. Dell’omicidio di Sophie Clark arriva addirittura a ricordare che la ragazza era mestruata e la marca del pacchetto di sigarette che si trovava sulla scrivania, vicino alla lettera lasciata a metà. Con il passare del tempo i dettagli diventano sempre più precisi. Per sicurezza, viene sottoposto anche a delle prove: l’impermeabile appartenuto ad una delle vittime viene messo insieme ad altri 14 molto simili. Invitato ad indicare l’impermeabile della vittima, DeSalvo indovina.
Le registrazioni terminano il 29 settembre del 1965, per un totale di 50 ore di nastri audio e di 2000 pagine trascritte.
La polizia ha finalmente tra le mani lo Strangolatore di Boston.
Di diverso avviso sono tutti coloro che hanno conosciuto Albert DeSalvo: la moglie e le figlie, i suoi datori di lavoro, il suo avvocato, uno psichiatra della prigione e addirittura degli agenti di polizia che hanno fatto amicizia con lui quando in passato si sono trovati spesso ad arrestarlo per intrusione.
A sostegno della loro ipotesi di innocenza, queste persone apportano diverse argomentazioni.
In primo luogo, nessuno dei testimoni oculari (alcuni di loro, come Kenneth Rowe e Marcella Lulka, hanno proprio parlato con lo Strangolatore) riconosce DeSalvo. Né in foto, né in disegno, né tanto meno dal vivo. Paradossalmente, le donne invitate a vedere DeSalvo in prigione rimangono spaventate da George Nassar, compagno di cella di Albert e amico. Una superstite addirittura lo indica come l’aggressore, convinta che si tratti di DeSalvo. Di Nassar si sa ben poco, solo che era in prigione per l’omicidio di un uomo e che era dotato di un quoziente intellettivo superiore alla media, oltre che di una buona capacità di manovrare le altre persone.
Tornando alla disputa sull’innocenza di DeSalvo, i suoi “amici” fanno notare che sul luogo degli omicidi sono state spesso rinvenute delle cicche di sigaretta, sempre della stessa marca, mentre DeSalvo (così come alcune delle sue presunte vittime) non è un fumatore.
Ci sarebbero poi le 50 ore di nastri audio, ma i sostenitori dell’innocenza hanno una soluzione anche a questo mistero.
A quanto pare, DeSalvo è dotato di una straordinaria memoria visiva, come confermano gli psichiatri che lo analizzano in carcere.

Il caso dello Strangolatore di Boston ha scatenato un incredibile bombardamento mediatico: giornali, telegiornali, bollettini speciali. Una rivista è arrivata a pubblicare le foto delle donne uccise e delle loro case, mentre alcuni dottori, per assaggiare la fama, hanno tenuto conferenze stampa non autorizzate nelle quali hanno descritto nei minimi particolari i risultati emersi dalle autopsie sulle vittime.
Non si può escludere che DeSalvo abbia imparato a memoria questa enorme mole di dati. Per di più, Albert è stato a lungo un topo d’appartamento in quegli stessi quartieri in cui sono avvenuti gli omicidi, perciò molto probabilmente conosce bene la struttura degli interni.
Alcuni parenti delle vittime, come Casey Sherman, nipote di Mary Sullivan (l’ultima vittima), sostengono inoltre che i particolari registrati non sono per niente esatti. Ci sono diverse incongruenze ed alcuni avvenimenti descritti non sono mai accaduti. Per esempio, DeSalvo omette il particolare del manico di scopa infilato nella vagina della studentessa 19enne e asserisce invece di averla violentata.
Inoltre, solitamente i Serial Killer danno la caccia ad un particolare genere di vittima e difficilmente cambiano il modus operandi, ma abbiamo più volte ribadito che le vittime dello Strangolatore di Boston sono abbastanza incompatibili tra loro.
Secondo i sostenitori di questa linea di pensiero dunque, Albert DeSalvo sarebbe soltanto un maniaco sessuale e un topo d’appartamento. Molto probabilmente, Mary Mullen è la sua unica “vittima”. La donna probabilmente sarebbe morta d’infarto dopo averlo colto a rubare in casa sua, non certo perché Albert ha tentato di stuprarla.
Secondo alcuni, forse almeno uno degli omicidi è stato compiuto proprio da George Nassar che ne avrebbe poi raccontato i particolari al compagno di cella.
Nonostante tutto, per lo Stato vanno benissimo le confessioni fornite dall’imputato, perciò, il 10 gennaio 1967, il processo può finalmente cominciare.
Il compito della difesa è insolito: gli avvocati devono difendere l’imputato dall’accusa di aver stuprato alcune donne e cercare di farlo dichiarare colpevole dei 13 omicidi dello Strangolatore. In questo modo si potrebbe ottenere il riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere e Albert potrebbe scontare la condanna in un ospedale psichiatrico anziché in una galera.
Tuttavia, per mancanza di prove, il loro piano fallisce e DeSalvo viene condannato all’ergastolo. Anche se per l’opinione pubblica è lo Strangolatore di Boston, per il tribunale si tratta semplicemente di uno stupratore seriale.
Una notte di novembre, nel 1973, Albert viene pugnalato a morte nell’infermeria della Walpole State Prison.
Il giorno prima di essere ucciso aveva telefonato al Dott. Ames Robey, uno degli psichiatri sostenitori della sua innocenza. Al telefono, Albert era apparso agitato e preoccupato e aveva proposto al dottore di vedersi il più presto possibile. Non da soli, Robey doveva presentarsi accompagnato da un reporter.
Lo psichiatra è certo che DeSalvo volesse rivelargli la vera identità dello Strangolatore.
Tra l’ottobre del 2000 e il dicembre del 2001, su richiesta delle famiglie DeSalvo e Sullivan, un’equipe medica, specializzata in omicidi del passato, ha condotto degli esami di DNA, tecnologia inesistente nel 1964, sui cadaveri riesumati di Albert DeSalvo e di Mary Sullivan. Sono stati esaminati 68 campioni tra capelli, sperma e tessuti vari, ma nessuna delle tracce lasciate dall’assassino sul corpo di Mary è risultata compatibile con DeSalvo.
Starrs, il capo dell’equipe medica che ha condotto le analisi, ha dichiarato: “Se fossi un membro della giuria, assolverei l’imputato ad occhi chiusi.”
Secondo i parenti di Mary Sullivan, se DeSalvo non ha ucciso la loro “antenata”, allora molto probabilmente non ha ucciso nemmeno le altre 12 donne. Lo Stato del Massachussets esclude una riapertura delle indagini sulla vera identità dello Strangolatore di Boston che, secondo molti, sarebbe ancora vivo e si aggirerebbe indisturbato nel New England.

Concludiamo con la seguente poesia, scritta da DeSalvo in prigione.
Here is the story of the Strangler, yet untold,
The man who claims he murdered thirteen women,
young and old.
The elusive Strangler, there he goes,
Where his wanderlust sends him, no one knows.
He struck within the light of day,
Leaving not one clue astray.
Young and old, their lips are sealed,
Their secret of death never revealed.
Even though he is sick in mind,
He’s much too clever for the police to find.
To reveal his secret will bring him fame,
But burden his family with unwanted shame.
Today he sits in a prison cell,
Deep inside only a secret he can tell.
People everywhere are still in doubt,
Is the Strangler in prison or roaming about?
TRADUZIONE:
Ecco a voi la storia mai narrata dello Strangolatore
L’uomo che rivendica l’uccisione di 13 donne giovani e vecchie.L’elusivo Strangolatore se ne va vagabondando nessuno sa dove.
Colpisce alla luce del giorno,
senza lasciare alcuna traccia.
Giovani o vecchie, le loro labbra sono sigillate
il segreto della loro morte non sarà mai rivelato.
Sebbene non sia sano di mente,
è troppo intelligente per essere scovato dalla polizia.
Rivelare il suo segreto lo renderà famoso
ma graverà la sua famiglia di una vergogna indesiderata.Oggi siede nella cella di una prigione,
Nel profondo conserva un segreto che può svelare.
Ovunque tutti sono ancora dubbiosi,
lo Strangolatore è in galera o vagabonda libero per il mondo?

DANIELE DEL FRATE 07-02-2006

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