La Costruzione Mediatica del Delitto
Assassino seriale, o più comunemente noto come Serial Killer. Un soggetto che molte volte ha ispirato romanzi, storie e film giallo-noir, basandosi su fatti realmente accaduti o completamente inventati. Molto spesso ci imbattiamo in questo triste fenomeno che negli anni ha portato i corpi di polizia a creare diversi apparati che studiassero la mente dei serial killer. Gli esperti in questo settore sono gli agenti dell’FBI, proprio perché sono gli Stati Uniti il luogo in cui si manifestano maggiori fenomeni di serial killer, che nel corso degli anni hanno macchiato il vasto territorio d’oltreoceano. Ma andiamo a definire e cercare di identificare il serial killer. Chi è, come agisce, come si comporta, quali sono le sue vittime preferite, se agisce solo o in compagnia, se uomo o donna, che tipo di delitti compie. Il termine è relativamente recente, poiché risale agli anni ’50. Il primo ad avvicinarsi è il criminologo James Reinhardt in suo libro del 1957, “Sex Perversion and Sex Crimes”, il quale indica con il termine “chain killers” l’assassino che compie una catena di omicidi. E’ del 1966, con John Brophy uno studioso inglese, il termine “serial murderer”. Nel 1988 il National Institute of Justice degli Stati Uniti, descrive cosa s’intende per omicidio seriale: l’uccisione di una serie di due o più soggetti, delitti separati e commessi generalmente, ma non sempre da un unico autore . L’intervallo di tempo con cui avvengono i crimini, possono variare dalle poche ore sino a molti anni. Il movente di tale efferatezza va ricercato nella gratificazione di un bisogno psicologico profondo dell’assassino. La scelta del crimine, il comportamento dell’omicida, il rapporto con la vittima e le violenze perpetrate su di essa sono gli elementi che portano a rintracciare l’assassino. Ma il “padre” del termine serial killer è Robert Ressler, agente speciale dell’FBI, che nel 1992 pubblica “Whoever Fight Monsters” ed è proprio in questo volume che parla di omicida seriale. Nello stesso anno, Ressler in collaborazione con John Douglas e la psichiatra Ann Burgess, pubblicano il Crime Classification Manual, un manuale sui delitti violenti e la classificazione di tali omicidi è basata sul movente. Tale volume da’ la propria definizione di serial killer: tre o più eventi omicidiari, commessi in tre luoghi differenti, separati da un intervallo di “raffreddamento emozionale” . Quando il CCM parla di raffreddamento emozionale, vuole intendere che il soggetto in questione, il serial killer appunto, segue un suo ciclo di vita: si prepara all’evento, studia la vittima e subito dopo il delitto, passa in una fase di scarico emozionale. Ora, il periodo che trascorre fra un omicidio ed un altro dipende da questo raffreddamento, può essere breve e il ciclo ricomincia, oppure più lungo nel tempo e quindi trascorreranno diverse settimane prima che si rimetta a caccia di una nuova vittima. Identificato il serial killer, vediamo come vengono nominati gli altri assassini. Con il termine “mass murder”, omicidio di massa, ci riferiamo all’uccisione di quattro o più persone da parte di uno o più soggetti, nel contesto di un unico evento che si realizza nello stesso luogo. Quando gli investigatori si trovano davanti un “mass murder”, non hanno molto lavoro di ricerca da portare avanti se non quello di scoprire il movente del gesto. Tutto questo perché molto spesso accade che proprio l’assassino, dopo aver completato la sua opera, si suicida, mettendo fine a tutta la vicenda. Il movente va ricercato in un frustrazione subita, nella vendetta, che tenuti dentro nel tempo, hanno portato ad un’esplosione inaudita di violenza. Classici esempi sono un lavoratore licenziato che torna in fabbrica e uccide chi capita prima, oppure, e questo purtroppo è un fenomeno in crescita, un ragazzino rimproverato in malo modo oppure bocciato, torna nella scuola uccidendo chiunque tenti di ostacolare il suo piano di morte. A tal proposito Michael Moore, girò un film-documentario dal titolo “Bowling for Colombine”, ispirato da un mass murder nella scuola “Colombine”, negli USA. Abbiamo lo spree killer, l’omicida compulsivo, che uccide più persone (anche due) in luoghi differenti. L’elemento discriminante con il serial killer consiste nel fatto che lo spree killer uccide nello stesso momento, ma in posti differenti, insomma senza fare lunghi intervalli fra un delitto ed un altro. Quindi manca la fase di raffreddamento emozionale. Lo spree killer non ha paura di mostrarsi agli altri, agisce indisturbato e a volto scoperto. Proprio questo può portarlo alla morte in uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine. Investigatori, detective, profiler, polizia scientifica, task force. C’è tutta una serie di persone che lavora alacremente per cercare di risolvere nel più breve tempo possibile diversi omicidi seriali, commessi da uno stesso soggetto. L’abilità di chi indaga consiste non solo nel raccogliere il maggior numero di prove possibili, soprattutto scientifiche per poterle confrontare con chi ha precedenti (capelli, saliva, impronte digitali, solo per citarne alcuni), ma soprattutto cercare di far “parlare” le vittime e la scena del crimine. A volte succede che non ci sia un nesso, un filo conduttore fra le vittime e quindi è ancora più difficile risolvere l’enigma, ma altre volte si. Ma molto spesso è risolutrice l’analisi della scena del crimine: il serial killer ha un proprio modo di agire che è sempre lo stesso in tutti gli omicidi: dalla disposizione della vittima, ai messaggi che lancia per farsi trovare. Insomma è il suo biglietto da visita, ma lancia anche una sfida agli inquirenti che cercano di trovarlo. Gli agenti speciali dell’FBI, descrivono il teatro di un crimine come la tela di un pittore e il detective, come un critico d’arte, che cerca di cogliere l’animo dell’artista nella disposizione delle forme o nella distribuzione dei colori.
II. 1 Sulle tracce dell’assassino
Quando il detective, insieme alla scientifica, entra nella scena del delitto i primi elementi da rintracciare sono: modus operandi, firma, forensic awareness, staging e undoing . Il primo elemento, il modus operandi, è l’insieme dei comportamenti delle azioni che il criminale compie per realizzare il delitto. E’ il modo con cui l’assassino si avvicina a compiere l’atto nel più breve tempo possibile in modo da essere immediatamente efficace, quindi il modus operandi può variare da delitto a delitto. La firma, non è un elemento indispensabile per portare a termine il crimine. Si tratta di un messaggio lanciato agli investigatori e si presenta, come una costante, in tutte le scene del crimine. La firma serve a determinare la personalità, i problemi, i bisogni e i disturbi dell’assassino. Per il termine “forensic awareness”, non abbiamo un vero termine corrispondente italiano, ma lo si può interpretare come l’attenzione del criminale a tutti quegli accorgimenti prima durante e dopo il delitto con l’obiettivo di non lasciare tracce o indizi che possano portarlo all’identificazione. Gli ultimi due elementi, staging e undoing si riferiscono alle caratteristiche della scena del delitto e la disposizione della vittima. Lo staging è la messa in scena, cioè l’alterazione della scena del crimine prima dell’arrivo della polizia. Il motivi di tale comportamento sono due: depistare le indagini è quella più plausibile, l’altra viene applicata soprattutto per i delitti sessuali che per errore portano alla morte del soggetto. L’ultimo elemento, l’undoing (disfare, annullare), è un evento raro. Rappresenta la modificazione del luogo del delitto, ma questa volta è visto come un rimorso dell’assassino che si rende conto di ciò che ha fatto e allora può coprire il volto della vittima, spostarne il corpo o cercare di dargli dignità posizionandolo in modo diverso da come l’avrebbe dovuto trovare la polizia.
II. 2 Chi è il serial killer e come agisce
Ma serial killer si nasce o si diventa? Questa è una domanda che l’opinione pubblica spesso si pone, per cercare di giustificare in quale modo la brutalità con cui gli assassini si scagliano sulle persone, trasformandosi in predatori di uomini. Come fatto che va al di là della normalità, anche l’omicida seriale ha la sua storia pregressa. L’uomo (o la donna) che si trasforma in serial killer superata l’età dei 25 anni, ha alle spalle una vita fatta di maltrattamenti fisici e psicologici, situazioni familiari complesse, abusi sessuali, gravi incedenti che si ripercuotono sulla psiche o che lasciano il segno con menomazioni indelebili. La somma di tutti questi elementi, con la complicità di un carattere molto fragile e volubile, porta l’uomo a trasformarsi in bestia e scatenare una violenza inaudita contro persone che nulla hanno a che vedere con la sua vita. Alla fine dell’800, Cesare Lombroso, fondatore della moderna scienza della criminologia, portò avanti una teoria sull’essere serial killer. Esistono delle componenti biochimiche e fisiognomiche, che fanno sì che in un certo senso si è predisposti a diventare assassini seriali. Alterazioni o danni in alcune zone dell’encefalo sono stati posti in correlazione con un aumento dei comportamenti violenti. Sono oggetto di studio i lobi frontali e temporali e le loro connessioni con altre aree celebrali. Il soggetto tenderà a diventare omicida seriale soprattutto se il danno psico-fisico avviene nella giovane età, cioè negli anni dello sviluppo del cervello. A questi elementi va aggiunta la somministrazione di alcool e droghe che influiscono sul già carente sistema neurologico del soggetto. A livello biochimico gli elementi discriminanti sono due: i neurotrasmettitori e gli ormoni. Nel primo caso è la serotonina che regola la violenza, più questa è bassa più il soggetto sarà impulsivo ed aggressivo. Negli ultimi decenni è il testosterone il “colpevole” di questi comportamenti. Ma al di là di queste preziose prove scientifiche, le cause scatenanti di questa trasformazione da uomo a bestia, sono dettate dal contesto sociale in cui il serial killer ha trascorso infanzia e adolescenza. Molto spesso accade che sia stato allevato da un solo genitore o comunque abbia vissuto in una famiglia con profondi rapporti conflittuali. Gli psichiatri parlano di disturbo associativo dell’identità. Essa si manifesta alla presenza di una o più personalità in modo ricorrente ed il soggetto diventa incapace di ricordare notizie personali importanti. I casi di serial killer, spesso hanno avuto come movente la violenza sessuale. Tutto questo perché l’assassino, tende a dominare la vittima e cerca di realizzare quelle fantasie represse nell’infanzia, nell’adolescenza. Si spiega così il fatto che i corpi delle vittime molto spesso vengono brutalizzati, straziati o addirittura privati di parti del corpo. Lo psicologo americano Joel Norris, cataloga il comportamento del serial killer in sette fasi.
1) Aurorale. Il killer gradualmente si distacca dalla realtà, iniziando a fantasticare, cercando di passare all’azione.
2) Puntamento. Studia il terreno dove dovrà agire, cercando di individuare la sua vittima.
3) Seduzione. E’ il momento in cui si approccia alla vittima. La seduce, la inganna e poi la aggredisce.
4) Cattura. Adesso l’assassino ha il controllo sul malcapitato e può iniziare a mettere in atto le proprie fantasie.
5) Omicidiaria. Con l’omicidio il serial killer soddisfa e si libera, al tempo stesso, di quelle repressioni subite nell’infanzia.
6) Totemica. Sopraggiunta la morte, l’assassino continua a restare con la vittima e ha inizio la fase del piacere. Fotografa la vittima, la smembra, in alcuni casi si nutre di quelle parti, insomma cerca di avere un trofeo, un ricordo della vittima.
7) Depressiva. Terminato il piacere, quindi la fase di trance, l’omicida si rende conto e torna nella realtà, una triste realtà che lo fa ripiombare nella crisi in cui era rimasto fino a quel momento. In casi rari, è proprio in questa fase che si lascia catturare, confessando il delitto. Ma molto spesso, purtroppo, questa fase dura poco, perché si mette immediatamente in cerca di un’altra vittima.
II. 3 La donna serial killer
Nell’immaginario collettivo si parla sempre di uomini serial killer, perché rappresentano sempre il sesso forte, virile ed è più giustificabile che sia il genere maschile a perpetrare un tipo di omicidio così violento, efferato. La storia sugli assassini seriali, però, ci ha consegnato anche delle donne che fanno parte di questa cerchia. Dagli anni ’70 il movimento femminista, che ha portato all’emancipazione della donna, ha fatto sì che questa indipendenza avvenisse in tutti i campi, compreso anche quello criminale. Esperti di criminologia, hanno adottato lo stesso sistema e cioè il processo biochimico che trasforma, l’essere umano in serial killer, applicandolo alle donne. Ancora una volta sono gli ormoni i maggiori imputati, ma anche nel feto l’esposizione al testosterone causa una maggiore aggressività nelle neonate. Altro elemento da non trascurare, sono gli effetti del progesterone e degli estrogeni che fanno aumentare o diminuire la tendenza a rispondere con violenza alle situazioni di frustrazione. Resta il fatto che le violenze psicologiche subite nella giovane età da parte di uomini e donne, portano a modi diversi di reazione. L’uomo sprigionerà violenza verso gli altri, la donna verso sé stessa con prostituzione, tossicodipendenza e in casi estremi con il suicidio. Quali sono le differenze nel mettere in atto un omicidio fra uomo e donna? Il “gentil sesso”, dopo aver esaminato 100 casi dal 1900, risulta più metodico, preciso e freddo nell’esecuzione e soprattutto per il riconoscimento e l’arresto occorrono, in media, otto anni di indagini. Significativo un dato: dal 1970 i reati commessi dalle donne sono aumentati del 138%. Il fenomeno donna serial killer è tipicamente statunitense, difatti rappresenta il 74% dei casi mondiali, sebbene l’apporto all’interno degli States sia solo dell’8%. Le discriminanti tra uomo e donna serial killer sono movente e metodi utilizzati. Secondo una statistica risulta il veleno come “arma del delitto” più utilizzata, via via troviamo arma da fuoco, corpi contundenti, soffocamento, arma da taglio e annegamento. Per quel che concerne il movente è soprattutto economico, poi il controllo, per divertimento, piacere sessuale o sostanze stupefacenti con il coinvolgimento di sette e culti. Uno studio effettuato da Kelleher & Kelleher, classifica le donne serial killer solitarie o di gruppo:
1) Vedove nere. Iniziano dopo i 25 anni uccidendo mariti, partner, familiari e persone con le quali hanno avuto una conoscenza diretta. L’arma preferita è il veleno e restano impunite tra i dieci e i quindici anni.
2) Angeli della morte. Uccidono dopo i 20 anni, in luoghi come ospedali, case di cura, cliniche. Il responsabile può restare impunito poiché passibile di sperimentazione medica oppure dettato per cause naturali, visti i luoghi. Il numero di vittime si aggira intorno alle otto unità.
3) Predatrici sessuali. Agiscono tra i 30 e i 50 anni. Operano spinte da fantasie compulsive, come il sadismo e in tre anni sono in grado di uccidere per sei volte.
4) Assassine per vendetta. In questo caso possono colpire solo una volta, ma molto spesso si lasciano trascinare dal sentimento della vendetta, odio, gelosia e così si presenta quel raffreddamento emozionale che fa allungare i tempi fra un omicidio ed un altro.
5) Assassine per profitto. Pianificano il delitto nei minimi dettagli e sono in grado di evitare identificazione ed arresto. Possono essere ingaggiate per eliminare il coniuge o rivali in affari, ma anche familiari con ricche polizze assicurative. La “carriera” inizia fra i 25 e i 30 anni e può durare un decennio.
6) Team killer. Questo rappresenta l’unico caso di serial killer di gruppo. Loro complice può essere un uomo, ma anche un’altra donna. Sono omicidi di natura sessuale. La donna ha circa 20 anni e l’attività criminale non dura più di due anni. La coppia di donne agisce intorno ai 25 anni e la “carriera” dura dai due ai quattro anni.
7) Mentalmente disturbate. E’ raro che nel serial killer venga riconosciuto un disturbo psichiatrico, è l’abilità degli avvocati a chiedere l’incapacità d’intendere e volere.
8) Sk dal movente incomprensibile. Nessuno, dalle assassine agli inquirenti, riescono a decifrare i motivi di tale efferatezza.
9) Casi irrisolti. In questo caso nessuno possiede elementi validi per inchiodare qualcuno seppure siano stati decifrati modus operandi, tipologia della vittima e scelta dell’arma.
Da come si è potuto notare, la donna serial killer esiste. Sono poche, ma non sono frutto di fantasie della penna di un giallista o un cineasta. Vernon Geberth, nel 1996 con Practical Homicide Investigation, descrive e distingue le caratteristiche personali dell’offender organizzato e disorganizzato, ma anche il modo di relazionarsi con il mondo che lo circonda.
II. 4 L’ offender organizzato
Età. Tra i 18 e i 45 anni, ma la media si assesta poco sopra i 30.
Sesso. Generalmente maschio.
Razza. Generalmente appartiene alla stessa razza della vittima.
Stato Civile. Coniugato o convivente.
Livello di scolarizzazione. Intelligenza normale, ha frequentato fino all’high school (ricordiamo che Geberth si rifà alla realtà statunitense) e qualche esperienza di college, anche se a scuola ha avuto problemi disciplinari.
Livello socio-economico. Appartiene alla classe media.
Caratteristiche fisiche. Ha cura della propria persona ed è ben strutturato.
Residenza. Il primo delitto può essere compiuto nelle vicinanze di casa, gli altri saranno più distanti. Vive in una zona residenziale, con appartamento ben curato.
Autovettura. Berlina o station-wagon, colore scuro, ben tenuta.
Occupazione. Favorisce una mansione che esterni la mascolinità e quindi autista di camion, guardia giurata, vigile del fuoco.
Servizio Militare. Solitamente svolto fra i marines, il corpo militare più duro dell’esercito americano.
Precedenti penali. Arresti per aggressione o violenza sessuale, multe non pagate, violazione del codice della strada.
Il profilo psicologico dell’offender organizzato è il seguente: socialmente ben adattato, estroverso, di compagnia, anche se poi nel tempo tende ad occuparsi di sé stesso, frequentatore di locali con alta densità di presenza femminile, utilizza l’ars oratoria per guadagnare credibilità e simpatia, si vanta delle sue conquiste femminili, ha diversi partner sessuali, viaggia di frequente, pianifica il crimine nei minimi particolari ed esce molto spesso per poter inquadrare la vittima, non prova sensi di colpa o rimorso, promette sapendo di non poter mantenere, ha una personalità multiforme, se riceve una punizione non si adatta ma persevera nel suo atteggiamento. Gli abusi subiti nell’età giovanile lo portano a questi atteggiamenti aggressivi e nella maggior parte dei casi è il primogenito. La vittima femminile viene scelta secondo i suoi parametri che gli ricordano la figura di donna che più ha inciso nella sua vita. La scena del crimine mostra quanto violento ed efferato sia il suo omicidio. A volte cammina con un kit personale di armi e attrezzi che userà durante l’omicidio. E’ un collezionista di trofei, segue le notizie che provengono dai mass media e raccoglie i ritagli di giornale che lo riguardano. Molto spesso frequenta gli stessi luoghi (bar, caffetterie) degli investigatori per cercare di raccogliere maggiori informazioni sulle indagini ed in alcuni casi riesce a mettersi alla ricerca della vittima, intromettendosi nelle indagini. Prima dell’omicidio è depresso o arrabbiato. Trasporta il corpo della vittima e lo nasconde dopo il delitto. Se si sente minacciato può cambiare lavoro o città.
II. 5 L’offender disorganizzato
Età. Compresa fra i 16 e i 40, anche se la frequenza più alta è fra i 17 e i 25 anni.
Sesso. Generalmente maschio.
Stato civile. Single.
Livello di scolarizzazione. Precoce abbandono scolastico.
Livello socio- economico. Classe povera o media.
Precedenti psichiatrici. In passato può aver avuto disturbi mentali e anche dei ricoveri.
Caratteristiche fisiche. Può avere un difetto fisico più marcato e quindi visibile agli altri.
Residenza. Vive vicino il luogo del delitto, da solo o con i genitori o con un parente molto più grande di lui.
Autovettura. Non ne possiede una, ma se ce l’ha è un vecchio modello in cattive condizioni, questo se vive in periferia, ma se vive nel centro città può esserne sprovvisto e muoversi a piedi o con i mezzi pubblici.
Occupazione lavorativa. Molto spesso disoccupato, riesce a trovare lavori saltuari e senza contatto con il pubblico.
Precedenti nel servizio militare. Molto spesso non risulta arruolato. Se si, nell’esercito è scartato perché inidoneo.
Precedenti penali. Arresti per esibizionismo, furto con scasso.
Il profilo psicologico dell’offender disorganizzato prevede che abbia un’avversione per la società e tende a vivere isolato. Veste trasandato, non esterna paura e rabbia, ha una vita sessuale inadeguata, poiché riesce ad avere rapporti in situazioni particolari (autoerotismo, voyeurismo, sadismo, pornografia), vive molto spesso nelle ore notturne, non è il primogenito, ha subito una dura disciplina da bambino. Fa poco uso di alcool, è quasi nullo l’interesse per i media. Passando alla fase del delitto, l’offender disorganizzato, è molto ansioso. Aggredisce in modo istintivo e la vittima non viene studiata, ma scelta a caso, così come l’arma per tramortirla prima e ucciderla poi. Insomma procede come in un blitz. La scena del crimine è disordinata e per i colpi inferti alla vittima può imbrattarsi e imbrattare di sangue il luogo del delitto e il suo corpo. Molto spesso depersonalizza la vittima, sfregiandola in volto, morsicandola in alcune parti (natiche, collo, cosce, addome) oppure si avvia a cibarsi di alcune parti o, ancora, prende un trofeo. Tende a non occultare il cadavere ed il corpo può essere posizionato per scopi simbolici. Nel periodo immediatamente dopo, si può notare un atteggiamento completamente diverso, poiché tende a fare abuso di alcool o sostanze o eccessivo coinvolgimento in attività religiose.
II. 6 Profile e investigatori
Nel 1985 James De Burger e Ronald Holmes realizzano uno studio dal titolo, Profiles in terror: the Serial Murderer. Basandosi su modus operandi, scelta della vittima, attività compiute sui cadaveri , arrivano a classificare il serial killer. Nel 1996 Roland e Stephen Holmes riprendono quello schema sostenendo che i serial killer possiedono una base comportamentale comune. I punti individuati sono.
- La genesi dell’omicidio va riscontrata nella psicologia dell’assassino.
- Le motivazioni, insensate per il detective, hanno una propria logica nella mente dell’assassino.
- Il profitto ottenuto è sempre di natura psicologica.
Successivamente si parla di un’ulteriore classificazione: killer allucinati e autori di omicidi seriali orientati al controllo della vittima: l’interesse primario è il comportamento, la rapidità di morte della vittima o quanto in vita viene tenuta dopo la cattura.
Negli anni la moltitudine di serial killers e la miriade di modus operandi e scene del crimine hanno portato alla creazione di un database che consentisse di catalogare gli omicidi, e tutto il suo contorno in modo tale da poter facilitare le indagini. In Italia, sul modello americano del VICAP (Violent Crime Apprehension Program), viene istituita nel 1997 l’UACV (Unità di Analisi Crimine Violento) della Polizia. Nasce anche il il SASC (Sistema Analisi Scena del Crimine). In archivio vengono raccolti dati che si ricavano dall’esame della scena del crimine: sopralluoghi, dichiarazioni spontanee, atti giudiziari, esiti esami scientifici, accertamenti tecnici. Anche i Carabinieri hanno il proprio Reparto Investigativo Scientifico, il RIS. Fondato nel 1955, con il nome di Centro Carabinieri Investigazioni Scientifiche, il Raggruppamento Carabinieri Investigazioni (RACIS) svolge funzioni di analisi tecnico-scientifiche favorendo il lavoro di Polizia Giudiziaria e Carabinieri. Le sedi dei RIS sono dislocate a Messina, Roma, Parma, e Cagliari, i reparti poi sono suddivisi in diverse sezioni una per ogni branca: biologia, chimica, balistica, dattiloscopia e fotografica, giudiziaria, fonica e grafica.
Holmes R.e S., Contemporary Perspectivies on Serial Murder,Thousand Oaks, Sage 1998.
ORAZIO BONFIGLIO
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