Biografia di Jeffrey Dahmer
Soprannome: Il cannibale di Milwaukee
Luogo omicidi: U.S.A.
Periodo omicidi: 1978 – 1991
Numero vittime: 17
Modus operandi: torturava, faceva a pezzi i corpi e ne mangiava alcune parti
Cattura e Provvidementi: ucciso in carcere il 28 novembre 1994 da un detenuto
Il Cannibale di Milwaukee e il Mondo intero fanno conoscenza per la prima volta e in modo del tutto casuale il 22 luglio 1991: Tracy Edwards viene fermato da una volante di polizia perché correva nudo, e in manette. Questi confessa di essere inseguito da un pazzo omicida e, in poco tempo, gli investigatori porteranno a galla una delle storie di Serial Killer più malata e depravata che si ricordi.
Jeffrey Dahmer cresce in una famiglia benestante, una di quelle famiglie prese di mira e derise da Marylin Manson nel suo “Portrait Of An American Family”, una di quelle famiglie più attente all’apparenza che alla sostanza.
Dietro alla facciata puritana e felice che la famiglia Dahmer dava a vedere, c’era infatti del marcio.
I suoi genitori si odiavano, si ingiuriavano e si picchiavano. Arriveranno al divorzio, il quale sarà molto doloroso per Jeffrey.
Sua madre, alcolizzata e “pasticcomane”, passava il tempo a ingurgitare ogni tipo di medicinale, come durante la gravidanza: in quel periodo arrivò a ingerire anche 26 pasticche al giorno.
Come se l’ambiente famigliare non bastasse a minare la psiche del giovane individuo, Jeffrey subisce anche diversi episodi di molestia sessuale e violenza carnale da parte di un vicino.
Interrogato dai suoi psichiatri dopo l’arresto, egli negherà sempre che questi episodi fossero, anche minimamente, in relazione con la sua successiva omosessualità e la sua violenza omicida, ma è davvero difficile credergli.
È a 13 anni che il Cannibale capisce di essere omosessuale, nei suoi 14 anni va invece collocata la sua prima esperienza, con un ragazzo del quartiere.
Ma la follia sta già covando nella mente di Jeffrey e non tarderà a far sentire forte la sua voce.
Dahmer a 16 anni comincia ad avere fantasie sessuali molto violente, nelle quali lui ha il controllo assoluto e totale. La fantasia più ricorrente: uccidere un uomo a colpi di manganello e poi violentarne il corpo inanimato.
Non è tutto: come tutti i bambini normali Jeffrey ha la passione per gli animali. Ma Jeffrey non è un bambino normale, è un bambino completamente folle.
Il ragazzino passa intere giornate perlustrando il ciglio delle strade trafficate, alla ricerca di animaletti morti che raccoglie e porta a casa. Una volta rimasto solo in garage, prende i piccoli cadaveri e compie su di essi diversi esperimenti, il suo preferito è scioglierli nell’acido.
1978. Jeffrey non è più un ragazzino. Ha lasciato da qualche anno il tetto di famiglia sotto il quale è cresciuto, sotto il quale è impazzito. Adesso è un alcolizzato proprio come sua madre, lui però ha cominciato anche a drogarsi.
Mentre percorre in auto la strada che va al suo bar preferito, Dahmer incappa in un autostoppista, Steven Hicks, 19 anni. Il cannibale lo fa salire in auto, ci fa amicizia e lo invita a bere qualcosa. Poi, con una scusa, lo invita a casa dove avviene la mattanza.
Steven Hicks viene ucciso a sprangate, asfissiato, smembrato e alle 3 di notte è ormai ridotto a brandelli di carne dentro dei sacchetti per l’immondizia, che Jeffrey carica in macchina.
Il giorno dopo verrà fermato dalla polizia per un test per la sobrietà. Alla domanda di un poliziotto sul contenuto di quei sacchetti maleodoranti, Dahmer spaccia il povero Steven per vecchia immondizia, destinata alla discarica più vicina. Jeffrey Dahmer è un folle terribilmente lucido e freddo. È il primo omicidio del Cannibale di Milwaukee. Ne seguiranno ben altri 16.
Subito dopo l’omicidio di Steven Hicks, Dahmer si arruola volontario nell’esercito e viene stanziato in una base U.S.A in Germania. In quella zona, in quegli anni, spariranno ben 3 persone. Jeffrey ha sempre negato di essere stato lui e, di fatto, nemmeno al processo gli è stata addebitata la responsabilità per quelle scomparse.
L’esperienza da militare però finisce in meno di 10 anni, cacciato con disonore per alcolismo e insubordinazione.
Dahmer torna così negli States dove, nel giro di pochi mesi, si becca diverse condanne per atti di libidine violenta e per atti osceni in luogo pubblico.
E adesso il Cannibale ha di nuovo fame.
Comincia a frequentare i locali per gay della città, più per cercare vittime che per la compagnia o per i liquori.Jeffrey abborda giovani maschi omosessuali, li conquista, li conduce a casa. Solitamente si spaccia per un fotografo, interessato a foto di nudo maschile, promette anche lauti compensi.
Una volta entrati in casa i malcapitati vengono drogati con dei cocktail a base di Halcion.
Mattanze, cannibalismo, necrofilia. Nella casa di Dahmer avviene di tutto tra l’87 e il ’91.
Anche un tentativo di creare degli zombie, degno del peggior film horror di serie B.
Ad alcune delle vittime, mentre queste sono ancora vive, Dahmer pratica infatti un foro al centro del cranio e attraverso questo foro inietta dell’acido cloridrico, o dell’acqua bollente.
La sua carriera da novello Dr. Mengele non avrà però risvolti felici, perché i suoi zombie muoiono tutti nel giro di qualche ora o dopo qualche giorno.
Nonostante l’apparenza, Jeffrey “ama” le sue vittime: le uccisioni, a suo dire, erano sempre realizzate nel modo meno doloroso e sofferente possibile.
E Jeffrey “ama” le sue vittime anche dopo la morte. Quei corpi freddi e putridi sono infatti assoggettati alle sue voglie: li sodomizza, ci si masturba sopra, tutto come nelle sue fantasie adolescenziali. Un sogno divenuto realtà.
Cuore, muscoli e genitali finiscono in frigo o in salamoia, pronti per essere cucinati. Interpellato a riguardo, Dahmer ha confessato che, una volta cotti, diventavano teneri e saporiti come il miglior filetto, ma anche che il suo vero scopo era fare in modo che le vittime diventassero parte di se. Proprio come fanno alcune popolazioni tribali del Sud America e dell’Oceania con i caduti di guerra o con i parenti defunti.
Le teste invece vengono bollite per giorni in modo da far sparire la materia celebrale e la pelle. I teschi sbiancati vengono decorati con pennello e tempera, ed esposti su di una credenza a mò di ornamento e di trofeo.
Nell’inventario della casa, stilata dalla polizia in seguito all’arresto del Cannibale, figurano un bollitore contenente due mani, un pene, diversi testicoli. Foto di diversi stadi di smembramento, teste ancora da bollire sul pavimento. In frigorifero c’erano un cuore, un torso, un sacchettino contenente pelle umana e alcuni sacchetti con vari organi interni. Su di una credenza due teschi appena ripuliti, affianco a loro diversi barattoli di agenti chimici. Nel gabinetto tre teschi. In un guardaroba c’erano uno scheletro completo, uno scalpo umano e alcuni genitali, in basso invece una scatola contenente altri due teschi. Al centro della camera da letto spiccava una vasca contenente 260 litri di acido.
Proprio la polizia si fa sfuggire una prima possibilità di fermare il Cannibale, quando un quattordicenne d’origine asiatica riesce a scappare dalla casa degli orrori. Due donne lo trovano e lo accolgono e chiamano all’istante le forze dell’ordine.
Jeffrey è però il matto più freddo e lucido della storia, si presenta alla centrale e reclama che gli venga restituito il suo “fidanzato” 19enne, scappato in seguito a un litigio tra ubriachi. La polizia cede e addirittura riaccompagna la “coppietta” a casa di Dahmer.
La mattina dopo il ragazzo sarà “zombificato” con dell’acido, morendo solo dopo giorni di coma. Mesi dopo quei poliziotti perderanno il lavoro.
Finalmente arriva il 1991 e, con esso, arriva la fuga di Tracy Edwards dalla casa-mattatoio, arriva l’arresto del Cannibale.
Come accade per diversi killer seriali, l’arresto si rivela una liberazione, al quale segue una confessione spontanea e accurata di tutti i crimini commessi.
La casa del mostro diviene meta di pellegrinaggio di persone da tutto il mondo e di giornalisti. Nel giardino cominciano gli scavi alla ricerca dei resti umani che non sono stati trovati in salotto e in cucina.
EPILOGO
Jeffrey viene condannato a 1070 anni di carcere per l’omicidio, la necrofilia e il cannibalismo di 17 persone.
L’infermità mentale richiesta dall’avvocato difensore non funziona: Jeffrey si è dimostrato troppo lucido, ha usato una perizia incredibile nella scelta e nell’adescamento delle vittime e, addirittura, faceva uso del preservativo durante i coiti con i cadaveri, in modo da evitare infezioni
In galera cercheranno di ammazzarlo un sacco di volte. Alla fine ci riesce, il 28 novembre 1994, Christopher Scarver, un ergastolano in preda a deliri mistici e che si considera la mano di Dio e che colpisce Jeffrey alle spalle, mentre pulisce i bagni della prigione.
Le deposizioni e gli atti del Cannibale di Milwaukee sono tuttora in mano a eminenti medici che le utilizzano per studiare e capire la psiche umana. La madre propose, senza successo, di conservare il cervello di Jeffrey, in modo da tramandarlo ai posteri.
A lui sono dedicati fan club in tutto il mondo, libri e gli immancabili Cd musicali Death Metal.
RIFLESSIONE
Un giorno Jeffrey catturò in un parco un piccolo setter inglese. Lo portò a casa per sezionarlo e scuoiarlo come faceva d’abitudine con gli animali morti. Ecco la sua testimonianza: “Quando il cane mi guardò con quei suoi occhi così espressivi, non potei fargli del male. Lo curai e lo lasciai andare.”
Chi era dunque Jeffrey Dahmer? Un pazzo omicida senza nessuna pietà o un essere umano così profondamente sensibile da aver varcato la sottile linea che separa amore e odio, confondendoli e sfociando nella più assurda follia?
“Egli è cresciuto in un ambiente molto sanitarizzato della classe medio alta. Era il tipo di ambiente dove l’oscurità della psiche umana può essere sanitarizzata e repressa. Non potevano permettersi lo stigma della malattia mentale. Così la sua oscurità divenne sempre più profonda, senza via di sfogo”
(Ashok Bedi, direttore dell’ospedale psichiatrico di Milwaukee)
“Vostro Onore, è finita. Non ho mai cercato di essere liberato. Francamente volevo la morte per me stesso. Voglio dire al mondo che non l’ho fatto per odio. Non ho mai odiato nessuno. Sapevo di essere malato, cattivo o entrambe le cose. Adesso credo d’essere veramente malato. Il dottore mi ha parlato della mia malattia e di quanto male ho causato. Ho fatto del mio meglio per fare ammenda dopo il mio arresto, ma non importa, non posso eliminare così il terribile male che ho causato. Vi ringrazio Vostro Onore, sono pronto per la vostra sentenza, che sono sicuro sarà il massimo. Non chiedo attenuanti, ma per piacere dite al mondo che mi dispiace per quello che ho fatto.”
(Jeffrey Dahmer, dichiarazione di fine processo)
DANIELE DEL FRATE 17-10-2004
Visita la galleria fotografica dedicata al killer
E-mail : [email protected]
Torna al menù dei Serial killer
(Copyright© occhirossi.it 2004-2009)