Recensione e demo gioco horror Sweet Home
Edito da: Capcom, 1989
Sviluppato da: Capcom
Piattaforma: NES
Genere: Survival Horror
ROM del Gioco: Download
COMMENTO
REQUISITI MININI PC:
N/A
Per avere un’idea chiara del genere Survival Horror, scopriamo il titolo che ne è considerato il “capostipite”, il gioco che ha in un certo senso inventato questo genere. Correva l’anno 1989 e le console ad 8 bit ancora la facevano da padrone (nonostante fossero da poco apparsi i potentissimi modelli a 16 bit) – il mercato videoludico, che da noi era relativamente piccolo, in Giappone aveva già assunto una certa importanza commerciale. Probabilmente è stato proprio in quegli anni che i videogiochi sono entrati in una fase di “maturità”, sia commerciale, sia soprattutto creativa, ed hanno iniziato la loro strada verso il mainstream, sviluppandosi e creando dei veri e propri “generi”. Questi generi erano all’inizio intesi solo come un modo per catalogare lo stile di gioco (il cosiddetto gameplay), ma ben presto, complice la diffusione, iniziarono ad apparire diversi generi “ambientativi”, e mentre la “scuola” americana ed europea (fatta perlopiù di liberi programmatori e società modeste) ancora proponeva “giochini”, in Giappone il business era già divenuto qualcosa di molto più serio (lo era già da almeno 10 anni). Era da poco uscito il bestseller “Final Fantasy” (Squaresoft, 1987), che, sulla scia della fortunatissima (in Giappone) serie “Dragon Quest“, aveva contribuito a fissare i canoni di quello che sarebbe poi diventato il j-rpg per il pubblico internazionale negli anni a venire. Final Fantasy ed i suoi primi due seguiti, usciti a pochissimo tempo l’uno dall’altro, vendettero moltissimo, sia in Giappone che fuori. Alla Capcom devono essersi detti “Ehi, guardate quanto hanno venduto questi, perché non ne facciamo uno così anche noi?”. “Si, ma lasciamo perdere l’ambientazione generic-fantasy, facciamone uno con scheletri, zombie e fantasmi, dando anche dei nomi ai personaggi”. Ovviamente le mie sono solo supposizioni romanzate, sta di fatto che nel 1989 la Capcom esce sul mercato giapponese con questo “Sweet Home” (Suiito Homu) e vende subito moltissimo. Il gioco esce per la console che al tempo ancora dominava il mercato, ovvero il Nintendo Farmicom (il nostro NES), e come vedremo tra un attimo attinge a piene mani dal classico j-rpg proponendo però una tematica per i tempi nuova: l’essere catapultati in una situazione di orrore e cercare di uscirne vivi.
LA STORIA
La ricca Mamiya Ichirou è morta. Erano anni che nessuno la vedeva più. Viveva nella sua grande casa padronale, nel bosco, proprio vicino alla riva del lago, con suo marito, pittore. Per primo è sparito lui, poi, dopo qualche anno, è stata annunciata la morte della padrona di casa. L’enorme casa adesso è nelle mani dei curatori, che ne ordinano ogni genere di perizia, constatando che in molte parti cade letteralmente a pezzi. In particolare, è importante constatare lo stato di salute dei famosi affreschi dipinti dal marito di Mamiya, vere opere d’arte dal valore incalcolabile. L’ufficio dispone anche la produzione di un documentario sulla casa e su tutto quello che contiene, con lo scopo principale di scoprire quali e quanti affreschi Ichirou abbia dipinto. Viene quindi formato un “team” di 5 persone, ognuna con la propria area di competenza. C’è Kazuo, giornalista e regista, incaricato di dirigere il documentario, sua figlia Emi, che lo accompagna come tuttofare, Taro, il suo cameraman, l’infermiera Akiko ed infine Asuka, una… donna delle pulizie (la casa avrà infatti bisogno di una bella rassettata). I cinque partono alla volta della magione nel bosco, e caso vuole che vi arrivino proprio al calare della notte. Nonappena il gruppo entra nel piccolo giardino interno, però, una frana blocca loro la via d’uscita. I cinque sono intrappolati nella casa, ed il fantasma di Mamiya appare loro per informarli che non ha particolarmente gradito la loro intrusione. Dopo un momento di iniziale smarrimento, il gruppo decide affrontare la casa e scoprirne i segreti, per riuscire ad uscire vivi da quella situazione. A mano a mano che Kazuo ed i suoi compagni si addentrano nelle stanze della grande casa, vengono attaccati da creature da incubo, e poco per volta raccolgono indizi per scoprire il mistero della defunta padrona. Cosa è successo nella casa? Perché Mamiya non vuole che il gruppo se ne vada? E dove è finito suo marito? Kazuo ed i suoi dovranno scoprire tutto questo, pena entrare loro stessi a fare parte del mistero della magione. Per sempre.
REALIZZAZIONE TECNICA
Ovviamente dobbiamo prendere questo titolo per quello che è: un gioco per una macchina dalle limitate capacità rispetto a quelle attuali. La realizzazione tecnica è quindi un punto molto relativo: “Sweet Home” ha ben 18 anni sulle spalle, ed in 18 anni la tecnologia va avanti un bel po’. Non ha quindi senso, secondo me, giudicare il titolo confrontandolo con le produzioni odierne. Dirò quindi che “Sweet Home” è un j-rpg classico (e ci mancherebbe), forte di una grafica ad 8 colori abbastanza varia e chiara, e dotato di un commento sonoro adeguato alla storia. Il sistema di gioco prevede una fase di esplorazione delle stanze e dei corridoio della magione, intervallata dalle famigerate “random battles” (ovvero: gli avversari non sono disegnati a video e vi attaccano con probabilità casuale mentre vi muovete) – in questo caso la visuale passerà in prima persona. Il gioco è stato provato tramite un emulatore, ed i comandi sono molto semplici (il NES aveva solo 2 tasti sul pad, oltre alla croce direzionale). Qualunque PC degno di tale nome può farlo girare più che bene. Certo, giocarci sul NES sarebbe stato sicuramente meglio, ma il gioco non è mai uscito dal Giappone, per cui è di difficile reperimento.
FATTORE DIVERTIMENTO
Diverte? Abbastanza, anche se questo dipende fortemente dai gusti di chi gioca. Ovviamente non è un titolo per i maniaci della grafica ultrarealistica e del surround a 18 vie. Va preso per quello che è, un gioco classico, quadrato e non particolarmente facile, che però ha un certo valore intrinseco. Basti pensare che anni dopo un certo dipendente della Capcom, tale Mikami Shinji, vi si ispirò per un creare un gioco che non ha bisogno di presentazioni, ovvero Biohazard/Resident Evil. Se Sweet Home è stato il titolo seminale, Resident Evil ha fatto sbocciare il genere e lo ha portato sotto gli occhi di tutti. Il gioco scorre via tranquillo, il gruppo passeggia per le mappe cercando oggetti, armi ed indizi. Quando qualche brutta bestia decide di voler pasteggiare con Kazuo ed i suoi amici, l’azione passa in prima persona. Il combattimento è a turni, ed in un turno ogni personaggio può fare un’azione: Le azioni possibili sono: attaccare con l’arma equipaggiata, tentare di scappare, usare un oggetto (ogni membro del gruppo ha un oggetto personale che solo lui può usare, e che serve per combattere e per risolvere gli enigmi. Kazuo ha un accendino, Emi una chiave-passepartout, Akiko la cassetta del pronto soccorso, Taro la sua macchina fotografica, ed Asuka il suo fido aspirapolvere), chiamare aiuto (i personaggi sono infatti indipendenti, e non necessariamente viaggiano assieme) e pregare. Quest’ultima azione, in particolare, è quanto di più vicino alla “magia” i nostri personaggi si troveranno a sperimentare. Ogni componente del gruppo ha un certo numero di “punti preghiera”, che servono a generare diversi effetti (dall’attacco nel combattimento, alla cura, al salvarsi la vita in certi casi). I punti preghiera vengono ripristinati da determinati oggetti (che si consumano, anche se verso la fine ce n’è uno particolare che non si consuma). Gli oggetti per le cure sono abbastanza rari, specie all’inizio, e c’è la possibilità (anche se minima) di rimanere bloccati in una qualche situazione dalla quale non si riesce più ad uscire (i giochi, una volta, non perdonavano). Teniamo presente, poi, che le eventuali morti dei personaggi sono permanenti. Non c’è modo di resuscitare un personaggio morto ed il finale cambia a seconda di quanti personaggi sono riusciti a scappare vivi dalla villa.
FATTORE HORROR
Spaventa? Beh… se vi fate prendere dall’atmosfera, si, anche se sicuramente in modo molto ingenuo, per un giocatore del 2007. L’espediente che il gioco usa per spaventare è lo stesso che poi mutuerà anche Resident Evil (e non sarà la sola cosa mutuata da Sweet Home: confrontando i due titoli si notano diverse affinità), ovvero “lo zombie che esce a scatto dall’armadio“, il cercare di sorprendere il giocatore con qualche creatura o situazione horror che appare all’improvviso. Tutto, questo, ovviamente, nello splendore degli 8 colori. Comunque il gioco il suo lavoro lo fa, e la storia di fondo, pur se ovviamente già sentita nel 2007, ha un buon valore come eventuale novella dell’orrore. Il gioco presenta diversi personaggi che pur parlando quasi a monosillabi riescono ad avere un certo carisma, e lo scoprire che fine ha fatto il marito di Mamiya, o perché quest’ultima ce l’abbia così tanto con il mondo vale sicuramente il tempo speso sul gioco. Segnalo inoltre che in Giappone il gioco è uscito in contemporanea con un film horror dal medesimo titolo. Non so se il gioco abbia ispirato il film o viceversa (i plot dei due prodotti sono comunque molto simili), ma questo fa pensare che la Capcom credesse davvero nel progetto, ed avesse già intuito quale sarebbe stata la strada per il futuro. Se nel 1989 Sweet Home inventava il survival horror e spaventava i giocatori dei tempi, nel 1996 la sua evoluzione, Resident Evil, riusciva davvero a spaventare un po’ tutti, e vien da pensare che se non ci fosse stato questo titolo, la famosa scena in cui il protagonista incontra il primo zombie di Resident Evil che si gira lentamente e lo guarda, non ci sarebbe mai stata.
In una parola: SEMINALE
Un titolo che oggi possiamo riscoprire per apprenderne il valore storico, per capire come siamo arrivati ai giochi di adesso, e per divertirci con qualcosa che esula dai soliti FPS o arcade adventure in terza persona.
SCREENSHOT
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Testato su pc:
- Windows XP SP2
- 512MB RAM
- Pentium 4 HT 2.8Ghz
- ATI9200 64MB
- Scheda Audio AC97 5+1
- Gamepad PS2
- Usando l’emulatore FCE Ultra
NOTA
Questo titolo è stato recensito usando l’emulatore FCE Ultra, versione 0.97.5 su un pc Windows, in quanto il gioco non è mai stato tradotto dal giapponese. E’ edita una traduzione amatoriale pressoché completa in inglese.
Pregi:
- Ha inventato un genere.
- La realizzazione tecnica è funzionale ma efficace.
- La storia è abbastanza buona.
Difetti:
- E’ un gioco del 1989 (ma questo paradossalmente potrebbe pure essere un pregio).
- Non perdona, il gioco è obiettivamente difficile.
- Bisogna giocarlo in inglese, e con un emulatore.
FABIO FRANCHELLO
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