La Costruzione Mediatica del Delitto

Tesi

Il lavoro di ricerca effettuato, dal titolo “La costruzione mediatica del delitto: una ricerca sulle trasformazioni della stampa quotidiana”, è stato diviso in tre parti. Nella prima si sottolinea quanto la cronaca sia diventata nell’ultimo decennio l’attività principale su cui s’imperniano i quotidiani. Ci si è resi conto che i progressi della tecnologia hanno influito sull’istantaneità e sull’immediatezza, per poter riportare i fatti in tempo reale e così tante notizie che passano in secondo piano (dallo spazio culturale all’intervista politica passando per gli eventi mondani e di costume) diventano freddi e quindi consumabili in qualunque momento. La priorità va data ai fatti di cronaca: omicidi, rapine, sequestri, ma anche la politica spicciola, cioè lo scambio di battute fra due fazioni oppure il Disegno di Legge epocale che tiene banco per diversi giorni in tutti i mezzi di comunicazione. Ecco perché molto spesso tv, quotidiani e radio si dilungano per giorni e giorni su un dato evento. Molto spesso si pensa che ai giorni nostri sia il dio denaro o il politico di turno a governarci e farci scegliere cosa e come fruire dei mass media eppure il sano principio che vede al centro dell’attenzione il lettore non è stato attaccato, né scalfito. Siamo noi “consumatori” a decidere come nutrirci e con cosa, il ventaglio di offerte è così vario da farci girare la testa. Eppure i dati e le notizie vengono date a seconda del target. Gli editori e i direttori si basano su dati statistici: la vendita del prodotto e il “peso” delle notizie riportate. Se Sparta piange, Atene non ride. L’offerta è aumentata a dismisura, eppure noi italiani, siamo tra gli ultimi al mondo in quanto ad acquisto e lettura dei giornali. Sono dati empirici questi, anche se dobbiamo tenere conto del fatto che in noi è innata la cultura di leggere il giornale o il settimanale al bar, nella sala d’attesa del medico, a differenza di altri paesi, soprattutto del Nord Europa dove il quotidiano viene acquistato da tutti; nella seconda fase si è deciso di introdurre al triste fenomeno del serial killer. Si è cercato di capire chi è, qual è il suo modo di agire, perché uccide. Abbiamo notato che è in aumento nei paesi industrializzati e quindi occidentali, con gli Stati Uniti che guidano questa classifica. Ma perché vi è una maggiore incidenza proprio fra gli occidentali? La domanda trova una facile risposta: nella nostra società dedita al consumismo, dove il benessere è all’ordine del giorno e tutti hanno la possibilità di poter vivere agiatamente, ci sono alcuni soggetti che non riescono ad inserirsi per tanti motivi. Problemi psicologici dovuti a traumi infantili, menomazioni fisiche, difficoltà ad entrare a contatto con la società. E’ proprio la società che “partorisce” queste anomalie. Siamo sempre alla ricerca della perfezione, un esempio sono le pubblicità o le immagini che ci manda la tv con corpi statuari, che non fanno altro che reprimere chi ha problemi e quindi si sente un emarginato, un escluso e quindi non essere degno di quella cerchia di persone. Ecco dunque che problemi e rabbie represse per anni sfociano in brutali omicidi. Il rituale che adotta il serial killer ha un preciso disegno: sfogare i propri problemi su persone innocenti o che comunque possono somigliare tanto a chi ha fatto loro del male (è il caso di Donato Bilancia, che uccideva le donne nei treni, perché diversi anni prima il fratello si fece travolgere da un treno, con il bambino, perché fu abbandonato dalla moglie). Sono soprattutto gli uomini ad essere visti come assassini seriali, eppure, anche le donne sono in grado di uccidere allo stesso modo. Le cause sono anche diverse, soprattutto parliamo di gelosia. Nella terza e ultima fase abbiamo realizzato un mix di quanto avvenuto nel primo e nel secondo capitolo, mettendo in pratica quanto finora era stato soprattutto teorico, seppur provenisse da elementi constatabili ogni giorno. Ci siamo soffermati solo sull’Italia, consapevoli che la mole di lavoro avrebbe distolto l’attenzione dal lavoro principale, mettere a confronto i mass media (nella fattispecie i quotidiani) con il fenomeno serial killer. Fortunatamente nel nostro Paese i casi non sono stati numerosi, eppure ogni volta che si sono verificati hanno sempre lasciato il segno. La nostra attenzione è stata rivolta all’ultimo trentennio del XX secolo, a tre soggetti tanto diversi l’uno dall’altro in ogni loro forma: età, cultura, ambienti in cui sono cresciuti, vittime prescelte, opinioni delle persone che vivono nella loro comunità e quindi ogni giorno sono a stretto contatto con loro, modus operandi, ma legati da una scia di sangue che difficilmente potrà essere dimenticata. Michele Vinci, Roberto Succo e Donato Bilancia.
Mettiamo in pratica quanto scritto nel secondo capitolo, in cui si delineano le varie tipologie di serial killer e vediamo a quale di essa appartengono i tre soggetti.

  • Michele Vinci è un offender disorganizzato perché rispecchia quei parametri spiegati nel secondo capitolo, in cui si delinea la personalità dell’assassino. Egli rispetta le sette fasi dello psicologo Joel Norris, solo che invece di smembrare la piccola Antonella, le da’ fuoco e occulta i cadaveri delle sorelline.
  • Roberto Succo esce in parte dagli schemi delineati è un offender disorganizzato imperfetto, poiché rispecchia quasi tutti i parametri tranne quello di un livello culturale basso, visto che i suoi compagni di classe e chi lo conosceva lo ritenevano un ragazzo intelligente e di grandi speranze. Rispecchia tutte le sette fasi di Norris perché cerca di occultare i cadaveri dei genitori, soprattutto quello della madre.
  • Donato Bilancia, al contrario degli altri due, è un offender organizzato, però riscontriamo in lui sei fasi su sette. Manca quella totemica, poiché non smembra le sue vittime né occulta i cadaveri, ma uccide e basta, cercando (solamente quando non uccise prostitute) di derubarle dei propri averi: soldi e gioielli.

ORAZIO BONFIGLIO

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