La Costruzione Mediatica del Delitto
La rappresentazione dei Serial Killer: una ricerca su “Corriere della Sera” e “Gazzetta del Sud”
Nel vasto universo dei serial killer che hanno insanguinato i Paesi di tutto il mondo, soprattutto gli Stati Uniti ci soffermiamo solo sull’Italia e nella fattispecie analizzeremo i decenni ’70, ’80 e ’90, concentrandoci solo su un caso per volta, attraverso la lettura dei giornali, “Corriere della Sera” e “Gazzetta del Sud”, mettendo a confronto i momenti storici diversi: titoli, spazio dedicato, aggettivi usati, utilizzo delle fotografie, descrizione da parte della comunità di riferimento, confronto tra articoli soprattutto nella descrizione di questi personaggi. Il confronto va fatto sotto il punto di vista dello spazio che viene dedicato loro dai giornali analizzati e quindi titolo, posizione in pagina (se in prima o all’interno), l’enfasi degli stessi titoli, ma anche attraverso la descrizione di questi soggetti subito dopo la cattura. La comparazione è possibile perché fra i tre casi analizzati vi sono altrettanti decenni e così si può avviare un raffronto. Per gli anni ’70 abbiamo analizzato Michele Vinci, noto come il “mostro di Marsala”, per aver ucciso tre bambine di cui una era la nipote; per il decennio successivo analizzeremo Roberto Succo, noto a tutti come “l’assassino della luna piena”, giovane veneto, che si uccise a 25 anni prima di subire un regolare processo. Negli anni ’90 e così completiamo l’esposizione, l’ultimo serial killer in ordine di tempo. Secondo alcuni il più sanguinario, quello che più si avvicina ai cosiddetti serial killer di stampo americano: Donato Bilancia, genovese, carnefice di diciassette persone, nessuna di loro aveva punti in comune con l’altra eppure sono finite tutte sotto le sue mani. Coppie, biscazzieri, prostitute, cambiavalute, benzinai, metronotte, semplici viaggiatori in treno.
III. 1 La storia dei serial killer narrata attraverso i titoli dei giornali
Michele Vinci (il mostro di Marsala) – 1971
La nostra analisi parte dagli anni ’70 e lo facciamo proprio dalla nostra terra, la Sicilia. Sono gli anni della crisi petrolifera e delle migrazioni verso il nord Italia ed Europa. L’osservazione avviene attraverso il quotidiano della nostra provincia, la “Gazzetta del Sud” ed il caso da esaminare è quello di Michele Vinci, noto come il “mostro di Marsala”. Il giornale messinese dedica sempre la prima pagina sin dalla scomparsa delle bambine, con due foto:
“Scomparse tre bimbe a Marsala” (Prima pagina, GazSud 23/10/1971).
Dopo la notizia della scomparsa il quotidiano che stiamo osservando, interrompe il suo silenzio quattro giorni dopo, quando avviene il ritrovamento di una delle tre bambine, Antonella Valenti, torturata dal suo aguzzino. Da ora in poi verrà sempre definito come “mostro”. Nella cifra stilistica del quotidiano notiamo l’uso di un ampio reportage soprattutto nel catenaccio, che risulta vasto, diversamente da quanto accade oggi, dove titolo, occhiello e catenaccio, sono molto sintetici:
“Una delle tre bimbe di Marsala seviziata, uccisa, data alle fiamme. Caccia al mostro dopo il ritrovamento del corpo di Antonella Valenti. Il cadavere della piccola vittima dell’allucinante tragedia, trovato per caso da un automobilista in una scuola rurale in costruzione: mani e piedi legati, la testa stretta in fogli di plastica, il corpo avvolto in fogli di giornale. I cani poliziotto hanno condotto gli inquirenti al casolare di un uomo di 33 anni (proprietario di una “500” blu) che è stato messo a confronto col benzinaio tedesco, poi interrogato in carcere dal procuratore della Repubblica Terranova e quindi rilasciato” (Prima pagina, GazSud 27/10/1971).
Le indagini proseguono a ritmo serrato e la “Gazzetta del Sud”, ne darà notizia ogni giorno, sempre in prima pagina, fino alla cattura del responsabile. Il giorno dopo il ritrovamento, si fanno le prime ipotesi e viene individuato qualche soggetto. Si tratta di un ex operaio che viene immediatamente interrogato, nel frattempo, però, il procuratore della Repubblica, dottor Terranova (di cui la “Gazzetta del Sud” ricorda sempre ai suoi lettori le origini messinesi):
“Catturato il mostro? Sulla pista buona gli inquirenti di Marsala. Un ex operaio dello stabilimento cartotecnico dove si adopera il nastro con il quale il bruto ha legato e imbavagliato Antonella Valenti, è stato prelevato dagli inquirenti e trasportato in un luogo segreto, lontano dai pericoli del linciaggio. Pesanti gli indizi a suo carico. E’ sposato con una sedicenne e abita nella zona dello Stadio. Pessimista anche il dottor Terranova sulla sorte delle altre due bambine: “Ormai cerchiamo due cadaveri”. Tutta la città ai funerali della bimba assassinata dal folle”. (Prima pagina, GazSud 28/10/1971).
Il ventaglio degli indiziati si allarga fino a sette persone, ma al tempo stesso si fanno ipotesi su chi possa aver seviziato la piccola Antonella e a questo punto, ucciso anche le sorelle Marchese. Il giornale ipotizza un parente. Intanto la popolazione di Marsala ad ogni sospettato avvia una sorta di ritorsione andando a linciarlo o causando dei danni alle proprietà dei sospettati:
“Si stringe il cerchio attorno al mostro. Marsala: Sette persone indiziate. Rilasciato ma non scagionato il giovane verniciatore. Una folla esasperata ha tentato di dare l’assalto alla sua casa e di fare giustizia sommaria. Sospetti anche su un parente della povera Antonella. L’assassino privò di elettricità una vasta zona per compiere il misfatto”. Caso di mitomania (Prima pagina, GazSud 29/10/1971).
Iniziano a trapelare i particolari sulla morte di Antonella Valenti, grazie all’autopsia effettuata a Palermo ed a quanto pare non si tratta di un uomo solo. Nel frattempo le indagini proseguono e l’indiziato numero uno è il benzinaio Hans Hoffman e ancora una volta i cittadini marsalesi si scagliano contro le sue proprietà: il distributore di carburante:
“Antonella fu seviziata da più di una persona. Sempre più sconvolgente il giallo di Marsala. Questa agghiacciante ipotesi sarebbe emersa dall’esame di alcune parti del corpo della bambina eseguito dal direttore dell’istituto di medicina legale dell’università di Palermo. Suspense per una “500” trovata abbandonata da due vigili urbani: ma era un’auto in panne. Danneggiato a sassate il distributore del benzinaio Hans Hoffman”. (Prima pagina, GazSud 31/10/1971).
Lo spazio che la “Gazzetta del Sud” concede al caso, procede a ritmi serrati e le notizie, sempre in prima pagina, fanno il giro: una volta spalla, un’altra taglio basso, medio o alto. Sulle indagini il procuratore Terranova scagiona il benzinaio perché l’auto che si cerca è una “600” e non più una “500”:
“Marsala: ora si indaga sugli “insospettabili”. Gli inquirenti ricominciano da zero. Il procuratore dottor Cesare Terranova ha affacciato una nuova ipotesi: Antonella Valenti non avrebbe subito
“laceranti violenze”, ma contemporaneamente ha escluso la tesi della vendetta. Cade la pista della “500” blu indicata dal benzinaio tedesco; adesso si cerca una “600” chiara rubata al proprietario il giorno del rapimento. Un impiegato pittore interrogato e poi rilasciato”. (prima pagina, GazSud 2/11/1971).
Visto che non si riesce a trovare il colpevole e soprattutto non si trovano ancora le altre due bambine, il quotidiano che stiamo analizzando, attua un silenzio di quattro giorni. Si torna a parlare delle indagini, quando un mitomane, e sono tanti nei paesi quando c’è l’eco dei media che ogni giorno sono presenti, manda una lettera anonima suggerendo che le indagini devono essere indirizzate verso un amico delle famiglie delle bimbe:
“Ninfa e Virginia Marchese sono sepolte nel cimitero? L’inquietante giallo di Marsala. Una lettera anonima ha suggerito questa nuova ipotesi (che gli inquirenti stanno controllando), avvertendo che il criminale assassino è un amico delle famiglie delle bambine rapite”. (prima pagina, GazSud 6/11/1971).
Dopo questa fiammata che accende la speranza in tutte le persone di buon senso, il quotidiano messinese torna in silenzio per altri quattro giorni. Ma quando si torna a parlare del caso delle tre bambine, è la volta in cui il “mostro” viene assicurato alla giustizia. Si tratta dello zio di Antonella, Michele Vinci, il quale, crollato al tiro di fuoco di domande poste dagli inquirenti, confessa e porta alla luce anche gli altri due cadaveri:
“Il mostro ha confessato. E’ lo zio di Antonella! Assicurato alla giustizia il turpe criminale di Marsala. Michele Vinci, 30 anni, fattorino della cartotecnica “San Giovanni”, è crollato ieri notte sotto l’incalzante interrogatorio del procuratore della Repubblica, il messinese Cesare Terranova, che nella mattinata aveva messo a confronto l’abietto assassino con almeno 20 persone. I cadaveri delle due sorelline Marchese buttati in una cava di tufo. Il nastro adesivo e la testimonianza del benzinaro tedesco sono stati i punti cardini per l’esito delle difficili indagini. Spiegamento di forze per evitare il linciaggio. All’interno. continuazione dell’articolo dalla prima pagina con il medesimo titolo”. (GazSud, 10/11/1971).
Assicurato alla giustizia e soprattutto reo confesso, non ci sono più dubbi sull’assassino. Il giorno successivo alla cattura, il giornale riporta la ricostruzione fatta dallo stesso Vinci. Le sorelle Marchese sono state assassinate perché amiche di Antonella e quindi possibili testimoni. Intanto il “mostro” viene trasferito a Ragusa per evitare pesanti ritorsioni. Nell’istituto ibleo vi entra anonimo anche per non subire ripercussioni dagli altri detenuti:
“Ha sacrificato le due sorelline per restare solo con Antonella. Ninfa e Virginia Marchese si sono abbracciate prima di morire nella cava di tufo. Michele Vinci, il mostro, è stato definito “feticista” (una tara sessuale) dal procuratore della Repubblica di Marsala, dott. Terranova. L’agghiacciante ricostruzione di quel tragico pomeriggio del 21 ottobre. Il criminale (“non è un pazzo”) trasferito nelle carceri di Ragusa per sottrarlo alla giustizia popolare o alla reazione dei detenuti suoi compaesani. Dolore ed esecrazione per la fine atroce delle innocenti compagne della Valenti”. Dopo titolo, occhiello e catenaccio in tre tondi si trovano altrettante foto di Vinci con il titolo: I volti del nuovo “Mr. Hyde”. (prima pagina, GazSud, 11/11/1971).
Il quotidiano cavalca l’onda del sensazionalismo, poiché la gente vuole capire come un uomo, giovane, possa aver seviziato ed ucciso tre bambine di cui una era proprio la nipote. Entra nei particolari e analizza la persona di Michele Vinci, i luoghi in cui è vissuto e tutti quelli che in un modo o nell’altro hanno avuto rapporti con lui, con foto che mettono sempre in primo piano Vinci e poi le foto della famiglia prima e dopo la tragedia, più quella di due uomini che hanno trovato i corpi delle due bambine:
“Ricostruita la terribile agonia di Ninfa e Virginia dopo una ispezione in fondo al “pozzo della morte”. Sono morte per asfissia, fame e freddo dopo aver cercato disperatamente una via d’uscita. I proprietari del fondo di contrada Amabilina hanno detto che il mostro conosceva l’esistenza della cava e sapeva come entrare nella proprietà per avere attinto acqua da un pozzo vicino per la cartotecnica “Sangiovanni” – Rinvenuti alcuni indumenti delle bambine nel corso del secondo sopralluogo cui ha assistito il padre delle piccole- spiegato il motivo dell’assenza di fratture nei corpi delle due povere sorelline nella caduta dall’altezza di 27 metri – resta da chiarire dove Michele Vinci ha tenuto prigioniera Antonella Valenti per tre giorni, prima di ucciderla e abbandonarne il corpo nella scuola – rudere”. (pagina interna, GazSud, 13/11/1971).
Appurato e accertato che si è trattato di Michele Vinci, tra l’altro reo confesso, saltiamo tutta la fase del processo per arrivare direttamente al momento in cui viene condannato ed arriviamo al 1975, con la richiesta di ergastolo da parte del Pm:
“Ergastolo: pena che Michele Vinci dovrebbe espiare insieme con altri. Le richieste dell’accusa al processo di Trapani. Per Guardato il Pm ha chiesto l’assoluzione per insufficienza di prove. Interruzioni da parte degli avvocati della famiglia Marchese. I corpi delle sorelline- secondo la requisitoria- non furono nascosti dall’imputato”. (Pagina interna, GazSud, 5/7/75).
Due giorni dopo tocca all’arringa del difensore, il quale sostiene che Vinci sia un pover’uomo e che non avrebbe ucciso le tre bambine:
“Vinci non uccise le tre bambine. L’arringa del difensore. Secondo l’avv. Esposito, è un povero straccio destinato a pagare per tutti. Critiche all’andamento delle indagini e del processo”. (Pagina interna, GazSud, 7/7/1975).
Il caso si chiude in estate, Michele Vinci il “mostro di Marsala”, viene condannato all’ergastolo. La “Gazzetta del Sud” raccoglie anche le sue parole subito dopo la sentenza:
“L’ergastolo a Michele Vinci. Concluso il processo al “mostro” di Marsala. Non ho ucciso nessuno, chiedetelo a mio cognato Valenti ha gridato l’imputato udendo la sentenza. Assolto Guardato (per non aver commesso il fatto).” (GazSud, 11/7/1975).
Al processo d’appello, celebrato nel Dicembre del 1976, la pena per Michele Vinci è stata ridotta a trent’anni. E’ un uomo libero dal 2002 e vive in provincia di Viterbo.
Roberto Succo (l’assassino della luna piena) – 1981/1988
Per il decennio degli anni ’80 porteremo la nostra lente d’ingrandimento su Roberto Succo, 19 anni, noto a tutti come “l’assassino della luna piena”, un giovane veneto, che uccise il 12 Aprile 1981 i propri genitori per una lite causata dal prestito della macchina, ma la notizia secondo la redazione del “Corriere della Sera” non è da prima pagina e così viene inserita nelle pagine di cronaca:
“Un appuntato di polizia e la moglie uccisi a Mestre: si cerca il figlio. . L’uomo è stato strangolato, la donna accoltellata”. (Pagina interna, CorSera, 12/4/1981).
Gli indizi portano immediatamente sulle tracce del figlio Roberto e così sin da subito gli inquirenti cercano di rintracciarlo, poiché lui è scomparso e non sono stati rinvenuti né la pistola d’ordinanza del padre di Roberto, né l’auto contesa, un’Alfa Sud. Due giorni dopo viene arrestato, dopo una colluttazione a Trieste. Questa volta la notizia ha ancora minore spazio perché si trova pur sempre nelle pagine interne, ma il quotidiano milanese dedica poche righe:
“Preso in Friuli il liceale che forse ha ucciso i genitori”.
“Movimentata cattura ieri pomeriggio a San Pietro al Natisone, in Friuli, del liceale diciannovenne Roberto Succo, sul quale grava il sospetto di aver ucciso a coltellate il padre Nazario, 49 anni, e la madre Maria Lamon, 40 anni (…). Un sottoufficiale è entrato e si è avvicinato al banco dove si trovava il giovane. Questi però ha intuito di essere stato scoperto ed ha estratto una pistola Beretta calibro 9 lungo (quella di ordinanza del padre). (Pagina interna, CorSera, 14/4/1981).
Di Roberto Succo, il quotidiano che abbiamo deciso di analizzare, non da’ più notizia, intanto, l’8 Ottobre 1981 viene dichiarato schizofrenico dal Tribunale di Venezia e viene internato in un ospedale psichiatrico di Reggio Emilia, dove dovrà restare sotto osservazione per dieci anni. Ma solo dopo sei anni, grazie ad alcuni permessi studio, si da’ alla fuga. Siamo nel 1986. Di lui si perdono le tracce fino all’11 Febbraio 1988, quando la polizia francese identifica in Succo il responsabile di diversi (omicidi sei secondo la polizia francese). In una “breve” (definita così una notizia di 5-6 righe) riappare nelle cronache, pagina esteri, l’assassino mestrino:
“Francia, ricercato italiano accusato di assassinio”. (Pagina esteri, Corsera, 12/2/1988).
Riesce a fuggire alla gendarmerie francese e torna in Italia. La visita ad un’amica gli è “fatale”, viene arrestato dalla polizia italiana a Treviso.
“Sono Succo, professione serial killer. Catturato l’“assassino della luna piena”, 6 omicidi. La trappola della polizia è scattata a Conegliano, dove era andato a fare visita a una vecchia amica. Ha già confessato. Venticinque anni, un faccino pulito, occhi azzurri, in Francia ha lasciato una scia di sangue ed era il pericolo pubblico numero uno. Dopo aver ucciso il padre e la madre a Mestre nell’81, era fuggito dal manicomio criminale” (Pagina interna, Corsera, 1/3/1988).
Roberto Succo, non smette di stupire tutti, polizia e non, e qualche ora dopo l’arresto e l’ingresso nel perimetro del carcere trevigiano, riesce ad inscenare un’evasione degna del miglior cineasta (è immortalato dai giornali quando con la corda scavalca le mura di cinta del carcere). Ancora una volta, però, il “Corriere della Sera” non gli dedica la prima pagina, nonostante il gesto eclatante.
“Il killer volò dal tetto del carcere. Ha atteso le telecamere e ha urlato: “perché non mi sparate?”. Più uno show esibizionistico che un tentativo di fuga l’impresa dell’“assassino della luna piena”. Roberto Succo, 6 omicidi in Francia (dopo l’assassinio della madre e del padre), ha eluso la sorveglianza a poche ore dalla cattura. Spogliarello e comizio. Dopo uno spericolato passaggio “alla marinara” è precipitato in cortile fratturandosi 4 costole”. (Pagina interna, CorSera, 2/3/1988).
Succo, dopo soli due mesi torna a far parlare di sé, ma questa volta lo fa dal carcere stesso. Il 23 Maggio 1998 si suicida nella sua cella d’isolamento dell’infermeria nel carcere di Vicenza, facendolo con un sacchetto di plastica avvolto in testa e una bomboletta di gas. E’ adesso che il quotidiano analizzato, porta in prima pagina il caso Succo. Lo fa, senza concedergli tanto risalto, ma inserendo per la prima volta una foto del serial killer della “luna piena”.
“Suicida in carcere Succo, killer senza frontiere”. (Prima pagina, CorSera, 24/5/1988).
Nella pagina interna, dopo aver narrato il fatto del suicidio, il giornalista Gian Antonio Stella, racconta la storia di Roberto Succo, dall’omicidio dei genitori ai sei in Francia, alla grande fuga dal carcere di Treviso, alle perizie psichiatriche, fino alle dichiarazioni degli amici di gioventù.
“Succo “assassino della luna piena” ha fatto l’ultima vittima:se stesso. Il killer folle si è asfissiato in cella a Vicenza col gas del fornellino. Lo ritenevano timido e colto, ma ammazzò prima i genitori e poi sei persone in Francia. Proprio l’altro ieri la perizia definitiva: “totalmente infermo di mente, pericolosissimo”. (Pagina interna, Corsera, 24/5/1988).
Con il gesto estremo del suicidio cala il sipario sulla vita di un ragazzo su cui i genitori riponevano tanta fiducia e speranze, ma che si è trasformato in uno spietato serial killer europeo. La vita di Roberto Succo è stata scritturata per un film andato nelle sale cinematografiche nel 2001 e presentato al famoso concorso di Cannes.
Donato Bilancia (Serial killer delle prostitute e dei treni)- 1997/1998
L’analisi dei serial killer italiani si chiude con Donato Bilancia, il più sanguinario degli assassini seriali che il nostro Paese abbia mai conosciuto, soprattutto perché ha un ucciso un numero spropositato di persone in un breve periodo di tempo, dall’Ottobre del 1997 all’Aprile del 1998. Coppie, pensionati, metronotte, ma soprattutto è per l’omicidio delle prostitute in treno che l’opinione pubblica ricorda Bilancia. Con il primo omicidio, che poi è duplice dato che ha assassinato una coppia di sposini appena rientrati dalla luna di miele, si pensa a tutt’altro anche se resta fitto il mistero.
“Assassinati in casa appena rientrati dalle nozze. Giallo a Genova: gli sposi uccisi con un colpo di pistola alla nuca. Avevano aperto la porta a qualcuno che conoscevano”. (Prima pagina, taglio basso, CorSera, 25/10/1997).
“Luna di miele con duplice omicidio. Le vittime sono un rappresentante quarantaduenne e la moglie di 34 anni: li hanno trovati seminudi e imbavagliati a letto. Coppia genovese massacrata al ritorno dal viaggio di nozze, svuotata una cassaforte”. (Pagina interna, Corsera, 25/10/1997).
Passano pochi giorni e Bilancia colpisce ancora una coppia, questa volta si tratta di anziani, proprietari di un’oreficeria. La pista che gli inquirenti seguono è quella dell’usura, poiché le indagini sulla prima coppia hanno rilevato un intreccio con il totonero. Anche il sindaco dell’epoca, Adriano Sansa s’interroga:
“Genova come in un incubo: assassinata un’altra coppia. Dopo i giovani sposi, uccisi due anziani coniugi che avevano una piccola oreficeria. Il sindaco Sansa: non riconosco più questa città”. (Prima pagina, taglio basso, Corsera, 28/10/1997).
“Doppio giallo a Genova: uccisa un’altra coppia. Ma la polizia non si sbilancia: solo nessi casuali con il delitto “mafioso” dei coniugi ammazzati venerdi. Moglie e marito di 65 e 71 anni, trucidati nel loro appartamento di Marassi e derubati dei girelli. La domestica si è salvata nascondendosi su un balcone”. (Pagina interna, Corsera, 28/10/1997).
Delle “gesta” di Bilancia si perdono le tracce, sul quotidiano che stiamo analizzando, per circa due mesi. Nonostante tutto la scia di sangue in Liguria prosegue e la città capoluogo non riesce a darsi una spiegazione. La nuova vittima è un metronotte assassinato mentre stava entrando nell’ascensore:
“Cinque delitti, nessun colpevole. Metronotte ammazzato con un colpo nell’ascensore. Il cadavere scoperto da un magistrato che abita nel palazzo. Incubo a Genova. Un altro mistero nel caso degli sposini massacrati a letto”. (Pagina interna, Corsera, 26/1/1998).
Nonostante il silenzio mediatico le indagini proseguono, ma gli inquirenti non riescono a trovare il bandolo della matassa. L’esecutore dei cinque omicidi resta avvolto nel mistero; molto spesso ’omicidio di una prostituta può cadere, purtroppo, nell’indifferenza e difatti è così, perché il “Corriere della Sera” riporta in una “breve” l’omicidio di un’altra prostituta in pochi giorni, questa volta in provincia di Savona:
“Savona, assassinata altra prostituta”. (Pagina interna, breve, Corsera, 19/3/1998).
Dopo un periodo di pausa l’attività omicida di Bilancia riparte con slancio e così dopo le due prostitute, “sconfina” in Piemonte ed uccide a Novi Ligure. Questa volta a cadere sono due guardie giurate, perché lo avrebbero sorpreso in auto con un viado:
“Lo sorprendono con il viado, fa una strage. Caccia a un uomo con un’auto di grossa cilindrata: ha ucciso perché temeva fosse riconosciuto. Le vittime finite con un colpo di grazia. Novi Ligure, due guardie giurate assassinate a sangue freddo. Grave anche il transessuale”. (Pagina interna, taglio basso, CorSera 25/3/1998).
La Liguria ripiomba nella paura perché poche settimane dopo il fatto di Novi Ligure, Bilancia rientra nella sua Regione e lo fa ancora una volta prendendo di mira le prostitute:
“A Pietra Ligure, prostituta uccisa. Incubo serial killer (Prima pagina, taglio basso, CorSera 15/4/1998).
“Prostituta uccisa, caccia al serial killer. Nuovo delitto in Liguria: fatta inginocchiare e freddata con un colpo alla testa”. (Pagina interna, Corsera 15/4/98).
L’ultimo omicidio attira l’attenzione della stampa e così il giorno dopo si cerca di fare un punto della situazione:
“Serial killer delle prostitute: una calibro 38 la chiave del giallo. Savona: gli investigatori stanno cercando di rintracciare tutti i clienti annotati sull’agenda della giovane assassinata a Pasquetta”. (Pagina interna, taglio basso, Corsera, 16/4/98).
Bilancia non ferma il suo folle piano e così si procura l’appellativo di “serial killer dei treni”, perchè ha scelto proprio il treno per compiere i suoi delitti. L’ultima vittima in ordine di tempo è un’infermiera, il giorno di Pasqua:
“Uccisa in treno con un colpo alla nuca. Misterioso delitto il giorno di Pasqua nella toilette dell’intercity La Spezia- Venezia. La donna stava tornando a Milano. Un giallo l’assassinio dell’infermiera, aveva lasciato dai genitori in Liguria la figlioletta”. (Pagina interna, Corsera, 17/4/1998).
Dopo sette mesi di scorribande per tutta la Liguria, con una parentesi in Piemonte, il serial killer, assume un volto. C’è un identikit. Una persona lo avrebbe visto quando ha ucciso l’infermiera.
“Supertestimone per il delitto del treno, caccia al serial killer. Il caso dell’infermiera uccisa: c’è un identikit, è l’assassino delle prostitute di Savona?” (Prima pagina, taglio basso, CorSera, 18/4/1998).
“Il giallo del delitto sul treno, c’è un identikit? Un supertestimone avrebbe visto l’assassino. Forse un collegamento con il serial killer delle prostitute”. (Pagina interna, CorSera, 18/4/1998).
Nonostante gli investigatori si trovino sulla pista del serial killer, Bilancia non s’impaurisce e colpisce ancora. E’ di nuovo il treno la scena del crimine e ancora una volta una donna.
“Un’altra donna uccisa in treno. Ventimiglia, colpo di pistola alla testa”. (Prima pagina, spalla, taglio alto, CorSera 19/4/1998).
Dopo quest’omicidio, trascorrono venti giorni e anche il silenzio dei media contribuisce all’arresto dell’uomo. Ad incastrarlo la testimonianza del viado scampato alla morte nell’auto di Novi Ligure.
“Serial killer, un arresto a Genova. Donato Bilancia, 47 anni sarebbe stato riconosciuto dal supertestimone Julio Castro. Coinvolto anche sui delitti nei treni? L’uomo è accusato di aver ucciso una prostituta nigeriana ed è indiziato per altri cinque omicidi”. (Prima Pagina, taglio medio, CorSera 7/5/1998).
“Serial killer della Riviera, un arresto a Genova. Lo incastrano una pistola, il Mercedes, il test del Dna e la testimonianza del viado sfuggito alla morte”. (Pagina interna, CorSera 7/5/1998).
Nei giorni successivi all’arresto il capo d’accusa per Donato Bilancia s’ingrossa sempre di più e così viene accusato per gli omicidi dei treni:
“E’ il killer dei treni, ci sono le prove. Secondo gli investigatori, la pistola di Donato Bilancia avrebbe sparato in tutti gli omicidi della Riviera. Nuove accuse per l’uomo arrestato a Genova: avrebbe ucciso anche un cambiavalute”. (Prima pagina, taglio medio, CorSera 9/5/1998).
“Prime conferme: il serial killer dei treni è Bilancia. Uccise anche il cambiavalute. Lui: “Venderò un memoriale e il ricavato andrà alle persone cui ho fatto del male”. (Pagina interna, CorSera 9/5/1998).
Il processo d’appello si conclude il 14 Febbraio 2001 con la condanna a 13 ergastoli e 28 anni di carcere per aver assassinato 17 persone:
“Tredici ergastoli per Bilancia. La pena confermata in appello”. (Pagina interna, CorSera, 15/02/2001).
Oggi Donato Bilancia, sta scontando la sua pena nel carcere di Padova, dove è stato anche intervistato da Paolo Bonolis nel 2004. Un’intervista che ha suscitato scandalo proprio perché avvenuta in fascia protetta e in un programma dedicato alle famiglie qual è “Domenica In”. La furia omicida di Donato Bilancia ha ispirato un film tv andato in onda su Canale 5 nel 2005, dal titolo “Ultima pallottola”.
III. 2 Confronto fra i testi
Il confronto fra i tre casi analizzati va fatto sotto il punto di vista dello spazio che viene dedicato loro dai giornali analizzati e quindi titolo, posizione in pagina (se in prima o all’interno), l’enfasi degli stessi titoli, ma anche attraverso la descrizione di questi soggetti subito dopo la cattura.
III. 2.1 Titoli di prima pagina e posizione
Pur restando fermi su quei criteri, che sono convenzionali e applicabili ad ogni fatto di cronaca, il sensazionalismo varia da caso a caso. Certamente avrà maggiore risalto il gesto di un folle che spara all’impazzata nelle vie della città, invece che un incidente stradale. Oppure la morte di un importante e famoso personaggio pubblico. E’ possibile anche cavalcare l’onda di un determinato argomento. Tutti ricorderanno il disastro ambientale della petroliera “Erika” nelle coste spagnole, ebbene in quel periodo, si da’ il caso, quasi ogni giorno una nave che trasportava petrolio o affondava o aveva problemi. Ma come questo tanti altri argomenti vengono trattati allo stesso modo, come ad esempio il fenomeno “Tangentopoli” degli anni ’90 ha fatto sì che si parlasse ogni giorno, per diversi anni, di eventi giudiziari e della collusione fra politica e malaffare. Altro valore-notizia è la territorialità. Con questo ci riferiamo alle testate giornalistiche locali. Più un fatto è vicino, più quel giornale ne parlerà dando uno spazio sempre più grande. Altro criterio da non tralasciare è la frequenza. Quanto più la frequenza dell’avvenimento è simile alla frequenza del mezzo d’informazione, tanto più probabile sarà la sua selezione come notizia di quel mezzo d’informazione . A proposito della concorrenza bisogna dire che la “gara” ad arrivare per primi sulla notizia è la sfida che ogni giorno si combatte tra testate giornalistiche (cartaceo, tv, internet, radio) che diventa una vera e propria guerra se a contendersi un fatto sono due quotidiani locali (Messina è esente da tutto questo, poiché la “Gazzetta del Sud” domina incontrastata e la battaglia si sposta nelle tv: Rtp, Tele Vip e Tcf). Ma la cosa che non bisogna mai trascurare è il grado di narratività. Una volta che ci troviamo di fronte ad un evento, un fatto cronaca occorre anche capire quanto questo sia raccontabile, se ci sono abbastanza contenuti per poter “ricamare” sopra tante storie. Per far capire di cosa parliamo sarà chiarificatore un esempio. Il terremoto di S. Giuliano che qualche anno fa ha cancellato una generazione di bimbi. Tante storie si sono intrecciate ognuna con un proprio profilo. Ma tale grado di narratività varia per ogni mezzo di comunicazione, tutto questo a causa degli spazi. A proposito del prodotto occorre realizzare una scaletta nell’enunciare le notizie. Questo è il dilemma di ogni redazione, soprattutto televisiva, che nel sommario (il biglietto da visita del tg) deve cercare di bilanciare bene le notizie, soprattutto creando un filo logico, come se si facesse un discorso unico. Ad avvalorare tale tesi c’è proprio il Tg5 che non tratta mai le notizie come dei compartimenti stagni, a sé stanti, (invece questo avviene in tutte le altre) ma i conduttori creano quel trait-union che fa scivolare da una notizia ad un’altra senza quasi rendersene conto; il semiologo Umberto Eco, sostiene che non esistano più i fatti, ma che il loro numero si è sensibilmente ridotto. Di solito le redazioni, di ogni tipo di medium, vanno alla ricerca di notizie lavorabili nel tempo e quindi da poter aggiornare, inoltre, guardandosi intorno (e quindi alla concorrenza), cercano di potersi uniformare alle notizie che danno le altre testate. Il caso 11 settembre dimostra come tutto il periodo trascorso da quel giorno, fino alla controffensiva americana con la guerra in Afghanistan, il mondo della comunicazione abbia dedicato ¾ a questo evento, tralasciando tutto il resto. Ma che fine fanno le vecchie notizie? La scuola anglosassone (sia britannica che statunitense), sostiene questo adagio: old news is no news , quindi no news is good news. Ciò significa che se non abbiamo notizie significa che ci sono buone notizie, ma anche che l’informazione d’archivio diventa materiale giornalisticamente interessante, quando sia accessibile e usufruibile in tempi compatibili con le logiche di produzione del giornalismo quotidiano. La memoria giornalistica diventa materia viva per la cronaca e l’attualità, quando sia riutilizzabile dentro il ciclo di vita quotidiano o settimanale delle notizie ; ricollegandoci alle tre “S”, ne svilupperemo adesso una: sangue. Il delitto di un singolo o di più persone ci ha sempre affascinati e colpiti. Se accade un caso eclatante, dalla persona più o meno famosa assassinata oppure se il fatto di sangue è avvenuto in circostanze particolari, non facciamo altro che andare alla ricerca di notizie che riguardano quella vicenda. E così spulciamo i quotidiani, smanettiamo con il mouse navigando per i web-giornali o facciamo zapping con il telecomando alla ricerca di un nuovo notiziario. I serial killer hanno sempre affascinato l’opinione pubblica, per tanti motivi: modo di agire, efferatezza, violenza, simbologia.
III. 2.3 Titoli pagine interne
Per il caso Vinci non esiste un rimando alle pagine interne dove il giornalista descrive meglio le modalità di arresto, ma il fatto viene narrato in prima pagina e poi continua in ultima con il titolo che richiama quello della prima. Questa comunque è anche un’usanza dei quotidiani dell’epoca che vedono nella prima pagina non solo la vetrina del giornale, ma un modo per soddisfare il lettore dando più informazioni possibili:
“Il mostro ha confessato, è lo zio di Antonella!”
Per quanto concerne il caso che abbiamo analizzato per gli anni ’80, quello di Roberto Succo, oltre alla classica disposizione: titolo, occhiello e catenaccio, troviamo anche un sottotitolo. Anche in questo caso vengono fornite le generalità, la serie di omicidi e anche la descrizione della persona. Il titolo è una dichiarazione dello stesso Succo che risponde al dattilografo che gli chiede quale sia la sua professione:
“Sono Succo, professione killer”.
Con Bilancia, arriviamo praticamente ai giorni nostri, la differenza con gli altri casi è data dal fatto che quasi tutto è stato detto in prima pagina e così all’interno, la redazione della cronaca si concentra sugli elementi che hanno incastrato il più sanguinario serial killer della storia italiana:
“Serial killer della Riviera, un arresto a Genova”.
III. 2.4 Confronto tra gli articoli
Ci soffermiamo soprattutto nel momento della cattura dei tre serial killer e il day after, quando viene delineata la personalità dei soggetti. Un’altra forma di comparazione sarebbe per il processo, ma non è possibile per tutti e tre poiché Succo non ha mai subito un processo per i sei omicidi d’Oltralpe, visto che ha deciso di uccidersi prima.
L’arresto
Su Vinci la cosa che immediatamente salta agli occhi sono alcune parti evidenziate in grassetto, in apertura la descrizione del mostro (dalle generalità, alla condizione sociale, civile e il grado di parentela con la piccola Antonella) e qual è stata la prova schiacciante che lo ha individuato e poi nella fase centrale e cioè la confessione e l’individuazione delle due bambine che ancora non erano state rinvenute.
“Il mostro di Marsala, l’assassino di Antonella Valenti e delle sorelline Ninfa e Virginia Marchese, è stato smascherato. E’ uno della famiglia Valenti, uno zio della povera Antonella. Michele Vinci, questo è il nome che gli inquirenti e tutta la popolazione di Marsala hanno cercato durante un terribile incubo durato diciotto giorni. Ha trent’anni, è sposato da tre anni con Anna Impiccichè, sorella della madre di Antonella, senza figli, fattorino presso la cartotecnica San Giovanni, la ditta cioè che è stata al centro delle indagini perché da lì era uscito il nastro adesivo rinvenuto sul corpo della bambina trovata seviziata ed assassinata nella scuola rurale nella contrada Giardinello. (…) Il mostro quindi condusse le piccole in una strada secondaria, una diramazione di via Salemi che immette poi in località Santa Venera. Durante il tragitto Michele Vinci si “liberò” (è sempre il suo racconto i cui risvolti vengono attentamente vagliati dagli inquirenti) di Ninfa e Virginia Marchese scaraventandole giù dall’auto in una cava di tufo abbandonata che costeggia la strada. La cava sarebbe profonda oltre una decina di metri, come lui stesso ha precisato. Le sorelline Marchese sarebbero state uccise non più di venti minuti dopo il rapimento. Al crimine avrebbe assistito Antonella, stravolta dal terrore.”
La differenza principale con Succo è che viene descritto il momento della cattura, nonostante fosse braccato dalla polizia in borghese, segno che comunque erano sulle sue tracce, ha fatto in modo di poter continuare la sua fuga verso chissà cosa. Nell’articolo, rispetto al caso Vinci, manca il grassetto, particolareggiata la descrizione della persona fisica (praticamente inesistente in Vinci) e della sua posizione sociale. L’articolo, contrariamente a quello di Vinci, si apre con una dichiarazione provocatoria dello stesso soggetto accusato di sei omicidi in Francia:
“Lo hanno preso l’altra sera nella campagna a nord di Treviso, dalle parti di Conegliano. A quanto pare stava andando a trovare una vecchia amica, che la polizia da qualche giorno teneva discretamente d’occhio. Arrivava da Desenzano sul Garda dove un’ora e mezza prima aveva rubato una Range Rover. Parcheggiata la macchina in uno spiazzo in mezzo ad alcuni condomini di Santa Lucia di Piave, è sceso e dopo pochi passi è stato circondato da una decina di poliziotti in borghese. Uno scatto e via verso la macchina dove aveva lasciato la pistola. Breve inseguimento, scazzottata e cattura. (…) Capelli neri, un filo di barba, occhi azzurri e bicipiti d’acciaio, Roberto è nato e cresciuto nella periferia di Mestre, sulla strada che porta a Treviso. (…) Ride, pianta gli occhi azzurri in faccia ai poliziotti e ride. Gli chiedono: professione? “Killer”. Salta su il dattilografo: “Eh dai! Non posso mica mettere nel verbale una scemenza simile!”. E lui: “Cosa vuoi scrivere, pensionato? Metti quello che vuoi; tanto quello faccio, ammazzo la gente”.
Per Bilancia la differenza immediata è la foto. Viene ritratto mentre è accompagnato da due carabinieri, cosa che non riscontriamo né in Succo né in Vinci. Infatti è proprio dalla descrizione della foto che ha inizio il racconto del giornalista. Sembra quasi una legge del contrappasso la sua, così come aveva coperto il volto alle donne uccise nei treni, allo stesso modo fa lui al momento della cattura. Anche qui subito dopo una descrizione sommaria del “chi è”, si passa al “come” è stato catturato. Altra differenza sostanziale con gli altri due “colleghi” consiste nel fatto che proprio in quegli anni si decide di mettere al centro o a metà del pezzo una frase o un passaggio importante dell’articolo, in grassetto. “I carabinieri: “Riteniamo che sia lui”. Preso mentre vagava nel centro città.” Questa volta gli articoli diventano due ed è proprio questa la novità che sgancia il caso Bilancia da Succo e Vinci: in apertura di pagina interna l’articolo si sdoppia, da un lato viene descritto il momento della cattura, del riconoscimento e quali sono gli omicidi per cui è accusato, dall’altro viene descritta la personalità di Bilancia, tutto quello che ha fatto nel periodo in cui si è trasformato in assassino, quindi i comportamenti nella vita normale e poi un excursus sulla sua vita, dall’arrivo in Liguria, ai momenti che ne hanno segnato la vita (il suicidio del fratello con il nipote) e che hanno potuto segnare la personalità.
Il day after
Il giorno dopo la cattura, lo spazio dei giornali è dedicato alla descrizione delle personalità di Vinci, Succo e Bilancia. Ma per il giovane veneto il “Corriere della Sera” ribadisce questa forma di distacco poiché non sente “italiano” Roberto Succo, soprattutto perché in lui non si trova una comunità di riferimento e così cercare di delineare la personalità risulta veramente difficile, e l’unico modo è raccogliere le testimonianze dei compagni di classe, perchè ricordiamo Succo lascia la sua terra natia a soli 19 anni, visto che dopo la cattura per aver ucciso i genitori, viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico di Reggio Emilia. Nel caso di Vinci è soprattutto la prima pagina la parte in cui la “Gazzetta del Sud” vuole mostrare ai suoi lettori chi veramente fosse Michele Vinci e ciò viene da esperti che ne delineano i tratti psicologici, da alcuni familiari (esterrefatti dalla doppia vita, ma soprattutto dal fatto che abbia finto per ben diciotto giorni piangendo al fianco dei parenti per la scomparsa della piccola Antonella), dalla gente che lo frequentava nella vita normale, anche in passato, come ad esempio compagni di classe.
“Sessuologicamente feticista, un uomo il cui erotismo viene sollecitato o da parti anatomiche o da oggetti particolari della persona amata. Psicologicamente uno schizoide, con una tendenza ad essere regolato dai desideri o bisogni personali piuttosto che dalla realtà oggettiva. Predisposto, anche, se occorre, alla violenza fisica”.
Per Bilancia occorre dire che il giornale preso in analisi, da’ spazio alle sue frasi più di quanto non abbia fatto con Succo. Viene anche raccolta la testimonianza di una donna. Ecco un punto comune fra Succo e Bilancia, che si evince dall’analisi degli articoli: sono le donne il debole dei serial killer, seppur di età differente (20enne il primo, quasi cinquantenne il secondo). Se Succo viene arrestato perché va a trovare un’amica, i tratti da doppia personalità di Bilancia lasciano basita l’amica che qualche giorno prima dell’arresto era a cena con lui, che non aveva lasciato trasparire nulla.
La sentenza
La sentenza che pone fine alla storia pubblica di questi personaggi, viene sempre diversi anni dopo gli omicidi e la cattura dei serial killer (quattro per Vinci, tre per Bilancia). Nell’ultima fase della nostra analisi, però, ci occuperemo solo di due uomini: Michele Vinci e Donato Bilancia, di Roberto Succo non possiamo dire nulla perché non è mai arrivato alla sentenza di condanna per gli omicidi perpetrati in Francia, visto che si è tolto la vita durante la permanenza nel carcere di Vicenza. Vinci e Bilancia, due uomini così lontani nel tempo, ma anche nel modus operandi e nella scelta delle vittime, eppure lo spazio loro dedicato dai giornali che noi abbiamo posto in esame è davvero esiguo se lo mettiamo a confronto con quello concesso nei giorni della cattura e nella descrizione della personalità. Per Vinci, la “Gazzetta del Sud”, concede la prima pagina nella spalla:
“L’ergastolo a Michele Vinci. Concluso il processo al mostro di Marsala. Non ho ucciso nessuno, chiedetelo a mio cognato Valenti ha gridato l’imputato udendo la sentenza. Assolto Guardato (per non aver commesso il fatto)”.
Con Bilancia il “Corriere della Sera”, in quei giorni occupato a seguire le “gesta” di un altro serial killer, Michele Profeta, addirittura concede circa cinquanta righe posizionandolo nelle pagine interne senza nemmeno darne accenno nella prima.
“Tredici ergastoli per Bilancia, la pena confermata in Appello”.
Evidentemente ancora una volta il quotidiano messinese, molto probabilmente, si lascia coinvolgere dalla territorialità del delitto. E’ pur vero che si tratta di bambine ed un pluriomicidio che vede implicate dei minorenni lascia spesso esterrefatta l’opinione pubblica, ma è anche vero che l’efferatezza di Bilancia, il quale ha ucciso diciassette persone in pochi mesi, non può passare così inosservata. Viene quasi spontaneo comprendere che i quotidiani hanno scelto questa forma di distacco perché volevano mandare negli archivi due brutte storie.
III. 2.5 Aggettivi per i tre serial killer
Durante la lettura degli articoli abbiamo raccolto ed analizzato anche gli aggettivi che i giornalisti attribuivano a questi personaggi per far comprendere ai lettori la brutalità utilizzata.
Michele Vinci: mostro, maniaco sessuale, bieco assassino, feroce criminale, bruto, folle maniaco, pazzo criminale, assassino, abietto assassino, criminale, mostro assassino, immondo individuo, schizoide, tipo strano.
Roberto Succo: pericoloso assassino, “bravo ragazzo”, chiuso, taciturno, scontroso, cherubino nero, viso angelico, killer dagli occhi di ghiaccio, belva impazzita, pericoloso, incontrollabile, pericolosissimo, timidissimo, diffidente, tigre braccata.
Donato Bilancia: “uomo normale”, assassino, folle, folle giustiziere, vendicatore, feroce, pericoloso, killer giustiziere, pazzo, mostro, “poco raccomandabile”, balordo di periferia, killer delle prostitute, killer della calibro 38, killer dell’intercity, killer dei treni, sbruffone.
Certamente da questa analisi comprendiamo bene come la parola assassino sia la più comune, ma volendo cercarne altre ancora più particolari vediamo mostro in Vinci e Bilancia, pericoloso in Succo e Bilancia e poi i vari appellativi dati per accentuarne la gravità: mostro assassino e immondo individuo (Vinci), killer dagli occhi di ghiaccio e belva impazzita (Succo), killer delle prostitute e balordo di periferia (Bilancia). Con Vinci, il corrispondente della “Gazzetta del Sud”, sembra si sia sbizzarrito perché ha utilizzato degli aggettivi molto coloriti per descriverlo come un orco, un essere immondo. Però bisogna sottolineare che all’epoca certi aggettivi erano utilizzati spesso e volentieri dai mezzi di comunicazione (il cinema per esempio) e così il lettore era abituato a sentirli. Avvicinandoci ai nostri giorni, con Succo e Bilancia, abbiamo notato come tali aggettivi, seppur descrivevano personaggi lugubri, sono stati utilizzati con meno sensazionalismo e più oggettività, quindi riportati così come venivano percepiti: mostro, serial killer, pazzo, criminale.
III. 3 Considerazioni sul terzo capitolo
Dopo aver sviscerato in ogni sua parte l’analisi di questi tre personaggi presi in esame attraverso i due quotidiani, uno a tiratura regionale e l’altro nazionale, andiamo a vedere quali sono i punti in comune e quelli che divergono. Ricordiamo comunque che fra il caso Vinci ed il caso Bilancia ci sono quasi trent’anni di distanza, quasi una generazione e molte cose sono cambiate. Il caso Succo, invece, è particolare, poiché nonostante avesse ucciso i suoi genitori, la sua identità rimase nascosta in Francia dove ha continuato ad ammazzare innocenti, senza che il “Corriere della Sera” se ne occupasse. Nei punti in comune annotiamo il sensazionalismo e il silenzio che a loro volta s’intrecciano l’uno con l’altra. Questi saltano immediatamente agli occhi. Nel primo caso perché riagganciandoci al discorso delle tre “S” fatto nel primo capitolo, il lettore- consumatore è “assetato” di notizie di sangue in cui c’è l’intreccio fra mistero e morte violenta, ma anche la continuità degli omicidi ed il caso che si trasforma in enigma. Il silenzio, invece, non va interpretato come un raffreddamento verso il caso, quindi non va visto come contro altare al sensazionalismo, bensì come una collaborazione alle indagini perché quando il mistero si infittisce e gli inquirenti non riescono a venirne a capo, l’aiuto che la stampa può dare loro è far cadere la cosa o raffreddare gli animi della gente che altrimenti ne parlerebbe continuamente portando a casi di emulazione (è il caso di acquabomber o dei sassi lanciati dal cavalcavia solo per citarne qualcuno) o mitomania (lettere minatorie, avvistamenti inesistenti o ricatti, sciacallaggi un esempio che può facilitarne la comprensione è il caso di Denise Pipitone: da quando la madre ha deciso di far circolare un numero di telefono per eventuali segnalazioni, nelle prime settimane ci sono stati dei personaggi che hanno provato anche a chiedere un riscatto). Ma come non ricordare, a proposito di silenzio stampa la triste vicenda dei rapimenti, in cui erano le stesse famiglie a chiedere ai media di non trattare in nessuna maniera il caso proprio per non incorrere in pesanti ripercussioni sul rapito. Dunque il silenzio può aiutare chi indaga a stanare l’assassino, ma anche il sensazionalismo può al tempo stesso essere utile o distruttivo. Utile per due motivi:
- Mettere in guardia le persone e quindi tenere alta l’attenzione.
- Gli inquirenti lanciano dei messaggi al serial killer dicendo che la sua libertà può avere le ore contate visto che il cerchio va stringendo, ecco perché molto spesso spuntano dei supertestimoni, degli identikit o un gruppo ristretto di persone da sorvegliare.
Per quanto riguarda lo spazio dedicato dai giornali dobbiamo dire che la territorialità è una discriminante importante. Lasciamo per il momento Donato Bilancia e confrontiamo Roberto Succo e Michele Vinci. Vinci per la “Gazzetta del Sud” è come una “manna dal cielo”, il caso avviene in Sicilia ed il quotidiano è messinese e lo spazio ovviamente è molto più ampio rispetto a qualunque altro quotidiano a tiratura nazionale. Con Succo, dopo il duplice omicidio dei genitori e la fuga dall’ospedale psichiatrico, la sua missione prosegue in Francia, quindi un quotidiano a tiratura nazionale come il “Corriere della Sera”, non può dare ampio spazio (o non darne completamente come fa proprio il giornale milanese) a degli eventi che fino a quel momento nulla hanno a che vedere con il territorio italiano. Ecco dunque che viene fuori la linea editoriale del giornale, per poter raggiungere l’obiettivo del target fissato e soddisfare il lettore-consumatore; fra i punti di divergenza annotiamo la composizione delle prime pagine e in termini tecnici titolo, occhiello e catenaccio. Nel primo caso è molto ampio il catenaccio, che descrive con dovizia di particolari quello che poi verrà elaborato nell’articolo, quando la sua funzione deve essere di riassunto e dare qualche anticipazione, così come è avvenuto negli anni successivi in cui le prime tre parti di un articolo di giornale si sono ridotte sensibilmente, soprattutto il catenaccio ridotto a non più di due righe, ma solo se il caso è davvero eclatante. E’ solo con il caso Bilancia che il quotidiano si cura anche di fare il riassunto dei delitti e degli enigmi: difatti molto spesso nelle pagine interne non troviamo l’occhiello, ma una volta una scheda, un’altra la mappa dei delitti, un’altra ancora l’identikit o la ricostruzione passo passo dell’ultimo delitto. Segno che la tecnologia è entrata nel giornalismo e serve anche a semplificare la lettura: invece di leggere tutto l’articolo, è possibile leggere quelle notizie in pillole e rendersi conto di cosa si tratta. Quello che risalta da questa ricerca è che nonostante vi siano tre decenni fra il primo e l’ultimo caso, fa sempre scalpore un omicidio violento e quindi non sarebbe da giornalista (che molto spesso indossa i panni dell’investigatore e a volte collabora anche con gli inquirenti, carabinieri o polizia che siano) evitare di trattare fatti che lasciano il segno. Bisogna anche dire che i cronisti dell’epoca di Vinci erano molto più coloriti nelle espressioni.
ORAZIO BONFIGLIO
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